L’IMMIGRAZIONE A CINISELLO BALSAMO
di Gabriella Milanese
da: Gabriella Bovolenta e Gabriella Milanese (a cura), Un viaggio nella memoria – Gli anziani di Cinisello Balsamo raccontano le tradizioni dei loro paesi di origine, U.T.E. (Università della Terza Età), Lions Club, Comune di Cinisello Balsamo, 2002.
Anche se a Cinisello Balsamo l’immigrazione tocca le sue punte massime nel ventennio 1951-1971, per tutto il corso del Novecento il nostro comune ha registrato un continuo incremento demografico dovuto principalmente al saldo migratorio che supera quasi sempre quello naturale. Certamente la presenza delle grandi fabbriche a Sesto San Giovanni e a Milano è stata la causa di questi movimenti di popolazione già a partire dagli inizi del secolo, sia perché i nuovi arrivati vi potevano trovare un’occupazione, sia perché andavano a sostituire nel lavoro dei campi gli abitanti locali, divenuti operai (non va dimenticato che ancora nel 1951 il territorio comunale era per il 90% costituito da superficie agraria).
Si tratta comunque di cifre ancora contenute che invece esplodono a partire dagli anni Cinquanta, quando prende avvio la grossa migrazione dalle regioni venete che ha il suo massimo incremento in quel decennio, affiancata e poi ampiamente superata nel decennio successivo da quella dal meridione.
Nel giro di trent’anni gli abitanti passano dai 15.017 del 1950 agli 80.484 del 1980, sovvertendo i tradizionali rapporti numerici tra società ospite e nuovi arrivati, in quanto i secondi sono maggioritari rispetto ai residenti.
Nel 1971 la Doxa indica Cinisello Balsamo come il comune con il più alto incremento demografico di tutta Italia. Anche se il grosso degli immigrati proviene dalle regioni citate, occorre sottolineare che un importante contributo viene anche dalle altre aree della Lombardia; nel 1982 Bergamo, Mantova e Cremona, oltre allo stesso capoluogo risultano tra le dieci province più rappresentate nel territorio comunale.
La vita nei luoghi d’origine, che dagli stessi emigranti viene descritta come molto dura, spiega la portata del fenomeno:
“Eravamo gente povera; lavoravamo tutti, ma si guadagnava pochissimo […]”.
“Il paese era povero e molti erano analfabeti […]”.
“C’era molta miseria e molta emigrazione, anche in America […]”.
“Nel nostro paese c’era un alto tasso di emigrazione (soprattutto in Argentina) e molte ragazze lasciavano il paese per fare le cameriere in città […]”.
“La miseria impediva alle giovani coppie di sposarsi e perciò spesso nascevano bambini che venivano allevati dalla famiglia della ragazza […]”.
“Molte ricorrenze non si festeggiavano perché la miseria era tanta […]”.
“Non ho nessun rimpianto perché laggiù c’era solo miseria, si desiderava il necessario e non lo si poteva avere […]”.
I nuovi arrivati sono per lo più giovani, con un basso tasso di scolarizzazione (in quegli anni si registra anche un incremento degli analfabeti) e di preparazione professionale, disposti ad accettare mansioni poco qualificate, semplici, pesanti, talvolta pericolose, di pura manovalanza soprattutto nell’edilizia. Anche la loro sistemazione abitativa è precaria: nelle vecchie corti, negli scantinati, nelle casette autocostruite e infine nei grandi condomini che poco per volta occupano buona parte del territorio; nel 1971 la superficie agraria era scesa a un terzo. Già a quella data però il fenomeno si era arrestato e nel 1972 si registra il primo dato negativo; quelli che partono sono di più di quelli che arrivano.
L’impatto con la nuova realtà per la maggioranza è duro e doloroso. Il contadino meridionale, che giunge al nord spesso scarsamente alfabetizzato e privo di competenze lavorative, si trova improvvisamente gettato in un ambiente diverso e talvolta ostile in cui clima, comportamenti, modi di comunicare gli risultano estranei e generano senso di smarrimento, di solitudine, di lontananza.
“All’arrivo mi presentai in fabbrica per un colloquio e venni assunto. Nel frattempo ero riuscito ad affittare un locale a pianterreno in una vecchia casa. La stanza era nuda e fredda. Con molta tristezza uscii a comprarmi un giornale e lo stesi sul pavimento per passarvi la notte. Dopo qualche giorno riuscii a procurarmi un brandina e una cucina con la bombola”.
