Anna Achmatova in un ritratto di Kuzma Petrov-Vodkin (1922)
OSIP MANDEL’STAM
ANNA ACHMATOVA
MARINA CVETAEVA (1892-1941) in una foto del 1913
MAYAKOVSKY NEL 1917 –influenzò le prime composizioni di marina Cvetaeva
CULTURA
I tormenti del signor Pasternak il poeta che non fu mai eroe
BORIS PASTERNAK (1890-1960)
PAOLO GARIMBERTI
“Il senso di colpa del dottor Zivago” di Pierluigi Battista, dedicato al premio Nobel
Il racconto di Pierluigi Battista sui peccati e le virtù di Boris Pasternak ( Il senso di colpa del dottor Zivago, La nave di Teseo) scorre rapido e limpido come un torrente di montagna. Ma la limpidezza della forma contrasta, in un contrappunto che affascina il lettore, con il contenuto limaccioso delle vicende narrate, talvolta decisamente torbide come spesso accadeva nella quotidianità dell’Urss staliniana.
«Tempi carnivori», come ebbe a definirli Anna Achmatova, la poetessa che di Pasternak conosceva profondamente la miseria umana e la grandezza poetica. Boris Pasternak non era un eroe. Il merito di Battista è di raccontare con obiettività cronistica i limiti di un «poeta e scrittore intoccabile», cui «non avevano mai torto un capello, purché se ne stesse docile». E lui, chiosa l’autore, «fino al 1956, rimase così: docile e accondiscendente». A momenti l’accondiscendenza sfiorò la viltà. Straordinarie le tre paginette della telefonata che Pasternak ricevette, dopo l’arresto di Osip Mandel’stam, da Stalin, che gli chiedeva che cosa si dicesse «nei vostri circoli letterari». Di fronte alle risposte vaghe e balbettanti dello scrittore, terrorizzato di compromettersi, il dittatore del Cremlino lo annichilì: «Renditi conto che non hai nemmeno saputo difendere un compagno…
Se a un mio amico poeta fosse capitata una disgrazia, mi sarei fatto in quattro per salvarlo».
Non è un caso che il testo preferito da tradurre per Pasternak fosse l’Amleto, perché, come aveva suggerito lo stesso Mandel’stam, «è la storia di una persona incapace di fronteggiare la sua stessa viltà e quindi si rifugia nella pazzia». Altri, e soprattutto altre, pagavano i conti con il terrore staliniano, che Pasternak riusciva a evitare.
Come Marina Cvetaeva, con la quale lo scrittore ebbe dal 1922 al 1935 quello che Battista descrive come «un impetuoso amore epistolare, disincarnato». Una storia destinata a implodere per il contrasto tra il carattere «molle e accomodante» di Pasternak e «l’assolutezza dolorosa in tutti gli aspetti della vita», nella quale è sempre vissuta la Cvetaeva.
OLGA IVINSKAJA (1912-1995), anche lei poetessa e scrittrice
Ma chi pagò più di tutti, per ben due volte, con l’arresto nel tristemente famoso carcere della Lubjanka e poi con la detenzione nel gulag siberiano, fu Olga Ivinskaja, che dal 1946 ebbe un’appassionata storia d’amore con Pasternak, ma che rimase sempre soltanto un’amante, perché il poeta non volle mai lasciare la tirannica moglie Zinaida (che a sua volta era stata portata via con il tradimento al suo migliore amico). Pasternak viveva in uno stato di permanente doppiezza. Proprio come il suo personaggio, Jurij, che «durante il tragitto tra la casa di Lara (Olga) e quello della moglie Tonja (Zinaida), in mezzo alla neve e al gelo, sentiva di vivere nella menzogna e si macerava in un dilemma dilaniante». Il dottor Zivago fu per Pasternak una sorta di redenzione da «una catena ininterrotta di sensi di colpa».
Verso Olga, prima di ogni altro, alla quale lo scrittore dedicò, nel 1956, il manoscritto finale del romanzo con un appassionato biglietto di accompagnamento («Tutto questo è tuo, Lioljushka!»), che fu usato come prova contro di lei per la condanna al carcere siberiano per aver ispirato un romanzo il cui «spirito è di mancata accettazione della Rivoluzione sovietica».
Zivago non fu ovviamente pubblicato in Unione Sovietica (il carteggio tra Pasternak e Giangiacomo Feltrinelli, che lo pubblicò per primo in Occidente è una delle parti più affascinanti del racconto di Battista) e Pasternak non poté recarsi a Stoccolma per ricevere il Nobel.
la rivista fondata a Mosca nel 1925
Olga e Boris si erano conosciuti nella redazione di Novyj Mir, la rivista letteraria che è stata il più fedele barometro del tempo politico e ideologico in Urss.
Aleksandr Solgenitsyn (1918- 2008), nel 1974
Rigidamente ortodossa ai tempi di Stalin, interprete del “disgelo” di Krusciov, quando pubblicò Una giornata di Ivan Denisovic, il primo racconto sull’universo concentrazionario che rese famoso Aleksandr Solgenitsyn. Il quale, nel 1970, due anni dopo l’intervento dei carri armati sovietici a Praga, subì la stessa sorte di Pasternak: insignito del Nobel non poté recarsi a Stoccolma per l’ostracismo del regime.
Si rifugiò nella dacia dell’amico Mstislav Rostropovic (che a sua volta pagò con il divieto di tenere concerti in patria e all’estero).
MSTISLAV ROSTROPOVIC — il maggiore violoncellista dell’epoca — SUONA DAVANTI AL MURO DI BERLINO —novembre 1989
Entrambi furono espulsi, tre anni dopo, dall’Urss e bollati come «nemici del popolo». Forse era a quei tempi «carnivori», avrebbe detto Anna Achmatova, cui andò il pensiero Rostropovic quando suonò il suo struggente violoncello davanti al Muro di Berlino appena caduto, nel 1989.
Lo stesso anno in cui ancora Novyj Mir pubblicava per la prima volta in Russia Arcipelago Gulag, il capolavore di Solgenitsyn. Ma oggi al Cremlino c’è un signore che definisce la fine dell’Urss (e del Muro di Berlino) «la più grande tragedia della Storia». I tempi «carnivori» potranno mai tornare?
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Guai a vivere in tempi interessanti! Il vero guaio è che tutti i tempi in realtà sono interessanti, quindi come riuscire a scamparvi?