Lelio Basso nel 1949
Lelio Basso (Varazze, 1903 – Roma, 1978) è stato un avvocato, giornalista, antifascista, politico e politologo italiano.
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8 MARZO 2012
Profili libertari. Lelio Basso, Introduzione a: “Rosa Luxemburg, una vita per il socialismo”, 1973, pp. 5-20.
Rosa Luxemburg
Una vita per il socialismo
Lelio Basso
Non so se accadrà a qualche distratto osservatore di porsi la domanda per quale ragione la Fondazione Lelio e Lisli Basso – Issoco (Istituto per lo studio della società contemporanea), desiderando iniziare una serie, che si augura lunga, di Settimane internazionali di studi marxisti, abbia scelto come tema di questa prima settimana “il contributo di Rosa Luxemburg allo sviluppo del pensiero marxista.” È proprio così attuale e così importante questo contributo da meritare un così largo convegno internazionale di studiosi marxisti? Non vi erano forse temi di più stringente attualità?
Forse la miglior risposta consisterebbe nel rovesciare la domanda e porsi il quesito come mai soltanto ora, a oltre cent’anni dalla sua nascita, a oltre cinquanta dalla sua morte, si cominci ad affrontare seriamente lo studio del pensiero della Luxemburg, la cui importanza non era certo sfuggita ai contemporanei, se lo storico Franz Mehring la definì – viventeKautsky che era da tutti considerato come il “papa” del marxismo – “il cervello più geniale fra gli eredi scientifici di Marx e di Engels,” se un bolscevico militante come Radek la definì, vivente Lenin, “il più profondo cervello teorico del comunismo,” se un altro comunista, il filosofo Lukàcs, nello stesso periodo, la qualificò come “la sola discepola di Marx che abbia prolungato realmente l’opera della sua vita,” se lo stesso Lenin infine, che pure su parecchi problemi aveva avuto occasione di polemizzare con lei, auspicò subito dopo la sua morte che i comunisti tedeschi ne raccogliessero e pubblicassero le opere complete.
Le lotte interne del Partito comunista tedesco prima e poi le vicende della Terza Internazionale, con il trionfo del dogmatismo staliniano, non soltanto resero impossibile l’adempimento dell’auspicio di Lenin, ma fecero si che dopo il 1930 non solo gli scritti ma il nome stesso della Luxemburg fossero banditi dal novero delle pubblicazioni “ortodosse.” Se questa sorte doveva essere riservata da parte dei comunisti a Rosa Luxemburg, che del Partito comunista tedesco era stata fondatrice e che tante battaglie aveva combattuto a fianco di Lenin, figuriamoci quale doveva essere l’atteggiamento dei socialdemocratici, che essa aveva aspramente combattuto e pubblicamente denunciato, e che erano stati, se non proprio i mandanti materiali (questo rimarrà forse per sempre un segreto della storia, anche se io propendo per l’affermativa), certo i responsabili morali del suo assassinio. Solo due suoi scritti i socialdemocratici trassero dall’oblio, i due in cui aveva polemizzato con Lenin, falsandone così anche dopo la morte l’immagine che avevano sempre travisato in vita.
Ci son voluti tutti questi decenni perché il clima cambiasse e i suoi scritti tornassero a poco a poco ad essere letti e studiati, non più soltanto, come forse era accaduto nel corso della sua vita ai suoi stessi seguaci, come scritti di polemica contingente, ma come contributi importanti a un’interpretazione viva ed attuale del pensiero di Marx, che va largamente incontro a certe esigenze manifestatesi nelle giovani generazioni. Oggi finalmente è in corso a Berlino Est, a cura dell’Istituto marxismo-leninismo presso il Comitato Centrale della SED (Partito socialista unificato della Repubblica democratica tedesca), un’edizione in sei volumi dei suoi scritti, che se non è ancora l’edizione completa, raccoglie certamente assai più di metà dei suoi scritti e discorsi. E traduzioni in più volumi delle sue principali opere si sono avute in parecchie lingue. Si deve tuttavia ancor oggi deplorare che molte sue lettere rimangono inedite, anche se questi ultimi anni hanno visto la pubblicazione di parecchi carteggi, fra cui principalissimo quello in tre volumi con Leo Jogiches, compagno per molti anni della sua vita (di cui una traduzione antologica italiana sta uscendo in questi stessi giorni), e quello con la sua segretaria Mathilde Jacob, che la Fondazione Hoover dell’Università di Stanford (California) ha tenuto per anni ermeticamente sotto chiave e che ha visto la luce solo grazie alle fortunate ricerche di uno studioso giapponese.
Solo ora quindi diventano accessibili agli studiosi dei vari paesi scritti che prima erano sparsi in giornali e riviste reperibili soltanto presso pochissime biblioteche specializzate, o pubblicati in una lingua, come quella polacca, scarsamente conosciuta fuori di Polonia, o infine gelosamente custoditi in archivi di molto difficile accesso. E questo spiega come gli studi sull’opera, ma soprattutto sul pensiero di Rosa Luxemburg, siano tuttora scarsi: se una bibliografia quasi completa è stata pubblicata in Polonia (e ripubblicata, con correzioni ed aggiunte, in Italia), se la biografia del Nettl, in due volumi, può essere considerata, allo stato, soddisfacente (anche se certamente ulteriori ricerche e ulteriori pubblicazioni consentiranno di meglio acclarare e approfondire certi aspetti significativi), non si può dire che esista ancora uno studio completo, anche se certamente non definitivo, sul pensiero luxemburghiano. Siamo tuttavia in un momento fecondo, in cui studiosi di vari paesi s’interessano sempre maggiormente alla rivoluzionaria polacca, per cui è parso importante cercare di riunire i principali di essi a confronto per cominciare a fare un primo bilancio delle ricerche e degli studi compiuti sin qui, in modo da stimolarne e affrettarne l’ulteriore sviluppo e cercare di riguadagnare, almeno in parte, i decenni che sono andati perduti. La situazione attuale del movimento operaio internazionale non è poi così brillante da permettersi di lasciar disperdere un patrimonio cosi ricco di intelligenza quale è quello costituito dal retaggio di Rosa Luxemburg.
