Andra Bucci, Tatiana Bucci
Noi, bambine ad Auschwitz
La sera del 28 marzo 1944 i violenti colpi alla porta di casa fanno riemergere negli adulti della famiglia Perlow antichi incubi. La pace trovata a Fiume, dopo un lungo peregrinare per l’Europa cominciato agli inizi del Novecento in fuga dai pogrom antiebraici, finisce bruscamente: nonna, figli e nipoti vengono arrestati e, dopo una breve sosta nella Risiera di San Sabba a Trieste, deportati ad Auschwitz-Birkenau, dove molti di loro saranno uccisi.
Sopravvissute alle selezioni forse perché scambiate per gemelle o forse perché figlie di un padre cattolico, o semplicemente per un gioco del destino, le due sorelle Tatiana (6 anni) e Andra (4) vengono internate, insieme al cugino Sergio (7), in un Kinderblock, il blocco dei bambini destinati alle più atroci sperimentazioni mediche.
In questo libro, le sorelle Bucci raccontano, per la prima volta con la loro voce, ciò che hanno vissuto: il freddo, la fame, i giochi nel fango e nella neve, gli spettrali mucchi di cadaveri buttati negli angoli, le fugaci visite della mamma, emaciata fino a diventare irriconoscibile. E sempre, sullo sfondo, quel camino che sputa fumo e fiamme, unica via da cui «si esce» se sei ebreo, come dicono le guardiane.
L’assurda e tragica quotidianità di Birkenau penetra senza altre spiegazioni nella mente delle due bambine, che si convincono che quella è la vita «normale». Il solo modo per resistere e sopravvivere alla tragedia, perché la consuetudine scolora la paura.
Finché, dopo nove mesi di inferno, ecco apparire un soldato con una divisa diversa e una stella rossa sul berretto. Sorride mentre offre una fetta del salame che sta mangiando: è il 27 gennaio 1945, la liberazione. Che non segna però la fine del loro peregrinare.
Dovrà passare altro tempo prima che Tatiana e Andra ritrovino i genitori e quell’infanzia che è stata loro rubata. Le sorelline trascorreranno ancora un anno in un grigio orfanotrofio di Praga e alcuni mesi a Lingfield in Inghilterra, in un centro di recupero diretto da Anna Freud, dove finalmente conosceranno la normalità.
Secondo le stime più recenti ad Auschwitz-Birkenau vennero deportati oltre 230.000 bambini e bambine provenienti da tutta Europa, solo poche decine sono sopravvissuti. Questo è lo struggente racconto di due di loro.
repubblica del 15-01-2019 — pag.
andrea e tati
La memoria
Andra e Tati se queste sono bambine
SIMONETTA FIORI
La deportazione ad Auschwitz, la morte del cugino, la liberazione, la rinascita nel collegio di Anna Freud, la testimonianza. In un libro la storia delle sorelle Bucci attraverso parole, sogni e incubi che ancora le perseguitano
andrea e tatiana bucci con al centro il cugino sergio
Parlano al plurale, sempre con il “noi”, ma sono molto diverse. Andra pensa spesso ad Auschwitz, la notte ha gli incubi anche se poi dimentica. Tati non sogna mai il lager, però è stata a lungo tormentata dall’immagine notturna di un rullo compressore.
Che cosa c’è di più emblematico per un campo di sterminio? Anche quando evoca la tragedia, nella voce di Tati corre un filo di gioiosa vitalità. Forse perché nella casa di Bruxelles dove vive da cinquant’anni l’ha appena raggiunta Andra, che trascorre gran parte dell’anno in California dalla figlia.
Tatiana e Andra Bucci sono le sorelline di Auschwitz, due dei pochissimi bambini sopravvissuti alla deportazione. Insieme hanno vissuto l’arresto e la detenzione nel Kinderblock stemperando l’orrore in normalità. Insieme hanno visto la nonna Rosa Perlow buttarsi in ginocchio davanti a un omone impassibile, la mamma che ischeletriva nel campo, il dondolio dei cadaveri prima di essere scagliati dentro il carro. Insieme hanno affrontato quel lungo viaggio che è “la liberazione nella liberazione”, prima l’orfanotrofio a Praga e poi la rinascita nel collegio inglese diretto da Anna Freud. «Siamo come un francobollo appiccicato su una cartolina», dicono così per restituire una vita in simbiosi.
