L’informazione rifiutata. La Svizzera dal 1938 al 1945 di fronte al nazismo e alle notizie del genocidio degli ebrei Copertina flessibile – 7 dic 2017
di
IL FATTO QUOTIDIANO DEL 26 GENNAIO 2019
Otto e i suoi reporter-007: una “diretta” sullo sterminio
Mentre la Svizzera era sotto lo scacco nazista, Pünter documentò le stragi
Si chiamava Otto Pünter. Nel 1927, a Berna, fondò l’agenzia di stampa Insa. Di idee di sinistra, propose al Partito socialista svizzero, e in particolare a Libera Stampa, il quotidiano dei socialisti del Canton Ticino, di fornire notizie sul mondo del lavoro e soprattutto sui movimenti fascisti e nazisti che avevano già preso il potere in Europa, o si approssimavano a farlo. Otto, che fu il primo giornalista socialista a essere accreditato presso il governo e il Parlamento svizzeri, mantenne la parola.
Dal 1933 alla fine della Seconda guerra mondiale, e alla caduta del totalitarismo nazista, grazie soprattutto al lavoro dei cronisti dell’Insa, in più di un caso costretti ad agire come agenti segreti, Libera Stampa e ad altri giornali della Confederazione, che era nazione neutrale, riuscirono a documentare gli orrori dello sterminio degli ebrei e le altre stragi compiute dalle Ss e dai soldati di Hitler. Lo fecero sfidando le censure del governo federale, che non voleva inimicarsi la Germania, tra l’altro il maggiore partner commerciale della Svizzera, e ostacoli di ogni genere.
E lo fecero bene, tanto che, a metà del 1942, da numerosi organi di stampa elvetici si poteva apprendere che gli ebrei uccisi dai tedeschi, fino a quel momento, erano un milione. Libera Stampa pubblicò pure, il 19 dicembre 1942, la dichiarazione congiunta anglo-russo-americana in cui si parlava chiaramente di sterminio, e si accusava i tedeschi di avere trasformato la Polonia in un mattatoio. Una dichiarazione che, invece, era stata oscurata dall’agenzia stampa nazionale, l’Agenzia Telegrafica Svizzera.
A raccontarlo è la storica Silvana Calvo nel saggio L’informazione rifiutata. La Svizzera dal 1938 al 1945 di fronte al nazismo e alle notizie sul genocidio degli ebrei, appena pubblicato dall’editore torinese Silvio Zamorani (pagine 359, euro 38).
Come nota Fabio Levi nell’introduzione al libro, “che i giornali svizzeri, negli anni della Seconda guerra mondiale, avessero pubblicato notizie sulle persecuzioni e sullo sterminio degli ebrei in Europa era cosa nota”. Non era mai stato documentato con la dovizia della Calvo, tuttavia, “il flusso ininterrotto di informazioni apparse via via, molto spesso quasi in tempo reale, sui più diversi aspetti del genocidio”. La “precisione dei numeri – aggiunge Levi – la varietà dei luoghi considerati e la ricchezza dei particolari contenuti nelle innumerevoli citazioni proposte – nel volume della Calvo – suscitano un’impressione molto forte, soprattutto se misurate sulla pretesa inconsapevolezza e sulla indiscutibile passività manifestate dalle autorità dei Paesi schierati contro il nazismo per tutto il periodo della guerra”. Come dire che pochi, rispetto a quanti in più avrebbero potuto essere, si impegnarono per fare conoscere ciò che accadeva nei lager e sui fronti; tanti vennero a sapere; e molti fecero finta di niente, raccontando poi di essere rimasti all’oscuro della Shoah e delle decimazioni degli slavi, dei rom, delle popolazioni civili.
Il lavoro dell’agenzia Insa, di Libera Stampa sotto la guida del leader socialista Guglielmo Canevascini, e degli altri giornalisti elvetici, avveniva in una nazione memore delle vecchie tradizioni democratiche e di libertà di stampa.
Negli anni del nazismo e della guerra, però, pur tenendo presente i confini della Confederazione stretta tra la Gemania di Hitler e l’Europa occupata dall’Asse, al coraggio dei giornalisti, di alcuni pastori delle chiese evangeliche e di personalità del mondo ebraico, si contrapposero la ragion di Stato e l’ignavia.
La Croce Rossa della Svizzera mandò sul fronte orientale sei missioni mediche, quattro nell’Unione Sovietica e due in Grecia, al seguito della Wermacht. I delegati furono assoggettati, alla stregua di ausiliari dell’esercito tedesco, alle leggi e all’ordinamento disciplinare militari, con l’obbligo pertanto di curare soltanto i soldati tedeschi e con il divieto totale di rendere noto ciò che avevano visto.
E, infatti, tacquero, anche se in privato non poterono non confessare di avere intuito perfettamente l’Olocausto che si stava consumando.
Quando, nel corso del 1944, la sconfitta hitleriana si delineò, e la censura federale sull’informazione venne allentata,
il giornale Thurgauer Arbeiter Zeitung, l’8 luglio, poté affermare che “dall’inizio della guerra, è sempre stato insopportabile il fatto che si sapesse, da buone e fidate fonti, che l’orrore che si celava dietro l’espressione ‘soluzione finale del problema ebraico in Europa’ significava lo sterminio sistematico di milioni di ebrei, (…) ma questi rapporti sono stati proibiti dalla censura mediante un termine inventato per l’occasione, ‘favolette dell’orrore’, e la loro diffusione è stata severamente punita. (…) Siamo sembrati tutti consenzienti, persino una istituzione come la Croce Rossa Internazionale, che non voleva mettere in pericolo le sue relazioni con certi governi responsabili. Se con ciò è stato davvero evitato un male maggiore, non si sa. L’ottusa inerzia verso questi avvenimenti è sembrata una agonia morale”.
Sempre nel 1944, il Das Volk scrisse: “Ora che si sollevano i veli che una troppo paurosa censura non può più imporre, il mondo scoprirà cosa sono capaci di fare uomini non più legati al diritto. Capirà che i fatti di oggi non sono l’inizio, ma la logica fine di uno sviluppo di fronte al quale ha taciuto fino a quando è stato troppo tardi”. E proseguiva: “L’élite spirituale d’Europa, salvo qualche lodevole eccezione, ha preferito agire timidamente quando invece era necessario alzare decisamente e prepotentemente la voce”.
Terribile verità quella che riguarda la conoscenza ‘in tempo reale’ della Shoah. Tutti sapevano e quasi tutti tacevano: “….Se con ciò è stato davvero evitato un male maggiore, non si sa. L’ottusa inerzia verso questi avvenimenti è sembrata una agonia morale”. Interessante l’articolo di Massimo Novelli ottimo giornalista e scrittore autore tra gli altri de “L’Uomo di Bordighera”, biografia dello scrittore Guido Seborga, antifascista, partigiano e comandante delle Matteotti in Val di Lanzo.