EZIO MAURO, REPUBBLICA DEL 18-12-2018 —” LA SINISTRA E LA TENTAZIONE DEL BALCONE ” —un giudizio sui M5S… e su Zingaretti

 

 

REPUBBLICA DEL 18-12-2018

https://rep.repubblica.it/pwa/editoriale/2018/12/18/news/la_sinistra_e_la_tentazione_del_balcone-214583123/

 

Editoriale  Populismo

La sinistra e la tentazione del balcone

Mancano ancora la forza e la visione per aggiornare con coraggio l’identità politica e culturale e parlare a un popolo disperso e deluso che comunque esiste e che aspetta un progetto, un gruppo dirigente e una leadership capaci di proporre un’alternativa all’Italia feroce, egoista e dilettantesca che il governo disegna ogni giorno coi suoi atti.

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Impegnato da mesi ad attraversare il deserto che si è creato con le sue mani, senza un leader che lo guidi e col miraggio di una nuova scissione, il Pd cerca fuori di sé le ragioni della sua sopravvivenza e del suo futuro, invece di trovarle in quel deposito di valori, ideali, rappresentanza di interessi legittimi che dà forma alla sua storia: e da cui può nascere una promessa di cambiamento e una scommessa sul futuro del Paese. In piena stagione congressuale, con un nugolo di candidati ai blocchi di partenza di primarie stanche, un partito estenuato e sfibrato si lascia ipnotizzare dalla presenza-assenza di Renzi, un leader che invece di dar battaglia a viso aperto per le sue idee sceglie la ragnatela sospesa dell’interdetto. Fino a sembrare un inquilino moroso che continua a occupare l’appartamento dopo lo sfratto, mentre ne sta già arredando un altro.

E tuttavia Renzi, dal quinto angolo del partito, continua a esercitare una leadership residuale, col potere immateriale del veto.

Ma gli altri? Per ora si assiste a una battaglia navale di posizionamento. Senza un confronto su un’idea del Paese, senza un’interpretazione dell’Italia in questo momento di metamorfosi del corpo sociale che si consegna al populismo dominante. Mancano ancora la forza e la visione per aggiornare con coraggio l’identità politica e culturale della sinistra, parlando ad un popolo disperso e deluso che comunque esiste e che aspetta un progetto, un gruppo dirigente ed una leadership capaci di proporre un’alternativa all’Italia feroce, egoista e dilettantesca che il governo disegna ogni giorno coi suoi atti.

Invece di questo sforzo faticoso di ricomposizione culturale e politica di un quadro frantumato, è partita con largo anticipo la corsa ad imboccare la scorciatoia più facile: la tentazione di aprire un dialogo con i Cinque Stelle, testando la possibilità di un’intesa per un indecifrabile dopo. Come se un qualsiasi confronto con chiunque fosse possibile senza un’identità forte, risolta, capace di dare coscienza compiuta di sé, e sicurezza nella rotta. Anzi, al contrario, come se un apriscatole esterno potesse risolvere d’incanto i problemi della natura e della funzione della sinistra oggi in questo Paese, in un’interpretazione estemporanea e improvvisata della vicenda italiana degli ultimi mesi, guardando ai numeri e non alla sostanza della politica. Soprattutto, come se non fosse successo niente, in questa prima fase di governo Salvini-Di Maio, e l’egemonia di una nuova destra che non avevamo ancora conosciuto — sovranista, antieuropea, razzista — non fosse scesa sul Paese, fino a cambiarne l’anima.

Naturalmente tutto ciò avviene perché il governo scricchiola, e l’alleanza ancora di più, in quanto un contratto non genera una visione comune dell’Italia, ma due idee del Paese concorrenti e diffidenti, con interessi divaricati e rappresentanze contrapposte: in più, c’è l’ovvia constatazione che in caso di rottura e di crisi il Pd non è in grado di rappresentare un’alternativa. Ma qui dovrebbe nascere la prima vera domanda: Di Maio può essere l’alternativa a Di Maio? E la sinistra può costruire un’alternativa credibile cedendo alla cultura altrui, trasformandosi in forza gregaria di ricambio, sostituendo da un giorno all’altro la Lega e le sue politiche xenofobe per entrare in scena da ancella, con l’abito della festa dopo le sconfitte, come nelle porte girevoli dei vaudeville?