“Mio padre, che era stato al Nord, mi aveva avvisato dicendomi: “Le cose non stanno come tu credi. All’arrivo in quel cortile e in quella casa mi si chiarì tutto di colpo e capii che aveva ragione. Avrei voluto tornare indietro, ma non avevo i soldi. Decisi di rimanere con la morte nel cuore”.
“La nebbia completò il nostro disagio, perché ci sentivamo ammantati da una fredda coltre di bambagia che ci impediva di vedere a pochi metri di distanza e che qualche volta rese difficile persino ritrovare la strada di casa”.
“Quando sono arrivata nell’abitazione ho continuato a vivere quella sensazione di freddo, di scuro e di estraneità dell’ambiente. Le due stanze che i miei avevano affittato erano in un cortile chiuso, con intorno diverse costruzioni a due piani. Al pianterreno c’erano le cucine e al piano superiore le camere, che si affacciavano sul ballatoio. La scala era esterna. L’acqua era nel cortile, così anche l’unico servizio (a pozzo nero) senza acqua”.
“Uno dei fattori più problematici era rappresentato dalla difficoltà di capirsi. Al mio arrivo notai che molti parlavano solo il dialetto locale”.
“La parrocchia ha costituito dall’inizio la mia vera possibilità per un’integrazione nella nuova realtà”.
“I primi quindici giorni sono stati i peggiori, poi ho iniziato a stringere amicizia con gli altri ragazzi del pensionato che arrivavano da altre parti d’Italia”.
Lentamente ha inizio così il processo di inserimento. Infatti i nuovi abitanti col tempo si stabilizzano e l’Amministrazione provvede gradatamente a dotare la città dei servizi necessari: strade, fognature e soprattutto scuole di ogni ordine e grado.
Gli immigrati cominciano anche a costituire loro associazioni: nel 1970 Circolo A.M.I.S. Emilio Lussu (sardi), nel 1978 Circolo Unione(marchigiani), nel 2004 Associazione Culturale Mazzarinese U’Cannuni (siciliani), nel 2005 Associazione Culturale Calabrese (che unifica tre precedenti gruppi calabresi). Queste associazioni testimoniano i legami con le regioni d’origine, anche se l’integrazione può considerarsi avvenuta soprattutto per i figli e nipoti.
“Ci siamo ambientati in questo mondo lombardo e cinisellese in cui abbiamo trascorso gli anni più belli, durante i quali ci siamo forgiati, vivendo le emozioni, le gioie e i problemi che ti maturano. Perciò, se ci domandano cosa vogliamo, rispondiamo che il nostro mondo, la nostra vita, le nostre abitudini, il contesto sociale di cui facciamo parte sono qui e pertanto non intendiamo allontanarcene, pur essendoci ancora degli affetti al paese”.
Questa frase riassume il pensiero degli intervistati, i quali spesso non solo dichiarano di trovarsi bene a Cinisello Balsamo, ma talvolta manifestano sentimenti di sincera gratitudine per i luoghi che li hanno accolti:
“Oltre alla riconoscenza che devo a Milano e Cinisello Balsamo che mi hanno dato quanto un essere umano con normali pretese può avere, devo la vita all’ospedale di Niguarda. Ciò conferma quanto questa regione può dare […]”.
“Qui sto bene, mi sono integrato e migliorato culturalmente […]”.
“Questo è diventato il mio paese, qui mi sono ben inserita e ho molti buoni vicini […]”.
“Voglio bene a Cinisello Balsamo in cui ho tanti amici e dove ho vissuto per quarant’anni […]”.
“Ora sono qui e mi sento realmente di Cinisello Balsamo. In questi anni ho intensificato la mia attività nel volontariato, perché voglio anch’io contribuire al miglioramento della vita di questa città, che considero la mia città […]”.
A partire dal 1982 la popolazione comincia a diminuire in quanto il saldo naturale non compensa più il continuo calo del saldo migratorio. Nel giro di due decenni gli abitanti passano dagli 80.673 del 1971 ai 74.387 del 2000.
di Gabriella Milanese
da: Gabriella Milanese (a cura), Cinisello Balsamo e la nuova immigrazione – Una ricerca della nostra Università sul fenomeno migratorio e su come la città lo sta affrontando, U.T.E. (Università della Terza Età), Lions Club, Comune di Cinisello Balsamo, 2007.
