L’analisi
UNA GIUSTIZIA FUORI TEMPO
Stefano Cappellini
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, ALFONSO BONAFEDE (MAZARA DEL VALLO, TRAPANI, 1976)
Dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova capitò di sentir dire al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ad alti esponenti del Movimento 5Stelle che il governo non poteva aspettare i tempi della giustizia per prendere decisioni sul da farsi. Capita ora che il disegno di legge sull’anticorruzione fortemente voluto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede proponga di sospendere la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Da una parte, su Genova, si invoca la sostituzione del tribunale reale con un autoproclamato tribunale del popolo: giustizia rapida e sommaria con l’alibi del consenso di massa. Dall’altra, con il sistema Bonafede, si propone il prolungamento sine die di un processo: giustizia ancora più lenta di quanto già non sia e senza garanzie. In un modo o nell’altro, la visione della giustizia propria del Movimento 5Stelle (non certo isolato, almeno su questo fronte) è coerente nel calpestare i fondamenti di uno Stato di diritto degno di chiamarsi tale.
Il buon funzionamento della giustizia è uno dei pilastri di una democrazia. E i tempi in cui uno Stato è capace di rendere una sentenza ai propri cittadini rappresentano un elemento portante di quel buon funzionamento. Tempi che devono essere sufficientemente rapidi da consentire che chi ha commesso un reato sappia di poter essere presto chiamato a pagarne pegno e chi lo ha subito possa trarne risarcimento. Ma anche abbastanza capienti da lasciare che il processo si svolga con tutte le garanzie necessarie e in una condizione di parità tra accusa e difesa. Ciò che invece caratterizza il giustizialismo, di cui il grillismo rappresenta lo stadio finale, è l’insofferenza per il fattore tempo e, in generale, per l’ordinario svolgimento del processo penale: i diritti degli imputati sono trucchi degli azzeccagarbugli, il garantismo è una forma di innocentismo; la sentenza mediatica vale come, se non più, di quella reale, distorsione, quest’ultima, acuita nell’era dei social dove chiunque può srotolarsi addosso una toga ed emettere giudizio con la rapidità di un tweet da 140 caratteri.
Ecco perché l’istituto della prescrizione può essere trattato come un ostacolo alla giustizia e non come una norma che garantisce un principio sancito in Costituzione, quello alla ragionevole durata del processo. L’obiezione dei fautori della legge cara a Bonafede è chiara: a soffrire in Italia è proprio l’ordinario funzionamento della giustizia, dato che la lentezza è cronica e troppi processi non riescono a chiudersi in tempo per rendere giustizia alle vittime del reato. Vero. Ma la preoccupazione di un guardasigilli, qualunque sia il suo orientamento politico, dovrebbe essere quella di riformare il sistema per permettere che sia più rapido ed efficiente. Introdurre norme il cui effetto naturale è l’ulteriore allungamento del processo non può che peggiorare lo stato delle cose. Anche qui i bonafedisti hanno la risposta pronta: come garantire allora che i colpevoli siano puniti? E proprio qui c’è il vizio più plateale di questa proposta e, insieme, il suo vero marchio ideologico: presuppone che ogni imputato sia colpevole. La sospensione della prescrizione avrebbe infatti un senso solo in un sistema nel quale si fosse certi che ogni processo si concluda con una condanna. Impedendo la prescrizione del reato si sarebbe certi che nessuno possa farla franca. Non dubitiamo del fatto che lustri di barbarie giuridica abbiano convinto molti che l’accusato di un processo sia solo un galeotto in libertà temporanea ( spesso neanche quella, dato l’abuso della carcerazione preventiva). Ma persino Bonafede, ora che ha il compito di governare in materia, dovrebbe intendere che si può andare a processo da colpevoli e da innocenti. E che solo nei tribunali dell’Inquisizione tale distinzione non era nemmeno prevista.
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