Tanto più importante e necessario è sembrato questo bilancio del suo lavoro intellettuale, in quanto la straordinaria ricchezza della sua umanità e il fascino della sua personalità, che hanno già attratto insigni uomini di teatro, potrebbero, sia pure involontariamente, contribuire a darcene un’immagine distorta, come di un personaggio romanticamente rivoluzionario, così romantico da far getto quasi volontario della vita pur di non incorrere nel rimprovero di pavidità.
Non abbiamo certo la pretesa neppure lontana di dare in queste poche pagine una sintesi del suo pensiero e neppure un’esposizione sommaria del suo lavoro teorico: chi voglia conoscere questi aspetti dovrà necessariamente consultare i lavori già esistenti e, soprattutto, gli atti di questo convegno, i quali anch’essi, del resto, costituiranno più un punto di partenza che di arrivo nel lungo lavoro necessario per dare a Rosa Luxemburg il posto che veramente le spetta nella storia del pensiero marxista. Qui vogliamo dare soltanto i momenti essenziali di una biografia, ricca di eventi pur nel corso piuttosto breve degli anni (meno di cinquanta), e indicare i principali temi con cui si è confrontata.
Nacque il 5 marzo del 1870 o 1871 (il suo più recente biografo, Nettl, ha sostenuto quest’ultima data contro l’opinione comunemente affermata in precedenza) a Zamosc, nella Polonia russa, ma già nel 1873 la famiglia si era trasferita nella capitale della Polonia russa, Varsavia.
Il padre era un commerciante ebreo, benestante, che aveva fatto i suoi studi in Germania e anche la madre aveva una buona formazione culturale. Rosa frequentò a Varsavia le scuole elementari e secondarie e ne uscì con un’ottima votazione nel 1887. Poco si conosce della sua attività di quegli anni; si sa che essa si orientò verso le correnti rivoluzionarie di sinistra, pare sotto la diretta influenza del leader Marcin Kasprzak, che doveva poi morire impiccato nel corso della prima rivoluzione russa. Non si sa esattamente per quali motivi, dovette espatriare clandestinamente dalla Polonia, probabilmente verso la fine del 1888, e nel semestre invernale 1890-91 si iscrisse alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Zurigo, per poi passare alla Facoltà giuridica e dedicarsi a studi, oltre che di diritto pubblico, principalmente di economia. Prese il suo dottorato nel 1897, “magna cum laude,” con una tesi su Lo sviluppo industriale della Polonia, che l’anno dopo fu pubblicata da un editore tedesco: il suo maestro, il professorJulius Wolf, ne parla nelle sue memorie come “della più dotata fra i miei allievi di Zurigo”.
Ma gli anni universitari erano stati anche anni d’intensa attività politica. Nel 1892 veniva fondato il Partito socialista polacco, ma un gruppo di giovani emigrati polacchi, considerando che questo partito poneva eccessivamente l’accento sulla priorità dell’indipendenza nazionale polacca, e con ciò allontanava gli operai polacchi da quelli russi anziché cercare di affratellarli nella comune lotta di classe contro il capitalismo russo-polacco, davano vita nel 1893 ad una nuova formazione socialista, che s’intitolava “Socialdemocrazia del regno di Polonia” (SDKP). Mentre il Partito socialista si rivolgeva ai polacchi che vivevano tanto sotto il dominio russo quanto sotto quello tedesco ed austriaco, la SDKP si rivolgeva soltanto ai polacchi del Regno di Polonia (cioè della zona sotto dominio russo), considerando più importante unire il proletariato che viveva nell’impero zarista, a qualunque nazionalità appartenesse, che non impegnarne le forze in una lotta per l’indipendenza che lo avrebbe posto in una posizione subalterna rispetto ai ceti borghesi o addirittura, in Polonia, aristocratici. Lungo tutto il corso della sua vita, o almeno fino alla guerra mondiale (che visse quasi interamente in carcere), Rosa Luxemburg continuò a far parte del gruppo dirigente di questo partito e a sostenere aspre polemiche con quelli che essa chiamava i “socialpatrioti.” Ciò fece nascere polemiche anche con Lenin, che viceversa sosteneva le aspirazioni nazionali di tutti i popoli viventi sotto il dominio zarista, perché in queste aspirazioni nazionali vedeva delle forze che avrebbero potuto combattere, sia pure da un punto di vista diverso, lo zarismo. Ma che la posizione della Luxemburg non fosse campata in aria, lo si poté constatare dopo la fine della prima guerra mondiale, quando nella Polonia ridivenuta indipendente, fu proprio il leader dell’ala destra del Partito socialista, tenace assertore dell’indipendenza polacca, il maresciallo Pilsudski, che instaurò in Polonia la dittatura fascista.
