MAHMUD DARWISH (1941-2008) ::: qualcosa da ” UNA TRILOGIA PALESTINESE “, FELTRINELLI — +++ ALCUNE BELLE POESIE

 

 

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Diario di ordinaria tristezza, Mahmud Darwish

(LINK SOPRA)

Diario di ordinaria tristezza, Mahmud Darwish

Mcc43.wordpress.com. Qualsiasi livello di antagonismo arabo israeliano si sia raggiunto, nessun arabo ha il diritto di simpatizzare con il nemico del proprio nemico, perché il nazismo è nemico di tutti i popoli. E questa è una cosa.
Però Israele eccede nello sfogare i suoi rancori su un altro popolo. E questa è un’altra cosa.
Perché il crimine non si riscatta con il crimine. Chiedere ai palestinesi e a qualsiasi altro arabo di pagare il prezzo di crimini che non hanno commesso non può essere il risarcimento dell’Olocausto”.  Mahmud Darwish

da Una trilogia palestinese*

“Mio padre diceva che allora non avevano capito che cosa stava succedendo. Credevano che sarebbe stata una guerra lampo dalla vittoria scontata. Andarsene dai paesi significava salvare la pelle, senza rendersi minimamente conto di stare rinunciando alla terra. Ai palestinesi sembrava che l’idea di patria non avesse bisogno di sforzo intellettuale, di mobilitazione collettiva, di progettazione.
Casa, campo e aratro erano disarmati. A loro sembrava che l’invito a restare non fosse parte integrante della guerra, visto che non erano state fatte previsioni né sulle forze necessarie in campo né su cosa sarebbe potuto succedere dopo. Questo significa forse che il patriottismo latitava? Niente affatto, anzi i contadini si arruolavano volontariamente per autentico impulso patriottico. Era l’organizzazione a latitare. L’impressione diffusa, o l’inganno diffuso se preferisci, faceva supporre che l’evacuazione fosse temporanea, qualche giorno al massimo. Quindi perché vecchi donne e bambini sarebbero dovuti morire invano se la temporanea evacuazione poteva garantire loro sia incolumità che vittoria? Vista la facilità con cui gli arabi si erano dileguati**, gli israeliani hanno preso l’evacuazione a pretesto per rinfacciare loro la mancanza di patriottismo e il fatto di non meritarsi una patria.
Tuttavia gli invasori ingannavano solo se stessi avvalorando simili pretesti, in quanto avevano avallato l’evacuazione temporanea ricorrendo al convincente impiego di fucili e pugnali. Sono stati messi davanti a un ultimatum: o morire o andarsene per qualche giorno.
Svuotare di arabi la Palestina non è stata una misura di emergenza imposta dalle circostanze, bensì una costante nella strategia sionista durante e dopo la guerra del 1948 prima della creazione dello Stato Israele. Strategia attuata con la forza delle armi e giustificata sia a livello religioso, tramite l’esempio di Giosuè e il detto “Il giorno del Signore è un giorno di terrore”, sia a livello politico tramite l’esempio delle proprie prassi.
È stato Menachem Begin a dire: “Se non avessimo vinto a Deir Yassin lo Stato d’Israele non esisterebbe“. Non hanno mai occultato l’intenzionalità del massacro di Deir Yassin*** visto che i loro automezzi giravano proclamando l’ultimatum con gli altoparlanti: O evacuate o farete la fine di Deir Yassin.  In ogni paese che occupavano, radunavano tutti gli abitanti nella piazza e li lasciavano sotto il sole per ore, poi sceglievano i ragazzi più belli e li uccidevano davanti alla gente per convincerla ad andarsene, ma anche per sfogare storici rancori repressi e fare in modo che la notizia del massacro raggiungesse i paesini  palestinesi ancora liberi.
A livello legale gli israeliani si sono giustificati affermando che gli arabi avevano venduto loro le terre. Purtroppo puoi incontrare qualche arabo fermamente convinto di questa menzogna israeliana, che non si è nemmeno preso la briga di appurare che gli ebrei fino al 1948 non possedevano in totale più del 6% delle terre palestinesi.
[…] Chi se ne era andato in Libano tornando in Palestina dopo un anno o due non aveva più la cittadinanza. Mentre chi dopo 2000 anni arrivava qui da Varsavia aveva diritti e cittadinanza. “

 

Note

*Feltrinelli 2017,  p.46 e pp.32-34
** “Sette paesi arabi dichiarano guerra al sionismo in Palestina. Sette paesi muovono guerra per cancellare la spartizione e debellare il sionismo e poi lestamente abbandonano la battaglia dopo aver perso gran parte della terra di Palestina, anche parte di quella che era stata assegnata agli arabi dal piano di spartizione”
da Il significato del disastro, di Constantin Zureyq, storico e intellettuale siriano.
***  Deir Yassin: Il 9 aprile 1948 in questo paese venne compiuto un massacro. L’autore fu l’IRGUN,  una organizzazione  paramilitare  guidata da  Menachem Begin, futuro Primo Ministro dello stato di Israele.

