REPUBBLICA DEL 15-01-2019 –pag. 14
Libia
Crisi politica a Tripoli::: Il presidente Serraj sfiduciato dai suoi vice
È accusato di prendere decisioni unilaterali e di essere responsabile del collasso del Paese. A rischio gli accordi Onu
vincenzo nigro
Per ora nessuno mette mano alle armi, ma in Libia è scontro aperto fra il capo del Consiglio Presidenziale Fayez Serraj e i suoi tre vice. Sabato scorso con una lettera aperta passata alla stampa i vicepresidenti avevano accusato il presidente di accentrare tutte le decisioni, andando contro le stesse regole approvate dall’Onu per il funzionamento del Consiglio.
Adesso con un’intervista a una tv turca, Serraj risponde accusando i suoi vice di essere loro ad aver avviato lo scontro all’interno del Consiglio invece di contribuire a risolvere i contrasti. « Mi appello ai membri del Consiglio, li invito ad essere razionali e saggi quando affrontano temi di interesse nazionale: il nostro lavoro deve unire tutti i libici attorno a un progetto che eviti interventi stranieri e preservi la sovranità dei libici». Una crisi politica molto dura, che potrebbe mettere a rischio quel che rimane della struttura politica istituzionale messa in piedi dagli accordi Onu di Skirat del 17 dicembre 2015.
Ahmed Maiteeg
I tre vicepresidenti Ahmed Maitig (Misurata), Fathi Al-Mijburi ( Cirenaica) e Abdelsalam Kajman ( Fratelli Musulmani) dopo settimane di tensioni con il presidente lo avevano accusato pubblicamente di prendere decisioni senza il loro consenso, come invece prevedono gli accordi del 2015 che hanno creato lo stesso Consiglio Presidenziale. Uno degli ultimi casi era stato la nomina di un nuovo ministro della Sanità che i vice- presidenti non hanno votato e hanno deciso di congelare. Quando Serraj ha provato a far partecipare il nuovo ministro a una seduta del Consiglio Presidenziale con il governo, i vice hanno bloccato la riunione e hanno fatto uscire il nuovo ministro.
Nella lettera di protesta i tre hanno annunciato di « non voler appoggiare un processo decisionale individuale che rischia di portare il paese verso l’ignoto e verso un nuovo scontro armato tra fazioni». «Noi riteniamo il presidente Serraj responsabile per le ripercussioni dell’imminente collasso del paese e delle sue istituzioni, che riporterà indietro la Libia » . Le decisioni di Serraj « sono irresponsabili, frutto di un atteggiamento individualistico adottato nel prendere decisioni vitali».
Maitig all’interno del Consiglio presidenziale rappresenta una parte importante della città di Misurata. Abdel Salam Kajman è collegato all’area politica dei Fratelli Musulmani e Mijburi è espressione dell’Est del paese.
il manifesto del 15-01-2019
https://ilmanifesto.it/i-vice-si-ribellano-a-serraj-conte-in-niger-e-ciad/
I vice si ribellano a Serraj. Conte in Niger e Ciad
Libia. Il nuovo caos politico a Tripoli sa di “golpe”. Il premier, sempre più debole, strigliato anche dall’inviato Onu Salamè. Intanto nei due paesi a sud, crocevia di trafficanti di uomini e mercenari, arriva il primo ministro italiano
Scalpitava da giorni, Ahmed Maetig, il più influente tra i cinque vice premier del governo di Tripoli e alla fine, domenica, con altri due meno illustri colleghi-vice ha dato il benservito al suo capo, Fayez Serraj
. I tre – lui più Fathi Majbari e Abdel Salam Kajman – hanno pubblicato una lettera di fuoco all’indirizzo di Serraj: lo accusano al tempo stesso di essere un accentratore di decisioni e di non fare abbastanza su tutte le principali questioni – «terrorismo, immigrazione illegale, crisi economica» – conducendo così la Libia «verso l’ignoto», «al punto di partenza», alla guerra.
Serraj ieri ha risposto accusando i tre ribelli di voler «mantenere lo status quo» e, per rassicurare la comunità internazionale che finora non gli ha mai fatto mancare l’appoggio, ha aggiunto di non credere che «gli attuali conflitti politici possano diventare violenti».
Ma non sono esclusi voltafaccia clamorosi nelle prossime ore, nelle quali tra l’altro è programmata la visita del premier italiano Giuseppe Conte in Niger e Ciad, ovvero nell’area a sud della frontiera libica, zona finora monitorata dalla forza del G5 Sahel a guida francese ma che l’Italia da tempo vuole affiancare con almeno 400 soldati nel controllo delle sabbiose e friabili frontiere sulla rotta dei trafficanti di esseri umani e dei mercenari chadiani e sudanesi.
Proprio nel sud della Libia, a Sebha, capoluogo del Fezzan, solo pochi giorni fa si è recato per la prima volta l’inviato speciale delle Nazioni Unite Ghassam Salamé, per poi spostarsi a Bengasi. Salamé non ha risparmiato a Serraj larvate critiche di inconcludenza. Gli ha chiesto di accelerare sia sul ripristino di condizioni di sicurezza nella capitale, sia sulle riforme economiche, per poter arrivare a primavera con un quadro che consenta lo svolgimento di elezioni generali, del referendum di conferma della Costituzione e infine delle presidenziali.
Dopo la conferenza di Palermo del 12 e 13 novembre Salamé aveva anche programmato una conferenza di pacificazione in Libia entro gennaio, della quale però si sono perse le tracce.
L’iniziativa dei tre vice ribelli complica il quadro. Maetig è un esponente di spicco della città-Stato di Misurata, asse militare del governo di Tripoli. Le milizie misuratine sono quelle che hanno massacrato il colonnello Gheddafi a Sirte e poi sconfitto l’Isis nella stessa città.
Ora Maetig, 46 anni, rampollo di una famiglia in vista, ex imprenditore del ramo alberghiero e costruzioni, ambisce a una posizione di primo piano. Si dice sia stato lui a portare a Palermo il generale cirenaico Khalifa Belqasim Haftar e continua a intrattenere relazioni strette con il Parlamento di Tobruk (Hor) a cui Haftar fa capo. Non pare abbia gradito che nell’ultimo rimpasto, dopo Palermo, Serraj abbia nominato un altro misuratino nuovo ministro dell’Interno: Fathi Beshaga, che ha appena riselezionato le tre milizie accreditate alla sicurezza nella capitale escludendo le più vicine ad Haftar. Forse Maetig vagheggia addirittura di sostituire Serraj.
A Misurata, feudo della Fratellanza musulmana, la scorsa settimana è arrivato un carico di armi camuffate da pistole-giocattolo dalla Turchia. La cosa ha mandato su tutte le furie Haftar, acerrimo nemico della Fratellanza, che ha gridato alla violazione dell’embargo Onu.
E il Qatar, alleato della Turchia, ieri ha messo sul piatto 20 milioni di dollari per «contribuire alle spese per il rimpatrio di migranti illegali detenuti in Libia». Le sorti della Libia non sono ancora nelle mani dei libici, ma neanche in quelle dell’Italia, men che meno di Maetig.