Un cronopio si imbatte in un fiore che se ne stava solo nei prati. Sta per coglierlo brutalmente, ma pensa che è un’inutile crudeltà e si mette in ginocchio accanto a lui e gioca allegramente con il fiore, ecco: gli accarezza i petali, gli soffia sopra perché balli, ronza come un’ape, ne aspira il profumo e infine si corica sotto il fiore e si addormenta immerso in una grande pace. Il fiore pensa: «È come un fiore» pag. 141
Da una lettera abbandonata su una tavola esce una linea che corre sull’asse di pino e scende lungo la gamba. Basta osservare bene per scoprire che la linea continua lungo il pavimento di legno, risale per il muro, entra in una stampa che riproduce un quadro di Boucher, disegna la schiena di una donna china su un divano, e infine scivola via dalla camera per il soffitto e seguendo il parafulmine scende in strada. Qui è difficile seguirla perché il traffico è intenso, ma con un po’ di attenzione la si scorgerà salire sulla ruota dell’autobus fermo all’angolo con capolinea al porto. Là scende lungo la calza di nailon della passeggera piú bionda, entra nel territorio ostile delle dogane, si arrampica e fila ed evoluisce fino al molo principale, e qui (ma è difficile scorgerla, solo i topi la seguono arrampicandosi a bordo) sale sulla nave dalle turbine sonore, corre per i tavolati della coperta di prima classe, evita con difficoltà il boccaporto principale, e in una cabina dove un uomo triste beve cognac e ascolta la sirena della partenza, rimonta lungo la cucitura del calzone, il gilè, scivola fino al gomito, e con un ultimo sforzo si rifugia nel palmo della mano destra, che in quell’istante comincia a chiudersi sul calcio di una pistola.
Pag. 101
Preambolo alle istruzioni per caricare l’orologio
Pensa a questo: quando ti regalano un orologio, ti regalano un piccolo inferno fiorito, una catena di rose, una cella d’aria.
Non ti danno soltanto l’orologio, tanti, tanti auguri e speriamo che duri perché di buona marca, svizzero con àncora di rubini; non ti regalano soltanto questo minuscolo scalpellino che ti legherai al polso e che andrà a spasso con te.
Ti regalano – non lo sanno, il terribile è che non lo sanno -, ti regalano un altro frammento fragile e precario di te stesso, qualcosa che è tuo ma che non è il tuo corpo, che devi legare al tuo corpo con il suo cinghino simile a un braccetto disperatamente aggrappato al tuo polso.
Ti regalano la necessità di continuare a caricarlo tutti i giorni, l’obbligo di caricarlo se vuoi che continui ad essere un orologio; ti regalano l’ossessione di controllare l’ora esatta nelle vetrine dei gioiellieri, alla radio, al telefono.
Ti regalano la paura di perderlo, che te lo rubino, che ti cada per terra e che si rompa.
Ti regalano la sua marca, e la certezza che è una marca migliore delle altre, ti regalano la tendenza a fare il confronto fra il tuo orologio e gli altri orologi.
Non ti regalano un orologio, sei tu che sei regalato, sei il regalo per il compleanno dell’orologio.
Historias de Cronopios y de Famas
Non so come dire, guarda, è terribile questa pioggia.
Piove continuamente, fuori fitto e grigio, qui contro i vetri del balcone a goccioloni grevi e duri, che fanno plaf e si spiaccicano come schiaffi uno dopo l’altro, che noia.
Ecco una gocciolina alta sul riquadro della finestra, vibra un attimo contro il cielo che la scheggia in mille luccichii spenti, cresce si ingrossa barcolla, cadrà non cadrà, non è ancora caduta.
Si afferra con tutte le unghie, non vuole cadere e si vede che si aggrappa con i denti mentre le si gonfia la pancia, è ormai una gocciolona che pende maestosa e, di colpo, zup giù, plaf, disfatta, niente, una viscosità sul marmo.
Ma ci sono quelle che si suicidano e si abbandonano subito, spuntano sul riquadro e di lì si gettano giù; mi pare di vedere la vibrazione del salto, le loro gambette che si staccano e il grido che le ubriaca nel nulla della caduta e dell’anichilimento.
Tristi gocce, rotonde innocenti gocce.
Addio gocce.
Addio
Julio Cortázar
Storie di cronopios e di famas
Sono l’orso dei tubi della casa, mi arrampico per i tubi nelle ore del silenzio, i tubi dell’acqua calda, del riscaldamento, dell’aria condizionata, vado lungo i tubi da un appartamento all’altro e sono l’orso che va per i tubi.