Ancora una volta, insieme con la coscienza di sé manca un giudizio politico sulla natura politica dei Cinque Stelle, sulla loro scelta strategica — autonoma e indipendente — di intercettare nella pesca elettorale volutamente trasversale anche cittadini e istanze di sinistra, per poi convertirli a una politica apertamente di destra, marchiata dall’ossessione contro i migranti. Si dice nel Pd: molti nostri elettori sono già andati coi grillini, raggiungiamoli e proviamo a riprenderceli. Ma per provare a riprenderli, bisogna parlare con loro, non con gli stati maggiori che li hanno arruolati. E bisogna farlo attraverso la sfida di una politica concorrente, in campo aperto, non con la bandiera bianca di una resa culturale, come se il populismo fosse la fase suprema del riformismo e il suo ultimo approdo, per l’incapacità dei riformisti di credere nelle loro ragioni, anche in minoranza, trasformandole nelle buone ragioni di un Paese diverso. Quasi che la sinistra, fuori dal Novecento, dovesse anche lei adeguarsi alla metamorfosi del sociale invece di governarla, diventando una variante dell’indistinto populista. Perché altro destino non c’è.

Si dice ancora: la fisionomia politica e culturale del M5S è talmente fragile e insicura che così come Salvini l’ha modellata col suo scarpone, la sinistra in una futura alleanza potrebbe deformarla nel senso opposto, plasmandola a suo uso e consumo. A parte il fatto che questo ragionamento prescinde dai rapporti di forza, che in politica contano, la verità è che un autonomo istinto di destra ha portato i grillini prima a scegliere l’alleanza con Salvini e poi a condividere gli elementi di fondo della sua politica, dalle misure contro i migranti all’opposizione all’Europa, al rapporto privilegiato con la Russia, all’abiura dell’occidente, alle scelte securitarie. Di autonomo, Di Maio ha inserito l’impeachment per il Presidente della repubblica, chiesto un pomeriggio così come si chiede l’aperitivo al bar, col sovrappeso di una marcia su Roma, che rapidamente è diventata una marcia indietro su entrambi i fronti.

Tutti i segni confermano che due destre diverse e convergenti sono saldate da un comune rifiuto della storia repubblicana, dal disprezzo per le istituzioni, dal mandato furibondo a realizzare non un cambiamento ma una rivoluzione, dall’insofferenza per la libertà di stampa, dalla convinzione che il consenso elettorale consenta una totale supremazia egemonica, fuori da ogni controllo e da ogni rilievo da parte dei non eletti, che possono solo applaudire o ubbidire. Ecco perché la distinzione di comodo che i cantori del governo fanno tra Lega e Cinque Stelle è capziosa: certamente le due destre sono distinte nelle loro basi sociali e anche nei loro interessi, ma la xenofobia di Salvini è controfirmata ogni giorno da Di Maio, e l’assistenzialismo dei Cinque Stelle è costantemente tollerato dalla Lega: a buon rendere. Ciò che conta è ciò che unisce nel profondo i due partiti: un progetto per spostare l’Italia dal suo percorso tradizionale in Europa e in Occidente, e dal quadro dei principi e delle garanzie liberaldemocratiche che fin qui hanno contraddistinto le democrazie, deviando non soltanto la nostra tradizione nella politica estera e nelle alleanze, ma la curva della nostra civiltà materiale, quella che spendiamo, incassiamo e consumiamo nel quotidiano della nostra vita associata, in relazione con gli altri.

Si può ignorare tutto questo per superare artificialmente la fatica dell’opposizione, doverosa (non per espiare, ma per rifondare) dopo una sconfitta così pesante? Qualsiasi tecnica di sopravvivenza dice di no. Anche perché l’universo grillino è un cubo perfettamente chiuso nelle sue pareti, governato da una società privata fuori da ogni regola democratica, e all’interno di quell’universo non si conosce la dialettica e il confronto di opinioni, perché come in ogni setta il dissenso è criminalizzato, mentre la delazione è benedetta. Potrà forse succedere un giorno che persino quel cubo si apra come una scatola di tonno, nasca una discussione, emergano culture tra loro vicine ma competitive. Potrebbe persino spuntare un’obiezione, qualcuno che in un pubblico confronto denunci l’alleanza con la Lega come un limite e come una gabbia, e chieda un cambio di rotta e di uomini, perché destra e sinistra non sono la stessa cosa: rimettendo in movimento la politica. Ma oggi l’investimento a destra per Di Maio è più redditizio, e soprattutto più naturale: lui fa ciò che è, e sa che a sinistra non troverebbe un balcone da cui affacciarsi per celebrare una finta vittoria contro l’Europa nemica. Quell’apparizione è un boomerang, ma resta la cifra estetica del populismo italiano, la sua postura pubblica, la rappresentazione del rapporto tra governanti e governati secondo la nuova destra. Basterebbe ricordarlo, per tenere la sinistra lontana dai balconi e da chi li frequenta.