Andra e Tatiana Bucci durante la loro permanenza a Weir Courtney a Lingfield nel Surrey. —Anonimo (fotografo principale)
Dopo aver ispirato libri, cartoni animati e fumetti, la loro storia è diventata un bellissimo racconto autobiografico che Mondadori pubblica per la Giornata della memoria ( Noi, bambine ad Auschwitz, a cura di Umberto Gentiloni e Marcello Pezzetti, in collaborazione con Stefano Palermo). A renderlo speciale è la qualità della testimonianza, due voci che diventano una ma senza annullarsi vicendevolmente, piuttosto disegnando un mondo di sfumature emotive diverse, perché ai lutti della Storia si può reagire in tanti modi. Tati si è dimenticata subito il numero tatuato sul braccio, Andra è come se l’avesse inciso nell’anima. Quando vanno a Birkenau con le scuole, a Tati viene un groppo alla gola non appena scorge la torretta della guardia ma all’uscita si libera rapidamente della bambina perseguitata, mentre Andra per togliersi quei panni ha bisogno di più tempo. Per lei testimoniare insieme significa condividere un peso. Invece Tati confessa di sentirsi talvolta più libera da sola: perché reimmergersi nell’inferno può far male, molto male, e lei continua a proteggere la “sorellina”. «È stato così per i dieci mesi della detenzione», racconta Tati. «Andra aveva 4 anni, due meno di me: la vedevo fragile, smarrita, più bisognosa di attenzione». Oggi sono due adorabili signore con i capelli bianchi – 81 anni Tati e 79 Andra – ma nella tenerezza con cui si guardano e sorridono complici si intravvedono le bambine prelevate a Fiume da una pattuglia tedesca la sera del 28 marzo del 1944. Ancora ricordano la tavola apparecchiata, in attesa di una cena mai consumata.
Le foto dell’epoca le ritraggono elegantissime, il vestitino cucito a punto smock dalla madre sarta.
Sembrano gemelle, e forse è stata la somiglianza a salvarle dalle camere a gas, formidabile cavia per la follia dei medici nazisti. Furono arrestate nella loro casa insieme alla mamma Mira, alla nonna Rosa, alla zia Sonia e allo zio Jossi, alla zia Gisella e al cuginetto Sergio che non sarebbe più tornato: l’avrebbero ritrovato appeso a un gancio, le ascelle tagliate per una sperimentazione sui linfonodi. Se oggi si domanda alle sorelle Bucci quale sia il dolore più grande, parlano di Sergio: ma non della sua morte, piuttosto della paura di dimenticarlo. «Quando ci rendiamo conto alla fine di una testimonianza di non averlo nominato, ci assale un senso di colpa terribile». Ricordare è ridare vita a chi non c’è più. Loro si sono salvate grazie a una blockova, la sorvegliante del reparto. Era stata la donna a metterle in guardia. Un medico con il camice bianco si sarebbe avvicinato domandando: «Chi vuole rivedere la mamma?».
Tati e Andra sapevano di dover stare immobili, mute come statue di gesso. Avevano avvertito anche Sergio: non ti muovere, altrimenti finisci male. Ma Sergio aveva troppa voglia di riabbracciare sua madre.
andrea e tatiana bucci a firenze dove ricevono la cittadinanza onoraria
Zia Gisella non avrebbe mai creduto alla morte orribile del figlio. E fino alla fine dei suoi giorni l’ha immaginato vivo e bellissimo in qualche angolo di mondo.
La loro è la storia di una famiglia ebrea-russa che ha attraversato tre imperi – quello zarista, l’asburgico e il regime mussoliniano conservando la ricchezza della Mitteleuropa e un senso inestinguibile di tolleranza. Una storia al femminile dove le protagoniste sono la nonna materna Rosa – una guerriera sopravvissuta ai pogrom dell’Europa Orientale – e la mamma Mira che ha allevato le figlie sostanzialmente da sola mentre il marito navigava per lunghi periodi in qualità di cuoco. Per il padre Nino Bucich italianizzato Bucci – figlio di famiglia cattolica rimasto prigioniero in Sudafrica fino alla fine della guerra – le due sorelle hanno parole di amorosa gratitudine. Ma la figura con cui non smettono di fare i conti è Mira, la madre che ad Auschwitz rischiava la vita per andare a vedere le sue bambine. «Ci abbracciava e ci baciava e la prima cosa che faceva era ripeterci i nostri nomi: voleva tenerci ancorate alla vita, quella fuori dal campo». E Tati e Andra non si perdonano ancora di aver provato ribrezzo per il suo corpo scarnificato. E di aver convissuto serenamente con l’idea della sua morte. Quando nel dicembre del 1946 la ritrovano sulla banchina del treno che da dall’Inghilterra le riportava a Roma restano impietrite dall’emozione. «C’era una folla intorno a noi, uomini e donne accorsi con in mano la foto dei loro bambini scomparsi ad Auschwitz: li conoscete? Sapete dove sono?».
Mira non dice nulla e capisce tutto.