Nell’ultimo decennio del Novecento però inizia a diventare sempre più marcata la presenza di immigrati stranieri, il cui numero è in costante crescita in quanto passano in quindici anni dai 918 del 1995 ai 2.675 del 2000, ai 6031 del 2005, ai 10.261 del 2010 (di cui 5481 maschi e 4780 femmine). Le proiezioni inoltre li danno nel 2016 a 13.208, pari al 18% del totale degli abitanti.
Poiché il fenomeno è in pieno svolgimento, la situazione risulta estremamente fluida per quanto riguarda sia i dati generali che le etnie di appartenenza.
Nel 2010 i gruppi numericamente più forti risultavano essere quelli dei Rumeni, Egiziani, Peruviani, Ecuadoriani, Marocchini, Cinesi, Albanesi, Ucraini, Singalesi, Tunisini, Senegalesi. Rispetto al 2005 gli Egiziani, che costituivano la comunità più rappresentata sul territorio, sono scivolati al secondo posto, scavalcati dai Rumeni. Per quanto riguarda il sesso, in generale gli uomini sono i più numerosi, anche se presso alcune etnie sono le donne a prevalere (Ucraine, Peruviane, Ecuadoriane, Filippine).
La presenza degli immigrati stranieri è massiccia al quartiere due, ma si stanno diffondendo anche nelle altre zone della città.
Rispetto alle motivazioni che hanno spinto queste persone a partire, alle loro condizioni attuali e alle attese per il futuro si può osservare quanto segue.
Tutti gli immigrati hanno lasciato i loro Paesi principalmente per tre ragioni: innanzitutto a causa della povertà e della mancanza di prospettive per sé e la propria famiglia; in qualche caso per la guerra o il crollo di un regime che ha destabilizzato lo Stato; infine, soprattutto se si tratta di donne, per il ricongiungimento con un familiare già emigrato.
Il progetto di emigrare appare a molti come una tappa nella vita, dalla durata limitata, almeno nelle intenzioni. Lo scopo principale è di guadagnare e di risparmiare, per poi tornare in Patria. Alcuni però considerano la loro partenza definitiva e intendono stabilirsi in modo permanente nel nostro Paese per poi farsi raggiungere dalla famiglia, oppure formarne una in Italia.
In ogni caso, la visione di quale sarà la loro sorte è sfocata, dipende da tanti fattori ancora sconosciuti, e quasi tutti lasciano al futuro la decisione di quanto tempo rimanere nel nuovo Paese.
La scelta dell’Italia e anche del Comune in cui stabilirsi avviene all’interno di una catena migratoria che lega chi parte con chi, parente o amico, è già sul posto e tiene aperta la strada, fornendo informazioni, offrendo, almeno per i primi tempi, un alloggio, aiutando a trovare un lavoro.
La maggior parte degli immigrati presenti nel Comune è in regola con il permesso di soggiorno, anche se molti in passato hanno conosciuto periodi di irregolarità. Quasi tutti sono entrati con un visto per turismo o per studio che poi è scaduto e la situazione in seguito ha potuto essere risolta con qualche sanatoria e, in alcuni casi, grazie al matrimonio con italiani. Le donne arabe sono giunte in Italia per ricongiungimento familiare e così pure alcuni mariti sudamericani. Alcuni però sono sbarcati in condizione di pericolo o hanno passato la frontiera in modo avventuroso (persone rimaste sdraiate anche per un giorno intero nel doppio tetto di un pullman o nel cassone di un camion, altre che hanno passato il confine nuotando di notte in un fiume ecc.).
Il permesso di soggiorno resta un miraggio per chi ne è privo. La sua mancanza determina una situazione di precarietà assoluta che si riflette sui comportamenti quotidiani, tanto che quasi tutti limitano gli spostamenti all’indispensabile, per timore di poter incappare in qualche rappresentante delle Forze dell’ordine che chiede di esibire i documenti.
Dice un ragazzo: “Per me essere libero significa uscire di casa e sapere di potervi rientrare.” Aggiunge un altro: “Il sentimento di maggiore abbandono di tutta la mia vita l’ho provato alla morte di mio padre. Non avendo il permesso di soggiorno non ho potuto ritornare in Patria. Mi sono sentito veramente solo.” Infine un terzo conclude: “Il mio permesso, per ragioni burocratiche, che nessuno riesce a spiegare, non è ancora arrivato. Non vedo mia moglie e le mie bambine da quattro anni e loro non capiscono perché non posso andare a trovarle. Sono arrabbiate con me, perché si sentono abbandonate e non riescono a credere che un semplice documento sia la causa di una così lunga separazione. Io, a mia volta, sono sempre più rattristato dal pensiero che le mie figlie diventeranno grandi senza che io possa vederle crescere”.