Il gruppo che aveva dato vita al nuovo partito era formato principalmente da giovani emigrati polacchi e Rosa Luxemburg, poco più che ventenne, ne era già il principale cervello, mentre il talento organizzativo era un giovane ebreo lituano, Leo Jogiches, condiscepolo di Rosa all’Università di Zurigo, che divenne tosto il compagno della sua vita. Il partito aveva fondato nel 1893 a Parigi un suo organo di stampa, “La causa operaia,” e Rosa dovette in quegli anni trascorrere molti mesi a Parigi per occuparsi del periodico di cui era la principale redattrice. Nel 1893 tentò di ottenere dal Congresso socialista internazionale di Zurigo il riconoscimento della legittimità della nuova formazione a rappresentare gruppi di lavoratori polacchi organizzati, ma l’aperta ostilità dei leader socialisti polacchi e la tradizionale inclinazione del movimento operaio in favore dell’indipendenza polacca, le chiusero la strada. Tre anni dopo, al congresso di Londra, ebbe invece partita vinta contro le stesse opposizioni, e da allora partecipò sempre attivamente e intensamente alla vita dell’Internazionale, sia in rappresentanza del suo partito polacco, sia in rappresentanza del partito tedesco in cui andò poco dopo a militare, sia infine in rappresentanza del partito russo, di cui la SDKP costituiva una componente autonoma. La vittoria ottenuta a Londra era stata però preceduta dalla pubblicazione di alcuni articoli della Luxemburg sulla massima rivista teorica marxista, “Die Neue Zeit” diretta da Kautsky, che avevano avuta larga eco e le valsero di essere internazionalmente conosciuta. Anche la “Critica sociale” di Turati pubblicò un suo articolo sul problema nazionale polacco, ma Antonio Labriola prese posizione contro di lei.
Terminati i suoi studi a Zurigo come Doctor juris publici et rerum cameralium, si rifiutò di continuare a vivere nella piccola cerchia degli emigrati per occuparsi soltanto di cose polacche e decise di scegliere per la sua attività militante la Germania, che in quel momento era all’avanguardia del movimento operaio, sia sul piano pratico della forza organizzata sia per la vivacità delle discussioni teoriche. Per assicurarsi contro i pericoli d’espulsione acquistò la cittadinanza germanica mediante un matrimonio “bianco” celebrato con Gustav Liibeck nell’aprile 1898. Meno di un mese dopo era a Berlino, dove iniziava subito un lavoro di partito con tanto impegno e con tanto successo che alla fine di settembre era già nominata direttrice del quotidiano socialista di Dresda,Sächsische Arbeiter-Zeitung, incarico che tuttavia abbandonò quasi subito.
Si era allora in Germania in pieno dibattito fra “ortodossi” e “revisionisti,” a seguito della pubblicazione di una serie di articoli del revisionista Bernstein, che aveva attaccato i principi fondamentali del marxismo. Alla polemica partecipavano contro Bernstein i più grossi calibri del marxismo ortodosso, come Kautsky e Plechanov, e tuttavia gli articoli della Luxemburg, poi raccolti in opuscolo nel 1899 ( Riforma sociale o rivoluzione? ) furono pressoché unanimemente giudicati la miglior risposta a Bernstein e costituiscono tuttora un modello di metodo dialettico. Il merito principale di questo scritto della Luxemburg è di aver posto l’accento sul principale aspetto della dialettica marxiana: la società vista come totalità concreta, come insieme di relazioni organicamente collegate e non come nude serie di fatti, come disiecta membra che possono essere separatamente analizzati. Alla società capitalistica concepita come totalità si contrappone il movimento operaio anch’esso concepito come totalità, per cui le singole azioni, le lotte quotidiane, gli obiettivi parziali, le riforme sociali hanno un senso solo se entrano in un contesto generale che li collega, come momenti di un processo unitario, allo scopo finale della rivoluzione socialista. Lukács riconoscerà vent’anni dopo, in questo saggio polemico della Luxemburg, un contributo fondamentale allo sviluppo del pensiero marxista.
In questa visione generale rientra anche un problema particolare che sarà grande merito della Luxemburg di aver portato in primo piano nelle discussioni del movimento operaio: il problema del militarismo e dell’imperialismo. Riconobbe infatti la Luxemburg che nel sistema capitalistico, visto come totalità, il militarismo e l’imperialismo erano momenti necessari e insopprimibili come risposta del capitalismo alle proprie contraddizioni. Del militarismo indicò, prima fra i marxisti, accanto alla funzione di politica internazionale (politica di potenza) e di politica interna (repressione) anche la funzione di politica economica, quella cioè di creare a carico dello Stato, e quindi a spese della collettività, un mercato sussidiario solvibile per assorbire la produzione capitalistica e assicurare il meccanismo del profitto (funzione che è stata messa in particolare evidenza dall’economia postbellica degli Stati Uniti); dell’imperialismo vide chiaramente l’analoga funzione di creare continuamente nuovi mercati esterni, un tema a cui dedicò, poco prima della prima guerra mondiale, una delle sue opere fondamentali: l’Accumulazione del capitale.