Di Auschwitz con le figlie non avrebbe parlato più. Era il suo modo per proteggerle: un lungo e impenetrabile silenzio. «Una sera eravamo a casa a vedere in televisione un servizio sui campi di sterminio. Noi due e la mamma scoppiammo a piangere. Allora papà spense la tv. Andammo tutti a letto e non ne avremmo più fatto cenno». Si apriva una crepa, meglio chiuderla subito. E guardare avanti.
nota del blog, dentro il racconto
Meglio non sapere
Titti Marrone
riprende il racconto::
Tati e Andra si sono sposate, hanno avuto buone vite ricche di affetto e amicizia. Da poco è rimasta vedova anche Tati ed è una festa quando si ritrovano. Tra loro parlano di tutto ma non di Auschwitz, non ne sentono il bisogno. Da vent’anni, dall’uscita del libro rivelatore di Titti Marrone, fanno testimonianza nelle scuole d’Europa. Restano colpite ogni volta che in Germania i ragazzi abbassano lo sguardo, come imbarazzati. «In quel paese il processo di elaborazione sullo sterminio è stato profondo, mentre in Italia sembra tuttora incompiuto, anche per la difficoltà degli italiani ad ammettere le loro responsabilità». Negli ultimi tempi testimoniare ha acquistato un nuovo significato civile, la volontà di contrastare i rigurgiti neofascisti e il clima di odio contro i migranti.
«Non si possono paragonare i campi di sterminio ai centri di detenzione per i nordafricani, ma quelle immagini di sofferenza sono un’offesa anche alla nostra storia: prima il nemico eravamo noi ebrei, oggi i neri».
Il loro desiderio più grande è andare a ballare davanti al cancello di Auschwitz insieme a tutti i nipoti.
«La colonna sonora? I Will Survive di Gloria Gaynor». Anche Andra sorride. Tati la guarda e sembra felice.
I Will Survive
Gloria Gaynor
Kept thinking I could never live without you by my side
But then I spent so many nights thinking how you did me wrong
And I grew strong
And I learned how to get along
And so you’re back
From outer space
I just walked in to find you here with that sad look upon your face
I should have changed that stupid lock, I should have made you leave your key
If I’d known for just one second you’d be back to bother me
Go on now, go, walk out the door
Just turn around now
‘Cause you’re not welcome anymore
Weren’t you the one who tried to hurt me with goodbye
Do you think I’d crumble
Did you think I’d lay down and die?
Oh, as long as I know how to love, I know I’ll stay alive
I’ve got…
Sopravviverò
Sulle prime avevo paura
Ero pietrificata
Continuavo a pensare che non avrei mai potuto vivere
Senza di te al mio fianco
Tuttavia ho passato molte notti
A pensare al modo in cui tu mi facesti torto
E mi sono rafforzata
Ed ho appreso come poter andare avanti
E quindi tu fai ritorno
Da perfetto sconosciuto
Sono appena entrata per trovarti qui
Con quell’ aspetto triste sul tuo viso
Avrei dovuto cambiare quella stupida serratura
Avrei dovuto farti depositare le chiavi
Se solo per un istante mi fossi resa conto
Che saresti tornato a seccarmi
Adesso avanti esci da quella porta
Fai dietro-front già proprio così
Perché non sei più il benvenuto
Non sei tu quello che provò a ferirmi con l’addio?
Pensavi che crollassi?
Pensavi che mi accasciassi e morissi?
Oh no, Non io
Sopravviverò
Oh fino a che saprò come amare
So che rimarrò viva
Ho tutta la vita da vivere
Ho tutto il mio amore da dare
E sopravviverò
Sopravviverò (Hey-hey)
Ho preso tutta la forza che avevo
Per non andare in pezzi
Ho continuato a provare duramente a mettere insieme
I cocci del mio povero cuore infranto
E ho passato oh così tante notti
Proprio a compiangermi
Piangevo
Ma adesso tengo la testa alta
E tu mi vedi
Rinnovata
Non sono quella persona dappoco tenuta legata
Ancora innamorata di te
E così tu ti sei sentito di fare una capatina
E ti aspettavi proprio che io fossi libera
Ed ora io riserbo tutto il mio affetto
Per qualcuno che mi ama
Adesso avanti esci da quella porta
Fai dietro-front già proprio così
Perché non sei più il benvenuto
Non sei tu quello che provò a ferirmi con l’addio?
Pensavi che crollassi?
Pensavi che mi accasciassi e morissi?
Oh no, Non io
Sopravviverò
Oh fino a che saprò come amare
So che rimarrò viva
Ho tutta la vita da vivere
Ho tutto il mio amore da dare
E sopravviverò
Sopravviverò.
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