Credo di essere stimato perché il mio pelo mantiene pulite le condutture, incessantemente corro nei tubi e non c’è niente che mi diverta di più che passare da un piano all’altro lungo i tubi.
Qualche volta tiro fuori una zampa dal rubinetto e la ragazza del terzo piano strilla che si è bruciata oppure grugnisco dal fornello del secondo e Guglielmina, la cuoca, si lamenta che oggi la canna tira male.
Di notte sto zitto ed è quando più leggero mi muovo, mi affaccio al tettuccio del camino per vedere se lassù balla la luna, e mi infiltro come il vento fino alla caldaia in cantina.
E d’estate nuoto di notte nella cisterna punteggiata di stelle, mi lavo la faccia prima con una mano poi con l’altra e poi con tutte e due, e tutto ciò mi procura una grandissima allegria.
Allora mi lascio andar giù per tutti i tubi della casa, grugnisco allegro e i mariti e le mogli si agitano nel letto e protestano che l’impianto è mal costruito.
Alcuni accendono la luce e scrivono su un pezzetto di carta, per ricordarsi di far le loro rimostranze al portinaio, non appena si farà vedere.
Io cerco il rubinetto che resta sempre aperto in qualche alloggio, di li tiro fuori il naso e guardo il buio delle stanze dove vivono quelle creature che non possono andare per i tubi e che mi fanno anche un po’ pena quando li guardo, grandi e grossi come sono, e quando li sento russare e sognare ad alta voce, e sono tanto soli.
Allora, quando al mattino si lavano la faccia, li accarezzo su una guancia, li lecco sul naso e me ne vado, vagamente convinto di aver fatto bene.
Julio Cortázar
Storie di cronopios e di famas
Istruzioni per salire una scala
Nessuno avrà smesso di notare che di frequente il suolo si piega in maniera tale che una parte sale a formare un angolo retto con il piano del suolo, poi la parte che segue si colloca in maniera parallela a quest’ultimo per cedere il passo ad una nuova perpendicolare, processo che si ripete a spirale o in linea retta fino ad ad altezze variabili.
Chinandosi e ponendo la mano sinistra in una delle parti verticali e la destra nella parte orizzontale corrispondente ci si trova in possesso momentaneo di un gradino o scalino.
Ciascuno di questi gradini, formati come possiamo vedere di due elementi, si situa un poco più in alto e davanti all’anteriore, principio che dà senso alla scala, dal momento che ogni altro tipo di collocazione porterebbe probabilmente a composizioni più belle o pittoriche ma che non permetterebbero di spostarsi da un pianoterra ad un primo piano.
Le scale si salgono di fronte, dal momento che all’indietro o di lato risulterebbe parecchio scomodo.
L’attitudine naturale consiste nello stare in piedi, le braccia lungo i fianchi senza sforzo, la testa alta ma non troppo, affinché gli occhi possano continuare a vedere i gradini immediatamente superiori a quello che si pesta, mentre si respira lentamente e con regolarità.
Per salire una scala si comincia sollevando la parte del corpo situata in basso a destra, avvolta quasi sempre nel cuoio o nella pelle e che, salvo eccezioni, ci sta giusta sullo scalino.
Posta sul primo gradino la suddetta parte, che, per farla breve, chiameremo piede, si raccoglie la parte equivalente del lato sinistro (chiamata anche questa piede, che non deve confondersi però con il piede sopra citato) e alzandola all’altezza del piede si prosegue sino a collocarla sul secondo gradino, in cui defaticherà il piede mentre nel primo riposerà il piede.
(I primi gradini sono sempre i più difficili, finché non viene raggiunta la coordinazione necessaria.
La coincidenza del nome tra il piede e il piede rende difficile la spiegazione.
Allo stesso modo faccia attenzione a non alzare in contemporanea il piede e il piede.)
Arrivato in questo modo al secondo gradino, è sufficiente ripetere in maniera alternata il movimento fino a trovarsi in fondo alla scala.
Si esce da questa facilmente, con un leggero colpo di tallone che la fissa al suo posto, da cui non si muoverà fino al momento della discesa.
Julio Cortázar
Storie di cronopios e di famas
I Fama, per non perdere i loro cari ricordi seguono il metodo dell’imbalsamazione: dopo aver fissato il ricordo con capelli e due parole, lo avvolgono in un lenzuolo nero e lo sistemano rigido contro la parete del salotto, con un cartellino che dice: Gita a Venezia oppure: Frank Sinatra.
I Cronopios invece, questi esseri disordinati e caldi, sparpagliano i ricordi per la casa, allegri e contenti, e ci vivono in mezzo e quando un ricordo passa di corsa gli fanno una carezza e gli dicono affettuosi: Non farti male, sai, e anche: Sta’ attento, c’è uno scalino.