Ma sempre nel quadro del principio di totalità, da lei ristabilito come principio fondamentale del marxismo, essa legò immediatamente le lotte operaie a questi fenomeni capitalistici: si batté cioè perché la lotta contro il militarismo e l’imperialismo diventasse un aspetto fondamentale della lotta socialista, per impedire la guerra se fosse stato possibile o per preparare il proletariato ad affrontarla da una posizione di lotta se la guerra fosse egualmente scoppiata. È noto che Marx aveva affermato fin dal 1850 che una rivoluzione non sarebbe scoppiata senza una crisi, senza cioè un grave turbamento dell’equilibrio sociale provocato dalle contraddizioni capitalistiche, tale da paralizzare, almeno fino a un certo punto, le forze spontanee di riequilibramento che sono insite nel sistema. Marx vedeva questa crisi normalmente come una grande crisi economica, ma le speranze di veder nascere la rivoluzione socialista da una crisi economica erano andate spegnendosi verso la fine del secolo e spetta a Rosa Luxemburg il merito di aver sostenuto che una guerra, cioè una crisi politica, avrebbe potuto anch’essa rappresentare un tale turbamento dell’equilibrio da render possibile una rivoluzione. Le due rivoluzioni russe, del 1905 e del 1917, la rivoluzione jugoslava, quella vietnamita e quella cinese, dovevano poi confermare questa sua intuizione.
Rosa Luxemburg ebbe due volte occasione di trattare questi temi in congressi internazionali: la prima volta nel 1900 al congresso dell’Internazionale a Parigi, dove fu appunto relatrice sul tema della guerra, e la seconda volta al congresso dell’Internazionale a Stoccarda del 1907, dove in un dibattito di enorme importanza, cui parteciparono i leader dei principali partiti, da Bebel a Jaurès, essa riuscì a far approvare un suo emendamento (che recava, dopo la sua, le firme di Lenin e di Martov), che praticamente gettava le basi di quella che sarà poi la strategia leninista, quella cioè di trasformare la guerra imperialista in rivoluzione sociale. Cinque anni dopo, l’ultimo congresso prebellico dell’Internazionale, quello di Basilea, confermava la risoluzione Luxemburg.
Un’altra battaglia importante della sua vita, all’interno del movimento operaio, fu quella combattuta contro le tendenze opportunistiche palesi o mascherate. Opportunista palese era il Bernstein, che aveva tentato di dare all’opportunismo una base teorica, e la Luxemburg lo aveva smascherato mostrando che la posizione di Bernstein non era, come sosteneva Kautsky, la posizione sbagliata di un socialista, ma la posizione giusta di un piccolo-borghese infiltratosi nel movimento operaio. Opportunisti mascherati erano invece i dirigenti della socialdemocrazia tedesca che, pur polemizzando con Bernstein e difendendo a parole il marxismo, praticavano nei fatti una politica opportunista, una politica che favoriva la graduale e quasi insensibile integrazione del movimento operaio nella società borghese: così insensibile che quando si rivelerà al chiaro giorno, con l’adesione della socialdemocrazia tedesca alla guerra imperialistica del 1914, nemmeno Lenin riuscirà a credere ai suoi occhi. La Luxemburg fu la prima a denunciare questo opportunismo “strisciante,” mascherato di propositi rivoluzionari: attaccò vivacemente i sindacalisti e la loro politica; attaccò la nascente burocrazia di partito che a poco a poco si sostituiva all’iniziativa e allo spirito di lotta delle masse per non compromettere l'”organizzazione,” e con ciò soffocava e mortificava lo spirito di lotta preparando le capitolazioni successive; attaccò i gruppi parlamentari che per preoccupazioni elettoralistiche si orientavano sempre più verso l’appoggio ai governi locali e al governo imperiale, abbandonavano la tradizionale politica di opposizione al riarmo, vendevano per un piatto di lenticchie la primogenitura classista del proletariato tedesco. Ma a cominciare dal 1910 attaccò apertamente anche Kautsky, da tutti ancora riconosciuto come l’interprete ufficiale del marxismo rivoluzionario, che Lenin considerava ancora un maestro, mentre la Luxemburg dimostrava che le formule kautskiane, che facevano della rivoluzione il risultato fatale di un processo oggettivo, anziché il frutto di una tensione e di una lotta di intensità crescente della classe operaia, erano semplicemente la copertura di una politica del giorno per giorno, erano l’espressione di un attendismo che, staccando la rivoluzione dalla lotta quotidiana e rimandandola all’infinito favoriva praticamente l’opportunismo quotidiano, che rimaneva l’unico scopo dell’attività del partito. Solo dopo lo scoppio della guerra, Lenin riconoscerà in una lettera che Rosa Luxemburg aveva ragione nelle sue denunce contro Kautsky.
L’attendismo di Kautsky, che a partire dal 1910 fu teorizzato come “strategia del logoramento” dell’avversario (praticamente una guerra di trincea, secondo l’espressione gramsciana), non era altro che la giustificazione teorica della politica ufficiale del partito che, sotto l’accorta guida di Bebel, mirava da un lato a mantenere l’unità del movimento, dando in pasto allo spirito rivoluzionario ancora presente nelle masse la certezza della rivoluzione futura, ma dall’altro a svolgere una politica di riformismo quotidiano e di consolidamento elettorale, che, nelle speranze socialdemocratiche, avrebbe dovuto sboccare a breve scadenza in una maggioranza parlamentare che avrebbe fatto del partito socialdemocratico l’arbitro della vita politica. A questa strategia opportunistica, che doveva di fatto realizzare, come abbiamo detto, la silenziosa integrazione della classe operaia nel sistema, Rosa Luxemburg reagì sempre con grande vivacità polemica e con un severo rigore dialettico. Essa mise in evidenza che la passività della classe operaia, ridotta soltanto alla lotta sindacale per il salario e alle competizioni elettorali, lasciava libero gioco alle forze avversarie in un momento in cui il capitalismo lungi dall’evolvere verso i placidi tramonti, marciava a grandi passi verso la catastrofe della guerra mondiale che avrebbe trovato il proletariato impreparato nell’ora del più grave pericolo. Perciò fu ardente sostenitrice di una strategia offensiva che cogliesse tutte le contraddizioni del capitalismo e ne facesse motivo di grosse battaglie, non però isolate come battaglie autonome, sindacali o politiche, ma unificandole in un comune sforzo teso sempre verso la meta finale.