 

 

IL TESTO SOPRA: DIARIO DI ORDINARIA TRISTEZZA E’ DI QUESTO LINK :: infopal

Diario di ordinaria tristezza, Mahmud Darwish

 

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http://palestinanews.altervista.org/mahmud-darwish-poesie/?doing_wp_cron=1547568203.3327620029449462890625

 

Questa pagina è dedicata alle poesie dell’intellettuale e scrittore-poeta Mahmud Darwish nato in Palestina nel 1941 dove profuse il suo impegno politico nell’attività giornalistica e nella scrittura in particolare nella poesia e prosa.

POETA STRANIERO IN TERRA PROPRIA – Mahmoud Darwish, scrittore palestinese considerato tra i maggiori poeti del mondo arabo, ha raccontato l’orrore della guerra, dell’oppressione, dell’esilio (al-Birwa, suo villaggio natale, è stato distrutto dalle truppe israeliane durante la Nakba e ora non esiste più, né fisicamente né sulle cartine geografiche). Fuggito in Libano con la famiglia, per scampare alle persecuzioni sioniste, tornò in patria (divenuta terra dello Stato d’Israele) da clandestino, non potendo fare altrimenti. La sua condizione di “alieno” e di “ospite illegale” nel suo stesso paese rappresenterà uno dei capisaldi della sua produzione artistica.

ARRESTI ED ESILIO – Arrestato svariate volte per la sua condizione di illegalità e per aver recitato poesie in pubblico, Mahmoud – che esercitò anche la professione di giornalista – vagò a lungo, non avendo il permesso di vivere nella propria patria: Unione Sovietica, Egitto, Libano, Giordania, Cipro, Francia furono le principali nazioni dove il poeta, esule dalla sua terra, visse e lavorò. Eletto membro del parlamento dell’Autorità Nazionale Palestinese, poté visitare i suoi parenti solo nel 1996, anno in cui – dopo 26 anni di esilio – ottenne un permesso da Israele. Il poeta si spense a Houston (Texas) il 9 agosto 2008 in seguito a complicazioni post-operatorie. Mahmoud aveva infatti subito diversi interventi al cuore, l’ultimo dei quali gli fu fatale. Egli, in Libano, a Beirut nel 1971, si è impegnato molto nelle iniziative e circoli culturali tanto da contribuire a dare vita al gruppo “Letteratura di giugno”, la cosiddetta Adab Haziran in arabo.

 

 

POESIE

 

 

A MIA MADRE

 

Mi manca il pane di mia madre

Il suo caffè

La sua carezza

Che cresce con la mia infanzia

Giorno dopo giorno

Amo la vita

Perché se morissi

Non sopporterei il pianto di mia madre!

Accoglimi se un giorno diventero’

Mascara per le tue ciglia

E coprimi le ossa di erbe

Portate dal tuo candido seno¨

E stringimi forte

Con una ciocca dei tuoi capelli

Sperando di diventare un dio

Diventero’ un dio …

Quando tocchero’ il fondo del tuo cuore

E quando tornero’, usami come combustibile

Per rinvigorire il fuoco

Come filo da bucato sul terrazzo di casa

Perché non posso resistere senza le tue preghiere

Sono invecchiato

Ridammi le stelle dell’infanzia

Perché possa condividere coi giovani uccelli

La strada del ritorno

Verso il nido della tua attesa!

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TI HO SCONFITTO, MORTE 

O morte, siediti e aspetta.
Prendi un bicchiere di vino e non trattare.
Una come te non tratta con nessuno,
uno come me non si oppone alla serva dell’invisibile.
Prendi fiato… forse sei spossata da questo giorno
di guerra astrale. Chi sono io perche tu mi faccia visita?
Hai tempo di esplorare il mio poema? No. Non è affar tuo
Tu sei responsabile della parte d’argilla
dell’uomo, non delle sue opere o delle sue parole.
O morte, ti hanno sconfitta tutte le arti.
Ti hanno sconfitta i canti della Mesopotamia,
l’obelisco dell’Egizio, le tombe dei Faraoni,
le incisioni sulla pietra di un tempio ti hanno sconfitta,
hanno vinto, ed e sfuggita ai tuoi tranelli
l’eternità…
e allora fa’ di noi, fa’ di te ciò che vuoi.

