MARIO FRANCESE UCCISO DALLA MAFIA IL 26 GENNAIO 1979
ANSA.IT — 26-01-2019
Mafia: Mattarella ricorda Mario Francese
Presidente ricorda giornalista Mario Francese ucciso dalla mafia
(ANSA) – ROMA, 26 GEN – “Quaranta anni fa Mario Francese – giornalista coraggioso e di grande professionalità – viene assassinato a Palermo dalla mafia. Prima di altri, Francese aveva compreso molto dei traffici e della rete criminale dei mafiosi e, senza paura né infingimenti, fece onore alla sua responsabilità professionale, scrivendo articoli che mettevano in luce il malaffare. Vittima della lotta di civiltà e di libertà contro la mafia, il ricordo della sua figura richiama, e sottolinea ancora una volta, il valore insostituibile della libera stampa per il nostro come per ogni Paese”. Lo dichiara il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in una nota.
MARIO FRANCESE
Mario Francese (Siracusa, 1925 – Palermo, 26 gennaio 1979) è stato un giornalista italiano, vittima di mafia.
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Divenuto giornalista professionista si occupò della strage di Ciaculli, del processo ai corleonesi del 1969 a Bari, dell’omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e fu l’unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella.
Nelle sue inchieste entrò profondamente nell’analisi dell’organizzazione mafiosa, delle sue spaccature, delle famiglie e dei capi, specie del corleonese legata a Luciano Liggio e Totò Riina. Fu un fervente sostenitore dell’ipotesi che quello di Cosimo Cristina fosse un assassinio di mafia.
Un certo costruttore, don Peppino Garda, presunto “boss” di Monreale, vendette frettolosamente molti degli edifici, costruiti in via Sciuti in società con Peppino Quartuccio, e si ritirò in eremitaggio. Dalla vendita degli edifici si ricavarono circa cento milioni e questi soldi furono reinvestiti in un latifondo nei pressi del Lago Garcia, andava a realizzare un progetto che, nel giro di dieci anni, avrebbe fatto intascare ai clan quasi un terzo dei 17 miliardi stanziati dallo Stato per la costruzione della ”faraonica” diga.
Così quando nel 1975, approvato il progetto dell’ opera, cominciano le procedure per gli espropri, don Peppino e compagni vanno all’incasso: per i terreni pagati complessivamente due miliardi di lire, con i soldi della Cassa del Mezzogiorno ai nuovi e antichi proprietari, in tutto 240 possidenti, ne incassano diciassette, denaro che in gran parte finisce nelle casseforti mafiose in piccolissima parte agli altri proprietari e agli affittuari. Uno sfregio anche all’impegno di Danilo Dolci, che per la costruzione delle dighe si era battuto.
L’affare però non riguarda solo i terreni, ci sono tanti altri soldi da agguantare: subappalti, forniture di cemento, pietrame e quant’altro, posti di lavoro da distribuire, mezzi meccanici da affittare. Un intreccio di appetiti che lascia sul suolo una dozzina di morti e una scia di attentati. Francese indaga, annota e scrive sul Giornale di Sicilia, dove è cronista giudiziario, quel che accade nel territorio, facendo nomi e cognomi; è il primo a farlo ed è ancora il primo a rivelare l’ascesa dei Corleonesi e a chiamare “commissione” il vertice della cupola. Collega anche alcuni morti ammazzati alla guerra nelle cave e uno dei primi delitti eccellenti, quello del colonnello Giuseppe Russo nel 1977 a Ficuzza, a controversie per i subappalti.
Francese paga con la vita, ad appena 54 anni, il suo coraggio e il suo fiuto di cronista. La sera del 26 gennaio 1979 venne assassinato a colpi di pistola a Palermo da Leoluca Bagarella, davanti casa sua.
Per il suo omicidio sono stati condannati: Totò Riina, Leoluca Bagarella (che sarebbe stato l’esecutore materiale del delitto), Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano.
Le motivazioni della condanna nella sentenza d’appello furono: «Il movente dell’omicidio Francese è sicuramente ricollegabile allo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un’approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni ’70».
Il 3 settembre 2002 si suicidò il figlio trentaseienne Giuseppe, che per anni si era dedicato a inchieste sulla ricostruzione dell’omicidio del padre. (WIKIPEDIA, IL NOME)
AGI.IT —26-01-2019
https://www.agi.it/cronaca/mario_francese-4904506/news/2019-01-26/
Storia di Mario Francese, giornalista ucciso dalla mafia 40 anni fa
Solo la tenacia dei figli ha permesso di fare luce su un delitto del quale nessuno voleva occuparsi, nemmeno dopo le dichiarazioni di un pentito
“Mario Francese è morto perché ha detto ciò che non doveva dire, secondo l’ordine stabilito da Cosa nostra, e ha scritto ciò che per i mafiosi non doveva essere scritto e portato alla coscienza di tutti”.
Quaranta anni dopo l’omicidio di Mario Francese, avvenuto la sera del 26 gennaio 1979, per comprendere le motivazioni che spinsero i killer a fare fuoco sul giornalista siciliano, basta rileggere queste parole che costituiscono uno dei passaggi più salienti della requisitoria di Laura Vaccaro, la Pm del processo che, soltanto anni dopo e grazie alla testardaggine dei figli Giulio e Giuseppe, portò alle condanne a 30 anni per tutti gli imputati.
Mandanti ed esecutori
Negli anni Duemila fu tutta la cupola a finire a giudizio, da Salvatore Riina a Francesco Madonia, passando per Michele Greco, Antonino Geraci, Giuseppe Farinella, Matteo Motisi, Pippo Calò e imputati per essere stati i mandanti Leoluca Bagarella e Giuseppe Madonia.
Quella sera di quarant’anni fa Mario Francese aveva finito la sua giornata alla redazione del “Giornale di Sicilia”. Giunto sotto casa era appena sceso dall’auto quando il killer di cosa nostra, Leoluca Bagarella, gli sparò con una calibro 38 alle spalle. Da quel giorno, e prima delle condanne dell’11 aprile 2001, in pochi rimasero accanto alla famiglia Francese. Per anni si disse: “La mafia non c’entra nulla”.
La lotta dei figli per la verità
La storia di Mario Francese era stata relegata all’oblio e nemmeno le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo – che raccontò ai magistrati che era stato assassinato da Cosa Nostra perché dava fastidio con i suoi articoli – erano sufficienti per aprire il caso. Serviva qualcosa di più. E quel “qualcosa in più” arrivò con la determinazione e l’impegno dei figli.
Giuseppe Francese, il figlio più piccolo di Mario, si rimboccò le maniche e iniziò a ricostruire l’attività del padre attraverso i suoi articoli. Il suo obbiettivo era di trovare dei collegamenti tra gli appalti della diga Garcia, l’omicidio Russo e gli attentati al caporedattore e direttore del giornale di quel tempo.
Nel quarantesimo anniversario dalla morte di Mario Francese è giusto ricordare anche Giuseppe che, subito dopo le condanne dell’intera Cupola per l’omicidio del padre, decise di aver esaurito il suo compito su questa Terra e pose fine alle al dolore iniziato la sera di quando era bambino, con il rumore di colpi sparati sotto casa.