LIMESONLINE DEL 15-01-2019
La deriva della Polonia ci riguarda direttamente
Carta di Laura Canali, 2017.
RUBRICA IL PUNTO Quando il dibattito democratico si colora da scontro di civiltà, tutto diventa possibile.
di
L’assassinio del sindaco di Danzica, Paweł Adamowicz, accoltellato durante un evento pubblico di beneficenza da un giovane apparentemente folle, segnala che lo scontro politico in Polonia ha superato la soglia di guardia.
Al di là delle ragioni occasionali – l’attentatore ventisettenne, appena uscito di prigione, pare volesse vendicarsi per essere stato a suo avviso ingiustamente incarcerato – la morte violenta di Adamowicz nella città simbolo di Solidarność evoca la virulenza della contrapposizione fra lo schieramento nazional-reazionario al governo, di cui Jaroslaw Kaczynski è icona e ispiratore, e l’opposizione liberale. Adamowicz era infatti considerato uno dei più convinti esponenti dell’apertura ai migranti, come anche della tolleranza verso gli omosessuali e le minoranze, oltre che un convinto europeista.
Non è certo un episodio singolo, che speriamo resti tale, a poter definire il clima politico vigente in Polonia. Inoltre, tutte le forze politiche e il governo, a cominciare dal premier Mateusz Morawiecki, hanno subito condannato l’attacco. Tuttavia l’assassinio di Adamowicz ci invita a riflettere sullo stato di un grande paese europeo che si sta avvitando in una spirale nazionalista.
Deriva che ci riguarda direttamente. Mai come ora Polonia e Italia sono state vicine e assonanti, entrambe cavalcando una piattaforma islamofobica (dietro cui si nascondo spesso riflessi antisemiti). Tanto da indurre i leader di Polonia, Italia e Ungheria a tratteggiare un asse dei nazionalisti, quasi una “triplice alleanza” anti-migranti, destinata a salvare l’Europa da chi vorrebbe “scristianizzarla”.
Sarebbe ingenuo declassare tali intese a pura manovra pre-elettorale, in vista del voto europeo di maggio. Quando il dibattito democratico si colora da scontro di civiltà, tutto diventa possibile. Anche il deragliamento violento, o comunque l’eccitazione di qualche mente malata, troppo sensibile alla retorica della demonizzazione di chi la pensa altrimenti.
Il paradosso dello strumentale allineamento fra Italia e Polonia – allargato all’Ungheria e domani forse ad altri paesi ideologicamente consentanei – è che presuppone l’impossibile: l’internazionale dei nazionalismi. Finché si tratta di gridare contro la presunta “invasione” africana e musulmana dell’Europa, di alzare barriere retoriche o fisiche contro lo straniero, lo schema funziona. Ma quando si cerca di produrre un’effettiva strategia geopolitica, il progetto si svela vuoto. Non per questo da trascurare, anzi. In concreto: l’Italia di Salvini si concede il lusso della russofilia, la Polonia di Kaczynski esprime in forma estrema la russofobia polacca. Entrambi i paesi fanno però parte dell’informale impero americano, che continua a considerare la Russia arcinemico per definizione, a prescindere dal regime politico o dalle tendenze di chi siede sul trono del Cremlino.
Più che al sorgere di un’intesa fra nazionalisti, i prossimi mesi in Europa sembrano promettere la degenerazione dello scontro politico fra schieramenti occupati a delegittimarsi e demonizzarsi reciprocamente, segando alla base le pubbliche istituzioni.
La storia comunica che in genere alla violenza politica diffusa seguono regimi autoritari.
Scenari che fino a pochi anni fa sembravano impensabili oscurano l’orizzonte europeo, proprio mentre all’orizzonte si affaccia il rischio di una nuova recessione. Lo spazio della politica è sempre più ridotto e delegittimato. Nel clima del ciascuno per sé nessuno per tutti è impossibile concepire un futuro di pacifica integrazione, come vorrebbe l’europeismo classico. Semmai il contrario. Al quale siamo totalmente impreparati.
Articolo originariamente pubblicato su la Repubblica il 15 gennaio 2019.
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