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PENSA AGLI ALTRI

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,

non dimenticare il cibo delle colombe.

Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,

non dimenticare coloro che chiedono la pace.

Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,

coloro che mungono le nuvole.

Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,

non dimenticare i popoli delle tende.

Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri,

coloro che non trovano un posto dove dormire.

Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,

coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.

Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,

e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.

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CARTA D’IDENTITA’

Ricorda !

la mia identità è araba

E la mia carta d’identità è la numero cinquantamila

Ho otto bambini

E il nono arriverà dopo l’estate.

ti irriti?

Ricorda!

la mia identità è araba,

e con I compagni della miseria lavoro in una cava

Ho otto bambini

Dalle rocce

Ricavo il pane,

I vestiti e I libri.

Non chiedo la carità alle vostre porte

Né mi umilio sui gradini della vostra camera

Perciò, sarai irritato?

Ricorda!

la mia identità è araba,

Ho un nome senza soprannomi

vivo con pazienza in paesi

La cui gente è arrabbiata.

Le mie radici

esistono da prima delle ere,

da prima dei cipressi e degli olivi

da prima che crescesse l’erba.

Mio padre… viene dalla stirpe dell’aratro,

Non da un ceto privilegiato

e mio nonno, era un contadino

né ben cresciuto, né ben nato!

mi insegnò la dignità

Prima di insegnarmi a leggere,

la mia casa (da guardiano) è semplice

fatta di canne e rami

sei soddisfatto del mio stato?

Ho un nome senza titolo!

Ricorda!

la mia identità è araba,.

le mie caratteristiche sono

capelli color carbone

occhi color marrone

la testa avvolta in una kefyah

ruvido come la pietra il palmo della mia mano

graffia chi lo tocca.

e il mio indirizzo

è quello di un villaggio abbandonato

le sue strade non hanno nomi

e tutti I suoi uomini sono a lavorare la pietra

Questo ti fa irritare?

Ricorda,

la mia identità è araba

E tu hai rubato gli orti dei miei antenati

E la terra che coltivavo

Insieme ai miei figli,

Senza lasciarci nulla

se non queste rocce,

E il vostro governo prenderà anche queste,

Come si era sentito dire.

Perciò!

Scrivilo in cima alla tua prima pagina:

Io non odio la gente

e non ho mai abusato di alcuno

ma se avrò fame

mangerò pure la carne del mio boia

Attenzione…Guardati!

dalla mia collera

E dalla mia fame!

(Traduzione Khalil Tayeh 4-6-2015)

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PROFUGO

Hanno incatenato la sua bocca

e legato le sue mani alla pietra dei morti.

Hanno detto: “Assassino!”,

gli hanno tolto il cibo, le vesti, le bandiere

e lo hanno gettato nella cella dei morti.

Hanno detto: “Ladro!”,

lo hanno rifiutato in tutti i porti,

hanno portato via il suo piccolo amore,

poi hanno detto: “Profugo!”.

Tu che hai piedi e mani insanguinati,

la notte è effimera,

né gli anelli delle catene sono indistruttibili,

perché i chicchi della mia spiga che va seccando

riempiranno la valle di grano.

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UNA LEZIONE DI KAMASUTRA

Con la coppa incastonata d’azzurro

aspettala

vicino alla fontana della sera e ai fiori di caprifoglio,

aspettala

con la pazienza del cavallo sellato,

aspettala

con il buon gusto del principe raffinato e bello

aspettala

con sette cuscini pieni di nuvole leggere,

aspettala

con il foco dell’incenso femminile dappertutto

aspettala

con il profumo maschile di sandalo sui dorsi dei cavalli,

aspettala.

