ISOLA DI LESBO, CAMPO MORIA::: POSTI PER 3000 PERSONE, NE ACCOGLIE 6000
IL FATTO QUOTIDIANO DELL’08-10-2018
Il centro di accoglienza di Lesbo e l’effetto ‘palla di neve’ nelle università
Un docente di diritto pubblico e un’attivista presente sull’isola hanno bloccato il rimpatrio di un siriano torturato
di Nando dalla Chiesa | 8 ottobre 2018
L’oggetto della mail era intrigante: palle di neve. Che sarà? Un invito in montagna in questa stagione? Foto di bimbi felici? Il mittente era un mio collega di Scienze politiche, Davide Galliani. Docente di diritto pubblico, ma soprattutto di “diritti fondamentali”. Leggo e non trovo promesse di giochi invernali né foto virali. La mail è bella, scoppia di gioia, di emozione: “Ho ricevuto da Lesbo, in Grecia, una chiamata sul cellulare. Era una ragazza che lavorava come attivista per i diritti umani nel centro di accoglienza sull’isola. Mi ha detto che il mio nome le era stato fatto da una studentessa di un mio corso qui in facoltà. Ha iniziato a raccontarmi cosa accade in quell’isola, ma voleva dirmi del caso di un ragazzo siriano di soli 21 anni. Appena finito il racconto, le ho detto di mandarmi un documento con scritto nero su bianco quello che mi aveva raccontato”.
Davide Galliani, è uno che non si tira indietro. Il diritto lo regala a chi nulla ne sa e magari neanche sa leggerlo. Racconta che alla ragazza, arrivata a lui attraverso un fantastico telefono senza fili, ha spiegato che avrebbe provveduto a leggere il documento, a farci mettere il timbro da un avvocato e a spedire il tutto via fax alla Corte di Strasburgo. Obiettivo, salvare il ragazzo siriano torturato in Siria, che piuttosto che essere espulso in Turchia dal centro di Lesbo, è disposto a uccidersi. Sa con certezza che, grazie agli accordi con l’Europa, dalla Turchia verrebbe rimandato proprio là dove l’hanno torturato. Davide, che è professore assai più giovane di me, ha allegato alla mail il ricorso presentato a Strasburgo. Ma la ragione della sua lettera non è il compiacimento professionale. È qualcosa che vorrebbe far arrivare a tutti gli insegnanti.
“Ho deciso di raccontarvi questa storia per un solo motivo. Facciamo un lavoro straordinario, una nostra studentessa sparsa in giro per il mondo è in grado di salvare davvero e realmente vite umane. Non salveremo mai l’umanità, ma iniziando a salvare singole vite umane facciamo quello che dobbiamo fare. E la cosa che più mi riempie il cuore è sapere che la nostra facoltà, i nostri corsi di laurea, i nostri insegnamenti sono in grado anche di salvare vite umane. Di fatto, il merito del ricorso va tutto ascritto a questa ragazza che ha deciso di vivere con i migranti sull’isola di Lesbo. Io ho fatto veramente poco, è incredibile che sia stata lei, con la sua penna, i suoi occhi, la sua esperienza all’origine di tutto. Se la Corte concederà la misura sospensiva, via fax arriverà (magari anche nel giro di due giorni) l’ordine di sospendere l’espulsione. Se così andrà, mi auguro che la piccola palla di neve possa diventare una piccola valanga, perché come lui ce ne sono tantissimi altri”.
Eccole, le palle di neve. Davide aggiunge i suoi dubbi: “Chissà le autorità dell’isola, e poi la Corte… abbiamo fatto una cosa buona ma poi chissà come finisce”. Pochi giorni e annuncia: è finita bene. La Corte ha risposto, ed è intervenuta. Ha chiesto al governo greco cosa ha fatto per la salute del ragazzo siriano. Il giovane è stato riportato al centro di Lesbo, dove la sua situazione sanitaria viene tenuta sotto controllo. Ora però dobbiamo rispondere anche noi alla Corte: dobbiamo replicare a quanto ha detto il governo che, in sostanza, sostiene che l’ospedale lo ha imbottito di tranquillanti per evitare che si suicidasse. In ogni caso abbiamo ottenuto la cosa più importante, tirare fuori il ragazzo da quell’inferno, che era prima di tutto un inferno interiore. Si sarebbe ucciso senz’altro”.
Poi il lampo che sembra arrivare da Riace. “Nelle Università dovremmo insegnare non dico la disobbedienza civile, ma certo la giustizia nel modo di pensare. Se ci fai caso, professore deriva da profiteri, quindi da pro e fateor, ossia ‘dichiarare pubblicamente’. Per me significa impegnare la nostra responsabilità a votarsi a una causa, a darne testimonianza. Non insegniamo ‘quale’ causa, ma insegniamo l’impegno, la dedizione, la passione, il prendere pubblicamente posizione. Ecco, la storia della nostra ragazza a Lesbo è una grande storia perché in lei è passato il nostro dovere di insegnare bene. Vedi, io credo che quella ragazza, la cui voce è incredibilmente sicura e certa, come se conoscesse perfettamente il mondo e le sue aberrazioni, insegna a noi insegnanti che siamo importanti”. Ecco, questo è un dialogo (a una voce) che può svolgersi in una università pubblica. Ripartiamo da qui?
Condividi