Lo scoppio della rivoluzione russa nel 1905 (che confermava previsioni che essa aveva già fatto sull’incandescente situazione russa e sul progressivo maturare di un’ondata rivoluzionaria) la indusse a ritornare nella sua patria, appunto la Polonia russa, per partecipare di persona alla lotta rivoluzionaria. Scoperta dalla polizia zarista e arrestata, poi messa in libertà provvisoria a causa delle sue condizioni di salute, poté tornare in Germania, dove si pose di nuovo alla testa dell’opposizione di sinistra alla linea ufficiale. L’esperienza della rivoluzione russa aveva mostrato quale ruolo importante avesse svolto, durante tutto il corso del 1905, l’arma dello sciopero di massa ed essa si fece aperta sostenitrice di questo mezzo di lotta anche nei paesi occidentali. Da tempo si discuteva nel movimento operaio internazionale sullo sciopero generale, ma sia i fautori di esso (soprattutto gli antimilitaristi che pensavano ad uno sciopero generale da proclamarsi in caso di guerra per paralizzare l’azione dei governi belligeranti) quanto i suoi oppositori (soprattutto i dirigenti sindacali, che erano per principio contrari a qualunque sciopero politico in quanto la direzione di essi sarebbe passata ai leader politici, e più ancora allo sciopero generale che rischiava di mettere in pericolo ed esporre a rappresaglie dell’autorità la solidità dell’organizzazione sindacale) avevano sempre pensato allo sciopero generale come a un movimento che dovesse essere scatenato a comando, su ordine del partito o del sindacato, quando i dirigenti avessero ritenuto giunto il momento opportuno. I dirigenti socialdemocratici tedeschi, per es., avevano nel 1905 accettato l’eventualità dello sciopero generale, ma nel caso che fosse messo in pericolo il suffragio universale o che fossero attaccate le libertà fondamentali; dal canto loro i sindacalisti sostenevano che uno sciopero generale non sarebbe stato possibile fino a che tutti i lavoratori non fossero stati iscritti al sindacato, perché i sindacati non avevano autorità sulle masse non organizzate.
Contro questa concezione meccanica, Rosa Luxemburg sostenne l’importanza del momento della spontaneità nell’azione delle masse: senza negare i compiti fondamentali del partito, essa mostrò che è una mera illusione quella di pensare che basti premere un bottone alla direzione del partito o del sindacato perché le masse si mettano in movimento, se non sussistono per questo le condizioni obiettive e se queste condizioni obiettive non hanno creato nelle masse una spontanea disposizione al combattimento. Questo era stato appunto l’insegnamento della rivoluzione russa del 1905, che nessun partito aveva ordinato, ma che era scoppiata perché le masse, nella loro vita e nella loro sensibilità quotidiana, avevano avvertito prima dei partiti, irretiti nelle loro formule, la necessità e l’urgenza di reagire alla situazione che la guerra russo-giapponese, le peggiorate condizioni di vita e la politica repressiva dello zarismo avevano creato. Perciò la tesi che essa svolse fu non che si dovesse proclamare a freddo uno sciopero di massa, e neppure che si dovesse passivamente attendere che la spontaneità delle masse si manifestasse attraverso uno sciopero di massa, ma che il partito dovesse cercare di sollecitare sempre l’iniziativa offensiva e lo sviluppo di coscienza delle masse, facendo leva su tutti i conflitti che lo sviluppo capitalistico, e soprattutto la fase imperialistica, portavano inevitabilmente con sé.
Questa sua battaglia coraggiosa, che registrò qualche successo (come la già ricordata approvazione della sua risoluzione al congresso dell’Internazionale del 1907) ma che risultò in ultima analisi sconfitta all’interno della socialdemocrazia tedesca e del movimento operaio occidentale, non le impedì di portare avanti un serio studio teorico, di cui furono occasione soprattutto i suoi corsi alla scuola di partito di Berlino, dove fu, per unanime giudizio, la miglior insegnante. Fu da quelle lezioni infatti che scaturì, oltre all’incompiuta Introduzione all’economia politica pubblicata postuma, la fondamentale Accumulazione del capitale, da cui possiamo ricavare ancor oggi preziosi insegnamenti per lo studio dell’imperialismo contemporaneo.