Questa è la ragione per la quale le case dei Fama sono in ordine e in silenzio, mentre le case dei Cronopios son sempre sottosopra e han porte che sbatacchiano.
I vicini si lamentano sempre dei Cronopios e i Fama scuotono la testa comprensivi, e vanno a vedere se i cartellini sono sempre al loro posto.
Julio Cortázar
Storie di cronopios e di famas
http://www.liosite.com/citazione/julio-cortazar-preambolo/
” 2000 BATTUTE” —JULIO CORTAZAR, STORIE DI CRONOPIOS E FAMAS ——einaudi // ITALO CALVINO
«I cronopios e i famas, due geníe d’esseri che incarnano con movenze di balletto due opposte e complementari possibilità dell’essere, sono la creazione piú felice e assoluta di Cortázar. Dire che i cronopios sono l’intuizione, la poesia, il capovolgimento delle norme, e che i famas sono l’ordine, la razionalità, l’efficienza, sarebbe impoverire di molto, imprigionandole in definizioni teoriche, la ricchezza psicologica e l’autonomia morale del loro universo. Cronopios efamas possono essere definiti solo dall’insieme dei loro comportamenti. […] Del resto, osservando bene, si vedrà che è una determinazione degna dei famas che i cronopios mettono nell’essere cronopios, e che nell’agire da famas i famas sono pervasi da una follia non meno stralunata di quella cronopiesca». (inclin . del blog)
Italo Calvino
da Einaudi che ripubblica questo libro nel 2014
BLOG: 2000 battute ASSOLUTAMENTE DA VEDERE!
SOTTO : IL LINK DI QUESTO BLOG (IN VERDE)
DA CUI CITAZIONE DA JULIO CORTAZAR LIBRO EINAUDI,
” STORIE DI CRONOPIOS E FAMAS” // un’edizione ha l’introduzione di Calvino…
Storie di cronopios e di famas – Julio Cortázar
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Storie di cronopios e di famas è un tipico libro cortazáriano: inclassificabile e sommamente delizioso.È diviso in quattro parti: Manuale di istruzioni, Occupazioni insolite, Materiale plasticoe Storie di cronopios e di famas.
Le prime tre parti sono brevi racconti, arguzie, motteggi, divertissement direbbero quelli chic, sublimi cammei di un Cortázar divertito che semina pianticelle di arguzia. Sono scherzi, in senso musicale, di un talento letterario sterminato, Georges Perec forse gli si avvicina.
Leggiamo il primo di questi scherzi, Istruzioni per piangere:
Lasciando da parte le motivazioni, atteniamoci unicamente al corretto modo di piangere, intendendo per questo un pianto che non sconfini nelle urla e tanto meno in un insulto al sorriso con la sua parallela e goffa somiglianza. Il pianto medio o ordinario consiste in una completa contrazione della faccia e in un suono spasmodico accompagnato da lacrime e da moccio, quest’ultimo nella fase finale, perché il pianto termina nel momento in cui ci si soffia energicamente il naso.
Per piangere occorre fissare l’immaginazione su se stessi, e se ciò risultasse impossibile perché è stata contratta l’abitudine di credere nel modo esteriore, si ponga mente ad un’anatra ricoperta di formiche o a quei golfi dello stretto di Magellano ove niun penetra giammai.
Una volta arrivato il pianto, ci si copra con dignità il volto usando entrambe le mani con la palma in dentro. I bambini piangeranno con la manica della giacchetta sulla faccia, e preferibilmente in un angolo della stanza. Durata media del pianto: tre minuti.
Poi viene l’ultima parte, la più lunga e omogenea, Storie di cronopios e di famas, che dà il titolo al libro e imperitura fama a quest’opera.
Su questo racconto favoloso, fiabesco, sognante, immaginifico, assolutamente strepitoso, sono state spese molte parole, da parte di tanti, chi più, aggiungendo qualche osservazione interessante, chi meno, semplicemente accodandosi al coro di stupore gioioso.
Io mi accodo al coro di stupore gioioso: la storia dei Cronopios, delle Speranze e dei Famas è semplicemente meravigliosa, una delle creazioni letterarie più dense di dolcezza, di senso e di piacere. Solo il fantasmagorico amore narrato da Boris Vian mi sembra avere la stessa sfrenatezza romantica alla quale è impossibile resistere rimanendo freddi. In fondo, Cortázar è sì argentino, ma molto, visceralmente, francese nel gusto, nei richiami e nello stile.