E non spazientirti. Se arriva in ritardo

aspettala,

se arriva in anticipo

aspettala

e non spaventare gli uccelli sulle sue trecce,

e aspettala

chè si sieda rilassata come un giardino in fiore,

e aspettala

chè respiri un’aria estranea al suo cuore,

e aspettala

fino a che non sollevi il suo vestito scoprendo le gambe

nuvola dopo nuvola,

e aspettala

e portala su un balcone per vedere una luna annegata nel latte,

e aspettala

e offrile l’acqua prima del vino e non

guardare il paio di pernici che le dormono sul petto,

 e aspettala

e accarezza lentamente la sua mano

quando poggia la coppa sul marmo

come se sollevassi la rugiada per lei,

e aspettala

e parlale come il flauto

alla coda spaventata del violino,

come due testimoni di ciò che il domani vi prepara,

e aspettala

e leviga la sua notte anello dopo anello,

e aspettala

fino a che la notte non ti dica:

Al mondo siete rimasti soltanto voi due.

Allora portala dolcemente alla tua morte desiderata

e aspettala….!

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CANTANDO PER LE STRADE

Cantando per le strade, per i campi,
il nostro sguardo osserverà
dal posto più lontano
dal posto più profondo
dal posto più bello,
là dove non si vede che l’aurora,
e non si sente che la vittoria.
Usciremo dai nostri campi
Usciremo dai nostri rifugi in esilio
Usciremo dai nostri nascondigli,
non avremo più vergogna, se il nemico ci offende.
Non arrossiremo:
sappiamo maneggiare una falce,
sappiamo come si difende un uomo disarmato.
Sappiamo anche costruire
Una fabbrica moderna,
una casa,
un ospedale,
una scuola,
una bomba,
un missile.
E sappiamo scrivere le poesie più belle.

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INNAMORATO DELLA PALESTINA

I tuoi occhi sono una spina nel cuore
lacerano, ma li adoro. Li proteggo dal vento
e li conficco nella notte e nel dolore
cosi la sua ferita illumina le stelle,
trasforma il presente nel futuro
più caro alla mia anima.Qualche volta dimentico
quando i nostri occhi si incontrano
che una volta eravamo
insieme, dietro le grate. Le tue parole erano una canzone
che io tentavo di cantare ancora,
ma la sofferenza si era posata
sulle fiorenti labbra. Le tue parole come una rondine
volarono via da casa mia
volarono anche la nostra porta
e la soglia autunnale
inseguendoti,
dove si dirigono le passioni ….I nostri specchi si sono infranti
la tristezza ha compiuto 2000 anni,
abbiamo raccolto le schegge dal suono
e abbiamo imparato a piangere la patria. La pianteremo insieme,
nel petto di una chitarra;
la suoneremo sui tetti della diaspora
alla luna sfigurata ed ai sassi.Ma ho dimenticato,
oh la voce è sconosciuta!
Ho dimenticato,
è stata la tua partenza
ad arrugginire la chitarra?
o è stato il mio silenzio?

Ti ho vista ieri al porto
viaggiatore senza provviste … senza famiglia.
Sono corso da te come un orfano
chiedendo alla saggezza degli antenati:
perché trascinare il giardino verde
in prigione, in esilio, verso il porto
se rimane, malgrado il viaggio,
l’odore del sale e dello struggimento,
sempre verde?

Ho scritto sulla mia agenda:
amo l’arancio e odio il porto,
ho aggiunto sulla mia agenda:
al porto mi fermai
la vita aveva gli occhi dell’inverno,
avevamo le bucce dell’arancio
e dietro di me la sabbia era infinita!

Giuro, tesserò per te
un fazzoletto per le tue ciglia
scolpirò poesie per i tuoi occhi
con le parole più dolci del miele
scriverò “sei palestinese e lo rimarrai”

Palestinesi sono i tuoi occhi,
il tuo tatuaggio
Palestinesi sono il tuo nome,
i tuoi sogni
i tuoi pensieri e la tua kefia.
Palestinesi sono i tuoi piedi,
la tua sembianza
le tue parole e la tua voce.
Palestinese vivi e palestinese morirai.

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POTETE LEGARMI MANI E PIEDI

Potete legarmi mani e piedi
togliermi il quaderno e le sigarette
riempirmi la bocca di terra
la poesia è sangue del mio cuore vivo
sale del mio pane,
luce dei miei occhi,
sarà scritta con le unghie,
con lo sguardo
e col ferro.
La canterò nella cella della mia prigione
nella stalla
sotto la sferza
tra i ceppi
nello spasimo delle catene.
Ho dentro di me milioni di usignoli
per cantare la mia canzone di LOTTA.