Connessa a questi studi teorici sull’imperialismo, la guerra e il modo di combatterli, e pure connessa alla lotta sulla strategia generale del movimento di cui abbiamo parlato, fu la sua costante e ferma battaglia per la democrazia di partito e contro il burocratismo. Questa sua battaglia la portò nel 1904 anche ad uno scontro con Lenin, che aveva viceversa teorizzato il burocratismo come forma organizzativa specifica del movimento operaio, e poco dopo ad una polemica contro la crescente burocratizzazione della socialdemocrazia tedesca, dove l’introduzione dei funzionari stipendiati mirava a spegnere progressivamente qualsiasi capacità autonoma della base per concentrare tutta l’iniziativa politica nelle mani dell’apparato, diretto dai vertici del partito. Sia nella polemica con Lenin nel 1904, sia nel primo grido d’allarme lanciato in Germania nel 1906, essa pronunciò parole purtroppo profetiche sui pericoli che il burocratismo racchiudeva e sugli sviluppi che avrebbe potuto avere, parole profetiche che sono state poi confermate dalla sclerosi della socialdemocrazia e dalle degenerazioni dello stalinismo in Unione Sovietica
D’altra parte, per chi credeva come Marx che l’arma principale della rivoluzione fosse lo sviluppo della coscienza di classe, e quindi la maturazione e la capacità politica delle masse (ricordiamo l’insegnamento marxiano che l’emancipazione della classe operaia sarà l’opera della classe operaia stessa), per chi credeva che le azioni rivoluzionarie non avrebbero mai potuto realizzarsi a comando e non sarebbero state possibili senza un’attiva e spontanea partecipazione delle masse, il problema di una vita democratica del partito era un problema di fondo, che, nella sua visione della totalità del processo rivoluzionario, si fondeva appunto con l’analisi scientifica dello sviluppo della società capitalistica e con la strategia di lotta del movimento operaio.
Negli anni che precedettero la guerra essa intensificò la sua battaglia su quest’insieme di obiettivi, s’impegnò a fondo nella lotta contro il militarismo e contro la guerra imminente e al tempo stesso nella lotta per la conquista del suffragio eguale in Prussia e si sforzò di unificare queste lotte con le lotte contro il rincaro crescente della vita, per sollevare una generale mobilitazione popolare che culminasse appunto in scioperi di massa, arrivando persino a lanciare, fra lo scandalo del partito, la parola d’ordine della repubblica. Il partito dal canto suo si sforzò in ogni modo di isolarla, di ridurla all’impotenza, mentre le autorità iniziarono contro di lei una serie di processi. Uno si concluse a Francoforte, nel 1914, prima dello scoppio della guerra, con la condanna ad un anno di carcere per incitamento dei soldati alla disubbidienza; un secondo avrebbe dovuto iniziarsi in luglio per avere la Luxemburg denunciato pubblicamente i maltrattamenti che i soldati subivano da parte dei superiori. Ma la presentazione in massa di ex soldati che si offrivano come testimoni a difesa (la Zetkin parla addirittura di trentamila offerte di testimonianza) indusse l’autorità a militare sospendere definitivamente il processo.
Pochi giorni dopo scoppiava la prima guerra mondiale e la socialdemocrazia, giungendo al naturale sbocco del corso politico che aveva seguito negli anni precedenti, votava in favore dei crediti di guerra. Il dominio dell’apparato sul partito, da un lato, e l’atmosfera di acceso sciovinismo che la stampa aveva mirato a creare nel paese, dall’altro, resero difficile qualunque tentativo di ribellione. I deputati che nella riunione del gruppo parlamentare si erano pronunciati contro il voto favorevole ai crediti di guerra, fra cui uno dei due presidenti del partito, Hugo Haase, e lo stesso Karl Liebknecht, si piegarono alla disciplina del partito, non solo perché era un principio che la sinistra aveva sempre difeso contro l’indisciplina della destra, ma per non correre il rischio di esser di colpo tagliati fuori da ogni contatto con le masse. Rosa Luxemburg, che negli ultimi tempi aveva cercato di raccogliere organizzativamente le file della sinistra attorno a un’agenzia di stampa appositamente creata, lanciò un invito ai compagni della sinistra per un’azione comune contro la guerra. Ma la sinistra si era improvvisamente dileguata e solo tre o quattro persone risposero all’appello. La dichiarazione di dissociazione dalla politica del partito che fu fatta pubblicare sulla stampa socialista all’estero raccolse solo, oltre la sua firma, quelle di Liebknecht, Mehring e Clara Zetkin. Una rivista, fondata per combattere la politica del partito in nome dell’internazionalismo proletario, “Die Internationale,” sotto la direzione della Luxemburg e di Mehring, fu proibita dall’autorità fin dal primo numero e contro i suoi direttori fu iniziato un nuovo processo. Ma nel frattempo Rosa Luxemburg era stata già incarcerata in esecuzione della condanna dell’anno precedente, e durante i 12 mesi di prigione trascorsi a Berlino, scrisse un acuto e vivace pamphlet contro la guerra e contro la politica socialdemocratica, La crisi della socialdemocrazia, che pubblicò sotto lo pseudonimo di Junius e fece stampare in Svizzera appena uscì dal carcere dopo avere scontato la pena. Pochi mesi dopo veniva di nuovo arrestata per misura di sicurezza e fu trattenuta in carcere fino alla fine della guerra.
Nei pochi mesi di libertà fra la prima e la seconda carcerazione, nel corso del 1916, preparò la piattaforma politica dell’organizzazione di sinistra che stava nascendo, sotto la sua guida e sotto l’impulso del suo attivismo, e della brillante azione di polemica condotta in parlamento da Karl Liebknecht (che nel frattempo aveva rotto la disciplina di voto e si era trascinato dietro altri deputati), e infine grazie alle straordinarie capacità di organizzatore clandestino di Leo Jogiches, che, come abbiamo detto, era stato il compagno della sua vita fino al 1906, ma con cui aveva successivamente rotto i rapporti personali mantenendo però tutti i necessari contatti politici nella direzione del partito polacco, diventato ora Socialdemocrazia del Regno di Polonia e Lituania (SDKPIL). L’antico binomio Luxemburg-Jogiches, divenuto ora un trinomio con l’aggiunta di Liebknecht, fu al centro di tutta l’azione condotta contro la guerra, nonostante che anche Liebknecht fosse incarcerato nel maggio 1916.