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2 risposte a EZIO MAURO, REPUBBLICA DEL 18-12-2018 —” LA SINISTRA E LA TENTAZIONE DEL BALCONE ” —un giudizio sui M5S… e su Zingaretti

  1. Donatella scrive:

    Condivido in molte parti l’articolo di Ezio Mauro. Ci sono però alcune cose che non condivido: per quanto ne so, è stato il PD di Renzi, dopo le elezioni, a rifiutare qualsiasi confronto con i 5Stelle. Certamente i 5Stelle non erano stati leggeri con il PD, soprattutto in campagna elettorale, ma una forza politica matura, come poteva essere il PD, doveva superare queste sciocchezze e guardare a cosa fosse meglio politicamente, per tutti i cittadini italiani. La cosa macroscopica è che dopo sconfitte così sonore, come il referendum sulla Costituzione, del resto messo in piedi dal PD renziano, e le elezioni politiche, non ci sia stato un Congresso, dove gli iscritti potessero discutere veramente con i vertici. Attualmente nei cosiddetti circoli si discute a sangue per i candidati delle varie correnti. La forza della politica, quella che riesce a vedere al di là del proprio naso, è quella di individuare nell’avversario quello che eventualmente può unire: non credo che si possa condannare in blocco il movimento dei 5 Stelle, il cui programma contiene alcune istanze di sinistra non da poco: attenzione ai ceti più deboli, ambientalismo, lotta alla corruzione. La cosa che dà fastidio nei pentastellati è il tono alla Robespierre “de noantri”, di delazione e castigo, in una società prefigurata che sembra quella di dittatura del popolo, dove il popolo ha la faccia dei tirannelli di turno. Credo che questo infantilismo avrebbe potuto essere corretto con un alleato solido, con tanta esperienza e motivazioni ideali alle spalle. Attualmente i discorsi che si sentono in televisione da parte dei politici, di tutte le parti, sono semplicemente degli slogan. Non si va mai al di là dell’invettiva, delle parole che smuovono i precordi della”ggente”. Non sono nemmeno all’altezza di prenderci per i fondelli, come farebbero dei bravi trascinatori di popolo. Sono semplicemente alla “loro” altezza, che è minuscola, povera, deficiente nel senso etimologico della parola. Noi, il cosiddetto popolo, aspettiamo Godot. Cerchiamo invece, nel nostro piccolissimo spazio, di non aspettarlo, di respirare a pieni polmoni( possibilmente non l’aria di Milano), di avere bene presente che il pensiero, le parole che esprimiamo, i gesti che facciamo ogni giorno, valgono per noi e per gli altri, reciprocamente. Per dirla aulicamente: non molliamo, continuiamo a ragionare con la nostra testa che, insieme a quella di molte altre può combinarne di buone.

  2. Domenico Mattia Testa scrive:

    Il PD di elezione in elezione ha registrato pesanti sconfitte-anche la tanto osannata vittoria alle europee- va ridimensionata:Renzi è arrivato al 40%,perchè gli astenuti furono quasi la metà dell’elettorato per cui il risultato vero si attestava un po’ al di sopra del 30%.Sulle sconfitte nè Renzi,nè Martina,nè tutto il gruppo dirigente hanno saputo produrre autocritiche,analisi impietose,studi puntuali per comprenderne le ragioni profonde e dare risposte costruttive al disagio diffuso,alla crisi della democrazia rappresentativa.Sono passati due anni senza elaborare nuove strategie: il PD,manca d’un serio progetto politico per affrontare l’intricata situazione,determinata dal successo dei sovranisti e populisti il 4 marzo..Si aspetta il Congresso…,le primarie…,senza un minimo di discussione,di confronto. I candidati non chiariscono il che fare,vanno in ordine sparso, sotto la spada di Damocle di Renzi,di cui non si conoscono i giochi sottili,ambigui.Di fronte alla crisi politica,sociale,che attanaglia il Paese troppo i vari leader si gingillano e non si attrezzano per colmare il vasto vuoto democratico,intervenuto con con l’anomalo maggioranza del tandem Salvini e DI Maio.Ha ragione Ezio Mauro quando denuncia con forza il pericolo del dominio delle “due destre che rifiutano la storia repubblicana,disprezzano le istituzioni,sono contro la libertà di stampa….”Spetta al PD un compito immane:contrastare gli spazi alle forze pentaleghiste,sostanzialmente eversive,tessere il filo per consolidare la democrazia rappresentativa,sottrarre il consenso ai nuovi,falsi tribuni della plebe.Spetta anche ai movimenti e forze alla sinistra del PD,trovare il linguaggio dell’unità e bandire una volta per sempre i settarismi,gli egoismi di parte.Insistere nel PD e nella galassia delle sinistre sulle divisioni,sui personalismi sarebbe veramente diabolico.Un’alternativa non si improvvisa,impone un lavoro di lunga lena e chiudersi per coltivare gli angusti giardini del”particulare” significa abdicare al ruolo storico della sinistra….

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