Strage Bus, dieci anni a testa per i dodici di Autostrade. Il pm: “Che nessuno la faccia franca”
Strage Bus, dieci anni a testa per i dodici di Autostrade. Il pm: “Che nessuno la faccia franca”
Renato Spiniello –
Dieci anni a testa per i dodici imputati tra dirigenti e dipendenti di Autostrade per l’Italia, ovvero l’amministratore delegato Giovanni Castellucci, il direttore generale Riccardo Mollo e i dipendenti Michele Renzi, Paolo Berti, Nicola Spadavecchia, Bruno Gerardi, Michele Maietta, Gianluca De Franceschi, Gianni Marrone, Massimo Fornaci, Marco Perna e Antonio Sorrentino.
Dopo quelle per il titolare della Mondo Travel Gennaro Lametta e per i due funzionari della Motorizzazione Civile di Napoli Antonietta Ceriola e Vittorio Saulino, arrivano le richieste di condanna da parte della Procura della Repubblica di Avellino anche nei confronti dei dirigenti e dipendenti di Autostrade per l’Italia nell’ambito del processo penale sulla strage di Acqualonga, in cui il 28 luglio del 2013 persero la vita quaranta persone.
L’accusa mossa dal procuratore Rosario Cantelmo, con i sostituti Cecilia Annecchini e Armando Del Bene, è concorso in omicidio colposo plurimo e disastro colposo per i reati omissivi del mancato controllo e manutenzione delle barriere del viadotto autostradale. Secondo la tesi dei pm, confermata dal perito d’ufficio Felice Giuliani dell’Università di Parma, il degrado dei tirafondi (i cavi d’acciaio che tengono fisse le barriere bordo-ponte) è tra le cause della caduta del pullman. Con una migliore manutenzione, probabilmente, i new jersey avrebbero retto all’urto.
“Tutte le condotte degli imputati – ha riferito Cantelmo a conclusione della lunga requisitoria – sono state allo stesso tempo determinanti negli esiti tragici della strage”. Il magistrato, inoltre, ha sollecitato una sentenza giusta, che risponda a quella domanda di giustizia proveniente non solo dalla Procura ma anche dai familiari delle vittime. “Spero che nessuno riesca a farla franca” sono state le sue esatte parole.
Il capo dei pm irpini ha parlato di “sciatteria”, “negligenza” e “omissione” riferendosi ai dirigenti di Aspi, sia quelli centrali che territoriali. Il magistrato si è soffermato però anche sulle vittime, su quei corpi dilaniati dopo il volo di trenta metri dal viadotto, sul dolore dei parenti, sulle sofferenze dei sopravvissuti e sugli anni che ne sono seguiti.
Due le storie, in particolare, su cui ha voluto far riflettere, quelle di Clorinda Iaccarino, che porta ancora i segni fisici di quella notte in cui perse il marito e le figlie, e di Annalisa Caiazzo, che ha una figlia di appena cinque anni all’epoca dei fatti operata diverse volte, “aperta come una scatoletta di tonno” dice Cantelmo e per la quale la madre ogni giorno si chiede “cosa sarà di lei quando non ci sarò più”. Alcuni parenti si commuovono in Aula, una delle superstiti, Partorina De Felice, perde i sensi per l’emozione e viene soccorsa dai Carabinieri e dagli operatori del 118.
Cantelmo ha mostrato in Aula una foto che secondo lui “rappresenta la sintesi delle ragioni per cui siamo qui”. Da una parte un tirafondo nuovo, dall’altra uno di quelli estratti dalla barriera del viadotto Acqualonga, completamente ammalorato e corroso.
“Il fenomeno di corrosione degli ancorati al tempo non era conosciuto o prevedibile”, si sono sempre difesi i consulenti tecnici di Aspi. “Era noto a tutti tranne che a loro” ha attaccato Cantelmo, aggiungendo “nulla di tutto questo si sarebbe verificato se solo Autostrade avesse mantenuto i propri impegni, quelli previsti dal contratto di concessione per le quali è retribuita ampiamente dagli importi dai pedaggi, anche da quelli delle quaranta vittime della strage. La manutenzione di 400 metri di barriera avrebbe fatto la differenza tra la vita e la morte, escludere quella tratta dagli interventi è stato solo e unicamente per rispondere alla logica economica e di profitto”.
Il 16 novembre toccherà ai difensori replicare in Aula, mentre la verità processuale sarà stabilita il 21 dicembre, quando il giudice monocratico Luigi Buono leggerà la sentenza di primo grado.
Le pene severe chieste per questi crimini di omissione, che avrebbero potuto danneggiare e uccidere ciascuno di noi, serviranno forse a rendere più attente le società concessionarie delle autostrade. Penso però che dovrebbe essere la politica, il governo a fare un controllo sistematico e severo di queste opere pubbliche, pagate attraverso le tasse dei cittadini, e che poi vengono “abbandonate” al controllo, sempre interessato, delle concessionarie. Il controllato e il controllore non possono mai coincidere, secondo un buon senso comune.