,ROBERTO PEROTTI (MILANO 1961-prof.di economia politica alla Bocconi) –L’ANALISI ::: UE E MERCATI, GOVERNO SOTTO TIRO

 

REPUBBLICA DEL 22 OTTOBRE 2018 pag. 27

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L’analisi

UE E MERCATI, GOVERNO SOTTO TIRO

Roberto Perotti

 

Il governo italiano sta giocando due partite: con la Commissione europea e con i mercati. Non illudiamoci: al di là delle occasionali dichiarazioni di facciata, in entrambe si andrà allo scontro. Nessuno dei giocatori a questi tavoli può né vuole tirarsi indietro. La Commissione ha formulato accuse durissime al governo italiano, sbagliando nella forma e in parte nella sostanza. Nella forma: i sondaggi mostrano che in pochissimi anni gli italiani sono passati dal popolo più pro- Europa al popolo più anti- Europa dell’Eurozona. Ogni intervento a gamba tesa della Commissione porta soltanto acqua al mulino dei sovranisti del governo, che hanno buon gioco a ergersi a paladini del popolo contro le élite europee e i tecnici, i plutocrati, i burocrati che le rappresentano.

Nella sostanza: l’accusa principale al governo italiano è di programmare un aumento del disavanzo strutturale dello 0,8 percento del Pil, mentre la Commissione aveva raccomandato una riduzione dello 0,6 percento. La deviazione dalla raccomandazione sarebbe quindi dell’ 1,4 percento, ” senza precedenti” secondo la Commissione. Non è proprio così. Per il 2016 la riduzione richiesta dalle regole europee avrebbe dovuto essere dello 0,5 percento; il governo si avvalse delle clausole di flessibilità ( quasi lo 0,9 percento del Pil in quell’anno, e non più disponibili oggi) per programmare un peggioramento dello 0,7 percento: dunque una deviazione dell’1,2 percento, molto vicina a quella programmata per il 2019 dal governo attuale.

La Commissione, però, ha armi spuntate. Il disavanzo (per ora) non supera il 3 percento del Pil, quindi non si può aprire una Procedura per Eccesso di Disavanzo. Rimane il braccio preventivo del Patto di Stabilità, un processo lungo senza veri deterrenti: l’esito peggiore è un deposito forzato dello 0,2 percento del Pil, meno di quattro miliardi. Ma sarebbe un boomerang: immaginate quanti milioni di voti guadagnerebbero alle Europee i partiti di governo se si dovesse arrivare a una tale umiliazione — e questa sì sarebbe senza precedenti. È per questo che la coalizione ha tutto da guadagnare da uno scontro frontale con la Commissione.

D’altra parte, la Commissione non ha scelta. Il governo sostiene che ha avuto un mandato per cambiare gli impegni europei dei governi precedenti, ed ha ragione. La Commissione sostiene che gli impegni con l’Europa non possono dipendere dal governo in carica, ed ha ragione. Juncker l’ha detto chiaramente: «Ho le spalle al muro», tutti gli altri paesi fanno pressioni per una posizione decisa contro l’Italia. La realtà che nessuno vuole discutere apertamente è che il vero rischio non è quello di una uscita dell’Italia dall’euro, ma di un invito all’Italia a uscire dall’euro.

Oggi l’Italia è percepita dalla maggior parte dei partner europei, a torto o a ragione, come una palla al piede, una mina vagante politicamente instabile e con un enorme debito pubblico che minaccia periodicamente la stabilità dei mercati.

E qui veniamo alla seconda partita, con i mercati e le agenzie di rating. Anche in questo caso si andrà allo scontro. In parte il motivo è culturale. Come sempre accade nella storia, la rabbia causata dalle recessioni profonde porta ad accusare mercati, speculatori e, oggi, le agenzie di rating che li rappresenterebbero. Chi non conosce come funziona l’economia, e vive in un mondo fatto di complotti e sabotaggi ( entrambe categorie molto ben rappresentate nel governo) pensa che queste siano soltanto zecche fastidiose di cui ci si può liberare con una denuncia alla procura di Trani. Se costoro mettessero da parte la rabbia e guardassero la realtà, si renderebbero conto che non c’è nessun bisogno di malvagi speculatori stranieri per generare una crisi del debito: basta che tanti normali signor Rossi non comprino più titoli di Stato. L’anno prossimo, piaccia o no, il governo dovrà collocare 380 miliardi di debito pubblico, di cui solo 21 saranno acquistati dalla Banca Centrale Europea. Nessuna procura può obbligare i signor Rossi a comprare questa ingente massa di titoli (anche se, date certe recenti esternazioni di esponenti del governo, anche questa ultima affermazione potrebbe essere smentita…).

Gli esponenti più avveduti del governo parlano di un altro complotto, apparentemente più sofisticato. Con il Quantitative Easing, fino a poco fa la Banca Centrale Europea comprava 14 miliardi di titoli italiani ogni mese, circa 160 all’anno. Se avesse continuato, sostengono i complottisti, avremmo risolto gran parte dei nostri problemi; l’ha interrotto per boicottare il cambiamento italiano. Ma la fine del Quantitative Easing era data per certa da ben prima che questo governo andasse al potere. E non poteva essere altrimenti. Il Quantitative Easing non era un programma per salvare i paesi ad alto debito pubblico, ma per evitare la deflazione; è già andato ben oltre le aspettative originarie, e solo grazie all’eroica assunzione di responsabilità di Draghi, che ha combattuto l’opposizione strenua della Germania e dei suoi alleati; ed è diventato tecnicamente difficile, perché ormai la Bce detiene quasi tutto il debito pubblico disponibile di parecchi paesi meno indebitati dell’Italia. A meno che… l’Italia non accolga l’invito a uscire dall’Euro e si crei la propria banca centrale, “libera” di comprare tutti i Btp che decideranno i politici per finanziare il “nuovo paradigma”. Per questi complottisti lo scontro è l’occasione per mettere alla prova la loro teoria economica prediletta, e che è ormai diventata un vero e proprio articolo di fede: monetizziamo il debito e ogni problema, miracolosamente, si risolve.

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