Fu dalla prigione che Rosa scrisse gli articoli che venivano pubblicati nei fogli stampati clandestinamente e noti con il nome di Lettere di Spartaco (Spartacusbriefe), che erano l’organo del gruppo denominato appunto “Gruppo Spartaco.” Il piccolo gruppo iniziale venne a poco a poco, a misura che la guerra proseguiva e i sacrifici aumentavano, crescendo di numero, e soprattutto organizzandosi, e anche se rimase sempre un gruppo numericamente assai limitato, fu tuttavia alla radice dell’agitazione contro la guerra che andò via via sviluppandosi. D’altra parte una vasta scissione verificatasi nel 1917 nella socialdemocrazia portò alla fondazione di un secondo partito socialista, il Partito socialdemocratico indipendente di Germania (USPD), cui facevano capo forti nuclei di operai rivoluzionari e, fra gli altri, la maggioranza degli operai berlinesi.
Certo, se la Germania fosse stata vittoriosa, questi fermenti rivoluzionari non avrebbero probabilmente avuto uno sbocco, ma con il delinearsi della sconfitta essi esplosero prima di tutto nella marina militare ancorata nel porto di Kiel, e si estesero rapidamente a varie città tedesche, obbligando l’imperatore ad abdicare e a cercare rifugio in Olanda. Il 9 novembre la sollevazione si manifestò anche a Berlino, e, nonostante le preoccupazioni legalitarie dei dirigenti socialdemocratici che non volevano proclamare neppure la repubblica senza aver prima convocato una regolare assemblea costituente, fu proprio il segretario della socialdemocrazia, Scheidemann, che, per non essere superato dagli avvenimenti, proclamò la repubblica dal balcone del parlamento. Pochi minuti dopo Karl Liebknecht, che era stato liberato qualche giorno prima dal carcere ed era stato accolto a Berlino come un trionfatore, proclamava dal balcone del palazzo imperiale la repubblica socialista.
Fu attorno a questo dilemma (repubblica borghese o repubblica socialista, mantenimento della vecchia struttura sociale e semplice cambiamento di governo o presa del potere da parte dei consigli degli operai e soldati che si erano improvvisati un po’ dovunque) che si svolse nei mesi successivi la più accesa lotta politica. Rosa Luxemburgl liberata dal carcere il 9 novembre, rientrò a Berlino e pochi giorni dopo assunse la direzione del giornale “Die rote Fahne” (La bandiera rossa), organo del gruppo spartachista, non ancora organizzato in partito autonomo. Per due mesi condusse dalle colonne del giornale la più vivace e accesa battaglia contro il nuovo governo dominato dai socialdemocratici Ebert e Scheidemann, e del quale in dicembre entrò a far parte anche Noske. Costoro, in stretta alleanza con l’alto comando dell’ex esercito imperiale rimasto intatto nelle mani di Hindenburg e Groener (una linea telefonica segreta fu anzi istituita fra Ebert e Groener), e con la grande industria tedesca, si sforzarono di spegnere ogni tentativo di eversione sociale.
Da un lato fu fatto ogni sforzo per indurre operai e soldati a tornarsene tranquilli alle proprie case e al lavoro pacifico e si ottenne anche che gli ufficiali imperiali facessero eleggere nei consigli dei soldati uomini ligi alla socialdemocrazia ebertiana, dall’altro si fecero grandi promesse per l’avvenire annunciando anche misure di socializzazione che furono intanto affidate allo studio di una commissione e che, naturalmente, non arrivarono mai in porto, e si pose con insistenza l’accento sul fatto che ormai la Germania aveva un governo “socialista”: tutto ciò ebbe una notevole influenza sul piano psicologico. Ma contemporaneamente governo e alto comando, non fidandosi dell’orientamento dei soldati sotto le armi, si diedero ad organizzare corpi di volontari preparati per la guerra civile, onde schiacciare il movimento operaio. Già nel dicembre, in due diverse occasioni, il governo usò la forza militare contro gli operai berlinesi e contro una divisione di marinai che aveva partecipato alla rivoluzione e si era poi accampata a Berlino; dispersa questa forza, il governo cercò la provocazione aperta, destituendo il capo della polizia che era stato nominato nei giorni della rivoluzione ed era un socialista indipendente, legato alle masse operaie berlinesi.
Liebknecht, parla alla folla a Berlino, 9 novembre 1919.