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DIARIO DI UNA FERITA PALESTINESE

La mia bandiera è color nero
il mio porto è una bara
e la mia schiena è un ponte. Oh, autunno del mondo
che dentro di noi sei demolito
Oh, primavera del mondo
che dentro di noi sei generata. Il mio fiore è rosso
il mio porto è aperto
e il mio cuore è un albero!
La mia lingua è il mormorio dell’acqua
nel fiume delle tempeste, negli
specchi del sole e del frumento
e nel campo di battaglia.
Forse alcune volte ho smarrito l’espressione
ma sono stato – senza vergogna – splendido
quando ho scambiato il mio cuore con l’oceano.

Ho per te una parola, che non dissi ancora:
l’ombra è sulla finestra, ed occupa la luna

Il mio paese è un poema,
in esso ero un suonatore
ma poi divenni una corda musicale!

Il geologo è occupato,
analizza la sua roccia.
Cerca i suoi occhi
nelle rovine dei miti.
Vuole provare, che sono
un viandante senza occhi!
che non ho nemmeno una lettera
nel libro della civiltà! Ma continuo a seminare i miei alberi,
senza fretta, e a cantare per il mio amore.

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PASSANTI FRA PAROLE FUGACI

O voi, viaggiatori tra parole fugaci
portate i vostri nomi,
ed andatevene.
Ritirate i vostri istanti dal nostro tempo,
ed andatevene.
Rubate ciò che volete dall’azzurrità del mare
e dalla sabbia della memoria.
Prendete ciò che volete d’immagini,
per capire che mai saprete
come una pietra dalla nostra terra
erige il soffitto del nostro cielo.
O voi, viaggiatori tra parole fugaci
da voi la spada … e da noi il sangue
da voi l’acciaio, il fuoco … e da noi la carne
da voi un altro carro armato … e da noi un sasso
da voi una bomba lacrimogena … e da noi la pioggia.
E’ nostro ciò che avete di cielo ed aria.
Allora, prendete la vostra parte del nostro sangue,
ed andatevene.
Entrate ad una festa di cena e ballo,
ed andatevene.
Noi dobbiamo custodire i fiori dei martiri.
Noi dobbiamo vivere, come desideriamo.
O voi, viaggiatori tra parole fugaci.
Come la polvere amara, marciate dove volete
ma non fatelo tra di noi, come insetti volanti.
L’aceto è nella nostra terra finché lavoriamo,
mietiamo il nostro grano, lo annaffiamo
con le rugiade dei nostri corpi.
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:
un sasso … o una soggezione.
Prendete il passato, se volete, e portatelo
al mercato degli oggetti artistici.
Rinnovate lo scheletro all’ upupa, se volete,
su un vassoio di terracotta.
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:
abbiamo il futuro….e abbiamo
nella nostra terra, ciò che fare.
O voi, viaggiatori tra parole fugaci.
Ammassate le vostre fantasie in una
fossa abbandonata, ed andatevene.
E riportate le lancette del tempo
alla legittimità del vitello sacro
o al momento della musica di una pistola!
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta
abbiamo ciò che non c’è in voi:
una patria sanguinante
un popolo sanguinante, una patria
adatta all’oblio o alla memoria ….
O voi, viaggiatori tra parole fugaci.
E’ giunto il momento che ve ne andiate
e dimoriate dove volete, ma non tra noi.
E’ giunto il momento che ve ne andiate
e moriate dove volete, ma non tra noi.
Abbiamo nella nostra terra, ciò che fare
il passato qui è nostro.
E’ nostra la prima voce della vita,
nostro il presente … il presente e il futuro
nostra, qui, la vita …e nostra l’eternità.
Fuori dalla nostra patria …
dalla nostra terra … dal nostro mare
dal nostro grano … dal nostro sale
dalla nostra ferita …da ogni cosa.
Uscite dai ricordi della memoria
O voi, viaggiatori tra parole fugaci !…decorazioni2

Innamorato 

Io innamorato sfortunato,
mi addormento e ti vedo apparire;
dormo per sfuggire ad un passato di paura;
dormo per dimenticarti;
dormo per dimenticare il mio Mausoleo

il primo grano nel mio campo all’inizio della terra;
dormo per capire che ti amo più di quanto so di amarti;
dormo per inserire i tuoi capelli in una nuvola

ti penso nel tubare dei piccioni e delle colombe;
dormo, per sapere in quale sale morirò

e in quale tenerezza di miele risorgerò. —

Mahmud Darwish

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Editoriaraba

locandina evento venezia 2015

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