REPUBBLICA.IT / MICROMEGA —24 SETTEMBRE 2018
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Salviamo Ahmad
di Raffaele Carcano
L’Arabia Saudita è un paese alleato. Ma non è un bel paese. Nonostante la sua costante e ingombrante presenza nel consiglio Onu per i diritti umani, potremmo addirittura definirlo uno stato-canaglia di tipo religioso. Ed è così fin dalla sua nascita, risalente al settecento: l’espansione territoriale della famiglia Saud ebbe luogo mentre in Europa si diffondeva l’illuminismo, e fu favorita dall’alleanza con il wahhabismo – una scuola di pensiero islamica molto più integralista di quelle che l’avevano preceduta.
I risultati dell’unione granitica tra uno stato illiberale e una fede fondamentalista sono sotto i nostri occhi. Un parlamento non c’è, in Arabia, e il Corano fa le veci della costituzione. Tutti i sudditi sono obbligati a essere musulmani e sono soggetti all’occhiuta sorveglianza della polizia religiosa, a cui è affidata “la propagazione delle virtù e la prevenzione del vizio”. I diritti delle donne sono minimali. Gli omosessuali, gli apostati, i blasfemi e gli atei possono essere condannati alla pena di morte. Anzi, quattro anni fa gli atei sono stati persino equiparati per legge ai terroristi.
I detenuti più noti sono Raif Badawi (attivista per i diritti umani, condannato a dieci anni di carcere e già frustato in pubblico) e il poeta palestinese Ashraf Fayadh (la sentenza che gli comminava la pena di morte è stata poi “mitigata” a otto anni di detenzione, accompagnati da ottocento frustate). (NOTA DEL BLOG:: per queste persone vedi i post precedenti)
Ma tra coloro che sono in carcere per aver “attentato” alla religione di stato ce ne sono tanti pressoché sconosciuti. Come Ahmad Al Shamri, “colpevole” di aver pubblicato su internet una serie di video non allineati all’oppressiva religione dominante. Nel 2015 è stato condannato a morte per “ateismo e blasfemia”: una sentenza confermata nell’aprile 2017 dalla corte suprema. In seguito, di Ahmad abbiamo letteralmente perso le tracce. Si pensa (e siamo obbligati a sperare) che sia ancora in carcere.
È per questo motivo che l’Iheu, l’internazionale etico-umanista di cui fa parte
l’Uaar (NOTA:: Unione degli atei e degli agnostici razionalisti ), chiede a tutti noi di scrivere alle ambasciate locali dell’Arabia Saudita per sapere in quali condizioni si trova, per chiederne la liberazione e per denunciare la violazione di basilari diritti umani quali la libertà di coscienza e quella di espressione.
Tali crimini di stato, purtroppo, non sono commessi soltanto in Arabia. Vista la sostanziale inerzia delle istituzioni, l’Iheu diffonde quindi ogni anno un rapporto mondiale sulla libertà di pensiero e gestisce un programma di protezione per gli umanisti a rischio, che chi vuole può sostenere con un’offerta anche minima. L’Uaar si sta dando a sua volta da fare: il prossimo 7 novembre organizzerà una giornata dedicata all’argomento, presentando ufficialmente il rapporto mondiale Iheu.
Nel frattempo, però, è urgente mettere al sicuro la vita di Ahmad e di tutti coloro che sono detenuti in Arabia Saudita per aver espresso un’opinione. Nessuno di loro promuove minimamente il terrorismo: a ben vedere, è stata invece la diffusione planetaria del wahhabismo, pompata dai petrodollari, ad aver creato il brodo di coltura di tanti attentati. Il “governo del cambiamento” intende finalmente cambiare qualcosa negli strettissimi rapporti mantenuti dall’Italia con un paese totalitario? Il ministro degli esteri Moavero se la sente di fare qualche intervento concreto? È soprattutto da questi gesti che si misurano la dignità di un paese e la volontà della sua classe dirigente di migliorare il mondo in cui viviamo.