L’indignazione e la protesta delle masse operaie fornirono occasione alle prime manifestazioni di piazza il 6 gennaio 1919, ma purtroppo mancava una salda direzione politica. Il gruppo Spartaco aveva tenuto il suo primo congresso a fine anno e aveva deciso di costituirsi in partito con il nome di Partito comunista di Germania (Lega Spartaco), ma il congresso costitutivo era formato da pochi elementi eterogenei, fra cui parecchi giovani, che in quel momento di acuta tensione sociale e soprattutto politica, erano facile preda di parole d’ordine estremistiche. Così era accaduto che lo stesso congresso che aveva approvato all’unanimità, e fra applausi scroscianti, il programma predisposto da RosaLuxemburg e da lei illustrato al congresso, aveva però nello stesso tempo votato a maggioranza, e contro il parere della Luxemburg stessa, di Liebknecht e di Jogiches, di non partecipare alle elezioni per l’assemblea costituente che dovevano tenersi poche settimane dopo. Come aveva giustamente rilevato la Luxemburg, quella decisione era pericolosa: significava non solo rinunciare a utilizzare la campagna elettorale come un momento importante per la propaganda e l’organizzazione del neonato partito, ma significava altresì, insieme con il rifiuto di un terreno di lotta, la possibilità di cadere nella provocazione che certamente il governo avrebbe tentato per uno scontro aperto. Fu appunto quello che accadde in quella tragica prima quindicina di gennaio. Le masse operaie berlinesi (che, tra l’altro, erano solo in piccola minoranza spartachiste, mentre in maggioranza appartenevano all’USPD e ubbidivano alle parole d’ordine dei delegati rivoluzionari di fabbrica, appartenenti all’ala sinistra del partito) caddero nella trappola che il governo aveva teso: dalle manifestazioni si arrivò ben presto ai conflitti, la sede del comando di polizia e il giornale socialdemocratico di Berlino, il “Vorwärts” (che era sempre stato proprietà delle organizzazioni operaie berlinesi e di cui la direzione del partito si era illegalmente impadronita con il favore dello stato di guerra), furono teatri di scontri armati, le vie di Berlino videro sorgere barricate e scorrere il sangue. La stampa borghese e lo stesso “Vorwärts” lanciarono sempre più violenti incitamenti non solo alla repressione ma all’assassinio di Liebknecht e della Luxemburg, e corpi franchi di volontari furono fatti affluire a Berlino agli ordini del socialdemocratico di destra Noske, che aveva anche contro la Luxemburg vecchi conti di partito da regolare.
Il ministro della difesa, il socialdemocratico Noske, visita i reparti della Freikorp Hulsen, gennaio 1919.
Fu mosso rimprovero alla Luxemburg di essere rimasta a Berlino, anche dopo la sconfitta della sommossa, anziché mettersi in salvo in qualche luogo lontano in attesa che la tempesta si calmasse, come aveva fatto Lenin dopo i moti del luglio 1917 a Pietrogrado. Ma la differenza di atteggiamento può essere spiegata: Lenin aveva dietro di sé un partito sufficientemente organizzato, con dei luogotenenti all’altezza della situazione, mentre la Luxemburg non aveva che un partito appena nato, la cui compattezza ideologica si era mostrata inesistente al congresso e anche dopo. Lo stesso Liebknecht, nelle giornate cruciali di gennaio, si era lasciato trascinare a sottoscrivere parole d’ordine avventate, che la Luxemburg aveva vivacemente deplorato; i delegati operai rivoluzionari, dopo aver lanciato le masse nella tragica avventura, erano praticamente scomparsi. Ora la Luxemburg aveva sempre sostenuto che il motore principale del processo rivoluzionario è la coscienza delle masse, e che il compito dei dirigenti è appunto quello di essere sempre accanto e in mezzo alle masse, per aiutarle a capire anche i propri errori in modo da giungere ad una vera maturità rivoluzionaria. Sarebbe stato rinnegare tutto il proprio insegnamento, l’abbandonare a se stesse, nel momento più difficile, delle masse che si erano gettate con tanto disperato, e sia pure imprevidente, coraggio in una lotta e che avevano visto dileguarsi una leadership inetta.
Käthe Kollwitz In Memory of Karl Liebknecht, 1919-20.
Il destino tragico di Rosa fu che essa dovesse, per coerenza al proprio insegnamento e all’unità di teoria e pratica che aveva sempre ispirato la sua azione, rimanere fino alla fine in mezzo ai pericoli di una rivoluzione che non solo non aveva voluto ma di cui aveva tempestivamente denunciato i pericoli. Ma il suo dovere era di spiegare fino all’ultimo alle masse, partecipando a riunioni e pubblicando ogni giorno il giornale, gli errori commessi, perché, essa aveva scritto fin dal 1904, gli errori del movimento operaio “sono incommensurabilmente più fecondi e più preziosi dell’infallibilità del miglior ‘comitato centrale’,” e perché, aveva ripetuto durante la guerra, il proletariato ha davanti a sé nel cammino verso la rivoluzione “giganteschi compiti e giganteschi errori,” ma il socialismo sarebbe perduto solo se il proletariato non imparasse dai propri errori. Fu per aiutarlo ad imparare che essa espose coscientemente la propria vita alla vendetta dei socialdemocratici e della soldatesca prezzolata.
Freikorps con un carroarmato, Berlino, 1919.
Arrestata il 15 gennaio 1919 insieme con Liebknecht, nella casa dove si erano nascosti con falsi documenti, venne prima tradotta alla sede del comando della divisione di cavalleria all’Hotel Eden, e poi assassinata a freddo mentre ufficialmente veniva accompagnata in carcere. Il suo corpo fu gettato in un canale dove fu ritrovato solo alla fine del maggio successivo. I giornali annunciarono l’indomani che era stata linciata dalla folla infuriata e che Liebknecht, lui pure assassinato, era stato ucciso in un tentativo di fuga. I colpevoli, ancorché individuati, non furono mai puniti: ancora recentemente le autorità della repubblica federale di Bonn hanno ritenuto “legale” quell’assassinio. Poche settimane dopo Leo Jogiches subiva la stessa sorte.
Funerali di Rosa Luxemburg, giugno 1919.
La vita fisica di una gloriosa generazione di militanti rivoluzionari era finita. Si tratta ora di non lasciar andare perduta anche la loro eredità spirituale.
Tomba di Rosa Luxemburg a Berlino.
LELIO BASSO
[A cura di Ario Libert]
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