Dopo aver conosciuto queste creature fantastiche che sono i Cronopios, le Speranze e i Famas, capiterà per sempre, d’improvviso, di voltarsi di colpo per strada e di vedere delle Speranze su un albero, di guardare una piazza affollata e scorgere dei Famas in fila che la attraversano, o anche di leggere una notizia curiosa sul giornale e di riconoscere l’inconfondibile impronta dei Cronopios in azione.
Ma chi sono questi esserini? Lo dice Cortázar in una nota:
[…] ho dunque visto fluttuare nella sala degli oggetti di colore verde, sorta di piccole palle verdi che facevano evoluzioni intorno a me. Ma, insisto, non si trattava niente di tangibile, non li vedevo veramente, pur vedendoli in un certo modo. E insieme all’apparizione di quegli oggetti verdi, che sembravano gonfiati come piccoli palloni, o come rospi, o animali in genere, m’è venuta l’idea che quelli erano Cronopios.
[…] Ma poi la piccola visione che avevo avuto e poi il nome Cronopios che mi piaceva molto hanno continuato a ossessionarmi. Allora mi sono messo a scrivere le prime storie. E sono apparsi in modo simile – ma meno precise di quelle dei Cronopios – le immagini dei Famas e delle Speranze. Quelle immagini sono state forgiate, sono state inventate per servire da contrappunto alla natura dei Cronopios. I Fama sono l’opposto dei Cronopios e le Speranze servono da intermediari.
Ecco qui i Cronopios, i Famas e le Speranze. Siamo nei quartieri della fantasia libera e visionaria, riflessi tremolanti su pozze d’acqua di realtà, dobbiamo sorridere e sognare per vedere queste creaturine, batraciformi e palluti.
Ma nonostante questa precisazione di Cortázar, il mondo dei Cronopios sembra inevitabilmente indurre fame di spiegazione nei lettori, anche quelli monumentali come Italo Calvino:
I famas sono quelli che imbalsamano ed etichettano i ricordi, che bevono la virtù a cucchiaiate col risultato di riconoscersi l’un l’altro carichi di vizi, che se hanno la tosse abbattono un eucalipto invece di comprare le pasticche Valda. I cronopios sono coloro che si lavano i denti alla finestra, spremono tutto il tubetto per veder volare al vento festoni di dentifricio rosa; se sono dirigenti della radio argentina fanno tradurre tutte le trasmissioni in rumeno; se incontrano una tartaruga le disegnano una rondine sul guscio per darle l’illusione della velocità.
Sempre più stralunato il mondo dei batraci cortázariani, impossibile non sorridere felici pensando ai Cronopios, alle Speranze e ai Famas. E allora eccoli finalmente, nella danza irridente di tregua e provala.
C’era una volta un fama che ballava tregua e ballava provala davanti alla vetrina di un negozio pieno di cronopios e di speranze. Le più irritate erano le speranze sempre pronte a far di tutto perché i famas non ballino tregua e provala, ma spera, che è il ballo più in voga presso i cronopios e le speranze.
I famas si piazzano apposta davanti alle vetrine, e questa volta il fama ballava tregua e ballava provala per dare sui nervi alle speranze. Una delle speranze lasciò cadere il suo pesce-flauto – perché le speranze, come il Re del Mare, sono sempre accompagnate da un pesce-flauto – e uscì a protestare, dicendo al fama:
– Fama, niente tregua e provala davanti questo negozio.
Il fama continuava a ballare e rideva.
La speranza chiamò altre speranze, e i cronopios fecero crocchio attorno per vedere cosa ne sarebbe saltato fuori:
– Fama, – dissero le speranze, – non ballare tregua, e neppure provala davanti questo negozio.
Ma il fama ballava e rideva, e così mortificava le speranze.
Allora le speranze si lanciarono sul fama e lo malmenarono. Lo lasciarono a terra vicino a uno steccato, e il fama mandava lamenti, immerso nel suo sangue e nella sua tristezza.
I cronopios si avvicinarono furtivi, questi oggetti verdi e umidi. Attorniarono il fama e si misero a compatirlo, dicendogli:
– Cronopio cronopio cronopio.
E il fama capiva, e la sua solitudine era meno amara.
E via così, nel favoloso mondo dei Cronopios, delle Speranze e dei Famas.
Leggetelo e ballate ridendo e facendo sberleffi, ballate provala e ballate tregua se volete, oppure ballate spera se vi piace di più, ballate insieme a un grande grandissimo Cortázar.
Sublime e divertente!!!
grazie! non lo conoscevo!
Lo conoscerò presto 🙂
Il mondo dei Cronopios e dei Famas è quello dove molti di noi vorrebbero abitare. A tratti i nostri sforzi riescono, a volte no. Comunque non ci arrendiamo.