LIMES ONLINE 26-11-2018
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Dove può arrivare la tensione tra Russia e Ucraina
Carta di Laura Canali, 2016.
La crisi nel Mar d’Azov non riguarda naturalmente solo il Mar d’Azov. Ma un’escalation non conviene a nessuno.
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Tra Russia e Ucraina è altissima la tensione in seguito alla cattura di tre navi militari di Kiev per mano della Marina di Mosca nei pressi dello Stretto di Kerch, che collega il Mar Nero alla sua appendice strategica, il Mar d’Azov.
Domenica mattina le tre piccole unità ucraine Berdyansk, Nikpol e Yani Kapu hanno tentato invano di superare il ponte di Kerch – che collega la Russia continentale alla Crimea, riannessa nel 2014 – per approdare al porto di Mariupol, importante città ucraina filorussa affacciata proprio sul Mar d’Azov, nei pressi della linea di contatto tra l’esercito di Kiev e le milizie separatiste del Donbas. La cattura è avvenuta mediante conflitto a fuoco e abbordaggio, causando 6 feriti (un paio gravi, ma fuori pericolo di vita) tra i 24 ucraini ora prigionieri.
Mosca è intervenuta con la forza contro quella che considera una vera e propria provocazione, nonché una violazione delle proprie acque territoriali. La rapidità con cui le imbarcazioni russe hanno manovrato, con cui le forze speciali sono intervenute e con cui l’avanzatissimo elicottero d’assalto Ka-52 “Alligatore” ha pattugliato l’area non lascia adito ad equivoci: i russi si aspettavano il tentativo ucraino di forzare il blocco navale (e commerciale) al piccolo specchio d’acqua e hanno atteso le imbarcazioni al varco. La sospensione di qualsiasi transito navale sotto il ponte è stata immediata.
L’obiettivo di Kiev, così come quello del Cremlino, non è solo controllare i transiti mercantili da e verso Mariupol.
L’Ucraina cerca in tutti i modi di coinvolgere le cancellerie occidentali nella risoluzione del conflitto, spingendole ad aumentare le sanzioni contro Mosca e il sostegno militare. Il timore infatti è che, senza armi di ricatto, la Russia possa tagliare definitivamente le forniture di gas proprio questo inverno. L’esecutivo guidato dal presidente Petro Poroshenko è spinto all’azione proprio ora a causa dell’avvicinarsi di elezioni dall’esito incerto (presidenziali a marzo e parlamentari a fine anno), che potrebbero sconfessare l’orientamento atlantista ed europeista adottato negli anni del post-Maidan.
Dal canto suo, Mosca è intenzionata a evitare che nel porto di Berdyansk gli ucraini costituiscano una piccola e agile flottiglia potenzialmente in grado di effettuare sabotaggi (in primis contro il ponte di Kerch) e azioni doganali e di polizia contro le navi mercantili. Putin vuole anche punire il tentativo dell’amministrazione Poroshenko di inserire nella Costituzione ucraina come obiettivo nazionale l’ingresso nelle strutture politico-militari occidentali (Nato e Ue). Il gas è l’arma per dare la spallata definitiva all’esecutivo anti-russo, la flotta serve a soffocare l’economia delle città portuali ucraine sul Mar d’Azov, spingendole alla ribellione nei confronti del governo centrale. Entrambi i contendenti sono accomunati dalla tempistica: agire d’inverno, agire prima delle elezioni. Evidentemente i russi ritengono che prevenire sia meglio che curare.
Kiev ha risposto con una pesante rappresaglia d’artiglieria verso i sobborghi della città separatista di Doneck. Nella capitale si è riunito d’urgenza il Consiglio supremo di difesa, che ha richiesto alla Rada (il parlamento nazionale) l’attivazione della legge marziale. Proclamata in serata per una durata di 30 giorni e solo per le 10 regioni “sottoposte all’aggressione russa”.
Una scelta in tal senso può avere importanti ripercussioni interne ed esterne. Potrebbe addirittura costituire un perfetto casus belli per l’intervento militare diretto della Russia di Putin a sostegno delle milizie nel Donbas. Poroshenko ha precisato che l’introduzione della legge marziale non implica automaticamente lo stato di guerra. L’opzione permetterebbe però di esercitare legittimamente la censura mediatica: una vera e propria manna dal cielo per lo stesso Poroshenko che è in forte crisi di popolarità e nutre ben poche speranze di essere riconfermato alle presidenziali di marzo 2019 – elezioni che tra l’altro potrebbero essere rinviate se la permanenza in vigore della legge marziale venisse prorogata.
Gli alti funzionari militari ucraini sono consapevoli che per il nemico il modo migliore di prendere Mariupol non è lo scontro frontale. Una battaglia campale sarebbe sanguinosissima e senza quartiere; non tanto per le fortificazioni, ma a causa del grande fiume Kalmius che taglia in due il centro. La via più promettente che conduce a Mariupol è l’assedio. Con un blocco navale a sud e con la pressione militare a nord lungo l’autostrada costiera M-14, le forze di Mosca spingerebbero la cittadinanza, largamente filorussa, a esigere la resa della città, che a quel punto verrebbe annessa all’autoproclamata repubblica popolare di Doneck con la quale Mariupol già intrattiene stretti legami industriali.
Affinché questo scenario si realizzi sarebbe però necessario un intervento diretto del Cremlino, che tutti temono e vorrebbero evitare – Mosca compresa. In assenza di una motivazione più che valida, il Cremlino non interverrebbe mai direttamente per la risoluzione manu militari del conflitto nel Donbas. Sarebbe un teatro di guerra aggiuntivo e costoso, che non permetterebbe un impiego ottimale delle energie e delle risorse umane e finanziarie, già limitate. Di fronte al mondo (che non è solo Occidente) la Russia apparirebbe colpevole, rischiando d’essere ostracizzata ulteriormente.
Un’escalation o anche la sola dichiarazione dello stato di guerra potrebbero però portare i russi a chiudere i rubinetti del gas, lasciando le città ucraine al gelo proprio in vista dell’inverno, oltre che delle elezioni. Sarebbe una catastrofe per Poroshenko e per l’Ucraina.
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