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«Fra gli otto e nov’anni, trovandomi un giorno in queste disposizioni malinconiche, occasionate forse anche da salute, che era gracile anzi che no, visto uscire il maestro, e il servitore, uscii dal mio salotto che in un terreno dava nel cortile, dov’era intorno intorno molt’erba. Mi misi a strapparne colle mani quanta ne poteva, ed a metterne in bocca, masticarne, e ingoiarne quanta poteva, benché il sapore me ne riuscisse ostico assai, ed amaro. Aveva sentito dire non so da chi che la cicuta era un’erba che avvelenava, e faceva morire; non aveva fatto nessun pensiero di morire, e quasi non sapea quel che fosse; pure, seguendo un istinto naturale misto con non so quale idea di dolore, mi spinsi avidamente a mangiar di quell’erba, credendo che in quella vi dovea anch’esser cicuta. ( Vita, Epoca I, Primi sintomi di carattere appassionato. )
1848–1a edizione, 1806
«Il mio nome è Vittorio Alfieri: il luogo dove io son nato, l’Italia: nessuna terra mi è Patria. L’arte mia son le Muse: la predominante passione, l’odio della tirannide; l’unico scopo d’ogni mio pensiero, parola, e scritto, il combatterla sempre, sotto qualunque o placido, o frenetico, o stupido aspetto ella si manifesti o si asconda.» |
(Lettera di Vittorio Alfieri al Presidente della plebe francese (ossia della Convenzione nazionale), dal Misogallo, parte I documento I, pag. 17-18, edizione Classici a cura di G. Bonghi.) |
Vittorio Amedeo Alfieri (Asti, 1749 – Firenze, 1803)
Ritratto di Vittorio Alfieri — 1793
François Xavier Pascal Fabre (1766-1837) |
Sublime specchio di veraci detti… |
Sublime specchio di veraci detti… Sublime specchio di veraci detti, mostrami in corpo e in anima qual sono: capelli, or radi in fronte, e rossi pretti; lunga statura, e capo a terra prono;sottil persona in su due stinchi schietti; bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono; giusto naso, bel labro, e denti eletti; pallido in volto, più che un re sul trono:or duro, acerbo, ora pieghevol, mite; irato sempre, e non maligno mai; la mente e il cor meco in perpetua lite:per lo più mesto, e talor lieto assai, or stimandomi Achille, ed or Tersite: uom, se’ tu grande, o vil? Muori, e il saprai.Sonetto rimato con schema ABAB ABAB CDC DCDQuesto sonetto fu scritto sul retro di un ritratto di Alfieri eseguito dal pittore francese Xavier Fabre. Il poeta offre un’immagine di sé che ha un valore storico e psicologico, in quanto il corpo e l’anima convergono in un autoritratto che riproduce l’ideale concezione alfieriana della poesia., intesa come la voce più alta dello spirito umano. Alla naturalistica immagine esteriore del poeta si sovrappone un carattere ribelle e inquieto.
SPIEGAZIONE Il poeta fa delle domande allo specchio in cui si riflette chiedendo di fargli vedere com’egli sia fisicamente e moralmente: i suoi capelli, diradati sulla fronte, sono rossi; è un uomo di alta statura, con la testa bassa, magro, dalle gambe dritte; la sua pelle è bianca, gli occhi azzurri, sembra un uomo distinto ed onesto. Il naso non è esagerato, ha una bocca regolare con denti perfetti. E’ pallido, come se fosse preoccupato come se avesse i pensieri d’ un re. E’ un uomo difficile e forte , ma qualche volta quieto e mite: purtroppo sempre adirato col mondo che non condivide, razionale e irrazionale sempre, spesso infelice, pur mostrando a volte qualche allegria; ogni tanto si vanta come un eroe, e a volte sembra un uomo umile . Solo alla morte, saprà definitivamente come sarà stato in vita .
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