BORINGHIERI 2017– 74 pp.
presentazione dell’editore:
A ottantasette anni compiuti, ovunque celebrato tra i più acuti epistemologi dei nostri giorni, Michel Serres rivendica per sé un unico privilegio: sconfessare motivatamente chiunque deprechi il presente in nome di un passato migliore. Catastrofisti e declinisti di ogni risma sono avvertiti. Non sarà consentito loro alcun vagheggiamento del buon tempo andato. Ogni nostalgia del «prima» dovrà mostrare il proprio volto ipocrita di difesa di prerogative acquisite e chiusura preconcetta al nuovo. Così Vecchio Brontolone, eroe negativo di questo pamphlet, è incalzato senza tregua dal suo coetaneo Serres, che gli fa sgranare le litanie edulcoranti dell’«eh, una volta sì che…», per il gusto di rivoltarle una a una. Figlio della profonda provincia francese, Serres li ha vissuti, quei tempi decantati, ma a differenza della gran parte dei professori suoi colleghi ha conosciuto la guerra mondiale e coloniale, la malnutrizione, la durezza del lavoro che sfiancava il corpo, la difficoltà degli spostamenti, l’esistenza stentata in ambienti malsani, dove alle donne erano riservati perlopiù sudore, sottomissione e ignoranza. Le conquiste di civiltà tanto macroscopiche quanto sottovalutate dai passatisti – il balzo della speranza di vita, la sensibilità ecologica, la parità di genere, i progressi giganti dell’igiene e della medicina – sono perfettibili, certo. Ma perché dimenticare gli oltre settant’anni di pace, condizione eccezionale nella storia d’Europa? Serres e la sua giovanissima eroina positiva, Pollicina, che con il cellulare tiene in mano il mondo intero, parteggiano per una vita dolce e lieve, solo adesso possibile. Se è ottimismo, non presenta però tratti di ingenuità. È combattente, argomentato, trascinante come il brio occitano di una prosa che non ha eguali
l’indice è preso da questo link di Paolo Ferrario
https://mappeser.com/paolo-ferrario-
IL FATTO QUOTIDIANO DEL 04 GIUGNO 2018
I bei tempi andati? Da mal di denti, altro che si stava meglio…
Il filosofo Michel Serres smonta scientificamente la nostalgia dei “passato che fu”: quando si stava peggio, si stava peggio per davvero
Ideologie, razzismo, malattie, donne e maschi al lavoro, viaggi e sessualità. Sono solo alcuni dei capitoli di Contro i bei tempi andati (Bollati Boringhieri) il libro in cui il filosofo Michel Serres ripercorre i peggiori modi di osannare il passato e il “piccolo mondo antico” come l’età dell’oro. Ma poi quale passato, a quale fotografia si riferisce “Vecchio Brontolone”, il protagonista del compendio, quando rimbrotta contro qualunque modernità? Il passato, si sa è bello perché è vago. Lo scrittore francese, membro dell’Academie Francaise e padre già di Non è un mondo per vecchi, riesce nell’intento di confutare scientificamente questa vaghezza, rendendola difficile da difendere. Così a proposito di ideologie, Serres scrive: “Non dico che il razzismo sia scomparso. Ma la mescolanza di origini, di religioni e di lingue nelle aule scolastiche e nelle università, i viaggi incessanti in Paesi vicini e lontani, le notizie provenienti dagli orizzonti più diversi, l’accesso universale consentito dal computer e dal cellulare, il teorema del mondo piccolo, secondo cui, oggi, con quattro telefonate, chiunque può raggiungere chiunque, la scoperta di cifre che mostrano che gli omicidi avvengono più di frequente all’interno della famiglia che non tra estranei, che la violenza si annida più nella prossimità e nell’intimità che nell’alterità, e che dunque è più difficile amarsi tra simili che non tollerarsi a vicenda… tutto ciò stempera, a volte fino ad annullarli, i giudizi stupidi e disumani di un tempo”.
E come la mettiamo con le malattie? “Una volta, visto che non si conoscevano gli antibiotici, si moriva di sifilide o di tubercolosi, come capitò a quasi tutti gli uomini illustri del xix secolo, Schubert, Maupassant o Nietzsche (…). Siccome non esistevano né analgesici né antinfiammatori, bisognava sopportare il dolore; si cavavano i denti senza anestesia. Ho conosciuto due o tre generazioni di sdentati che si nutrivano solo di brodini”. Ma il meglio, il filosofo francese lo dimostra nel capitolo dedicato alle donne. “Una volta, le ostetriche non si lavavano le mani, e le madri morivano di febbre puerperale. Nel corso della mia lunga vita, la loro mortalità e quella dei neonati sono scomparse, o quasi. Minori per legge, le sopravvissute al disastro natale non avevano diritto di voto, né libretto degli assegni in banca, dovevano coprirsi la testa entrando in chiesa e chiedere l’autorizzazione al marito a ogni passo”. I casi di “eroine” erano rari – spiega Serres – riferendosi a quelle donne che “compivano studi superiori o manifestavano per diritti che gli uomini giudicavano indecenti. Rimasta vedova, Marie Curie, così geniale in fisica e chimica da meritare due Premi Nobel, dovette affrontare un doloroso calvario perché questo o quel giornale la accusò di avere un amante; non ricordo che si sia preso di mira il maschio”. E chiosa: “La nostra memoria maschilista scorda questo ingiusto dolore”. In generale, diremmo, la nostra vecchia memoria da vecchi brontoloni dimentica che quando si stava peggio, si stava peggio. Punto.
Ben detto, anzi ben scritto e assaporiamo quello che c’è di nuovo e di buono.
Era meglio quando stavamo peggio si usa dire per esaltare il passato verso cui il ricordo è gratificante,ma non sempre,a livello psicologico.Da altri punti di vista non esiste il buon tempo antico e sbaglia chi si fa celebratore del passato.Basterebbe partire dalla cura delle malattie.Questo non comporta aderire acriticamente alla celebrazione del presente,del nuovo,insomma del progresso.Forse a stare meglio negli anni e decenni passati era la salute del pianeta.La tesi di Serres qui ha il punto debole:tutti gli indicatori evidenziano che la salute della nostra madre terra è peggiorata….Sarebbe ora che ne prendessimo coscienza ….