Nessuno immigrato riesce a capire e accettare il fatto che senza questo pezzo di carta una persona non possa fare praticamente nulla e addirittura possa essere fermata e finire in prigione, anche se non ha commesso alcun reato.
Tutti sanno che dovranno adattarsi a svolgere qualsiasi lavoro e, almeno nel primo periodo, sono disposti ad accettare questa condizione, a prescindere dal loro status sociale d’origine, spesso buono.
In generale si tratta di persone in età giovanile, spesso con un livello di scolarizzazione buono e talvolta medio-alto, che svolgono mansioni poco qualificate nel settore dell’edilizia, dei servizi alla persona, della ristorazione, delle pulizie. Anche se la loro condizione economica è migliorata, spesso vivono una specie di conflitto interiore: da un lato provano amarezza a causa del peggioramento di status sociale che determina un abbassamento del livello dell’autostima, dall’altro il senso di responsabilità verso la loro famiglia, a cui possono assicurare condizioni di vita migliori, li spinge a considerare i lati positivi della nuova esistenza. A tutto ciò si aggiunge la nostalgia per la propria vita passata e per i propri parenti lontani, nonché la difficoltà ad adattarsi ad un nuovo contesto socio-culturale.
Più difficile appare la situazione delle persone appartenenti agli strati sociali più poveri, in qualche caso analfabete o comunque non in grado di esprimersi, perché sovente mancano degli strumenti culturali per inquadrare il contesto in cui si trovano a vivere. Nel caso di queste persone è stato spesso l’intero nucleo familiare o il villaggio che si è tassato per favorirne la partenza, così che poi assicurassero, con le rimesse, il benessere a tutto il gruppo. L’emigrazione in questi casi rappresenta un investimento della comunità. Purtroppo alcuni contadini sono stati indotti a partire dai racconti di chi aveva creato false aspettative per incassare le quote del viaggio.
Le informazioni che inviano ai familiari in Patria sono spesso non corrispondenti alla realtà, sia per non addolorare i parenti lontani, sia per non dover ammettere che la scelta di partire non ha prodotto i risultati sperati. Questo comportamento alimenta un’immagine dell’Italia e delle condizioni di vita del migrante non veritiera che incrementa, specialmente in alcuni Paesi, l’idea, che poi si rivela totalmente illusoria, di un successo a portata di mano in un paese da sogno.
Tutti manifestano una situazione di solitudine, favorita anche dalla limitata padronanza della lingua italiana, che viene in parte superata incontrando persone appartenenti alle comunità d’origine e che quindi può produrre una condizione ghettizzante. Anche il nostro stile di vita, che lascia poco spazio ai rapporti umani e che non consente un uso del tempo più rilassato, viene accettato con fatica. Tuttavia tutti apprezzano la libertà di cui godiamo e i servizi che la comunità mette a disposizione. In particolare Cinisello Balsamo è considerato un Comune che fa molto per gli immigrati tanto che i nostri servizi sono frequentati anche da persone di altre località.
Infatti, al fine di venire incontro alle loro esigenze, l’Amministrazione comunale ha creato nel quartiere due alcuni servizi per mettere a disposizione mediatori culturali, per offrire informazioni e consulenza nella ricerca del posto di lavoro o della casa, per dare consigli legali, ecc.
Sono anche sorte Associazioni di aiuto, ad esempio United Colours of Milano, United Colours of Cinisello per l’apprendimento della lingua italiana, o volte a favorire l’integrazione e gli scambi culturali tra le diverse etnie e i cittadini italiani, come l’Associazione SoleLuna, ecc. Gli immigrati stessi poi hanno costituito loro associazioni come l’Associazione Culturale Egiziana Al Sadacca, l’Associazione Interculturale Saua, ecc.
E’ nata nel 2009 anche Cinisello Città Aperta, una rete che comprende associazioni, partiti e cittadini italiani e stranieri con l’intenzione di capire e conoscere meglio il fenomeno dell’immigrazione e lavorare concretamente sul territorio per non permettere che l’incultura xenofoba e il disagio comune degenerino in razzismo diffuso.
Vai alla scheda: “L’immigrato – ’Il Grande Salto’ “ – opera scultorea in via Frova.