9/9/2018
ROBINSON
LA RASSEGNA
Scatta via il cliché
di Michele Smargiassi (qualche nota in fondo)
Piergiorgio Branzi, Burano, 1954—Branzi coglie la metafora di un rovesciamento felice della storia nelle capriole di un ragazzino a Burano ( Michele Smargiassi)
Donne in nero. Bambini scalzi. Pescatori con reti. Neorealismo! Poi guardi i cartellini e qualcosa non torna: 1940, 1937, perfino 1935. Sono fotografie del Luce, o di singoli autori oggi trascurati: Morpurgo, Farabola, Barzacchi. Neorealismo fascista?
New York in questi giorni è invasa dal bianco- e-nero italiano più celebre al mondo: tre mostre di fotografia (la principale alla Grey Art Gallery della New York University), proiezioni di film, eventi, un volume tenuto a battesimo da un commosso Martin Scorsese: Neorealismo, The New Image in Italy è il coronamento di quindici anni di ricerche della curatrice Enrica Viganò, nello sforzo di dimostrare che non fu solo cinema, ma anche grande fotografia d’autore. Chissà quanti però faranno caso alle date nel sottotitolo: 1932-1960. Ma sta proprio in quella anticipazione quasi scandalosa la chiave della rilettura di un movimento culturale e politico che troppo a lungo è stato descritto come un’esplosione improvvisa della voglia di “guardare in faccia la realtà” occultata dalla retorica del Ventennio.
Eppure già quarant’anni fa Carlo Bertelli, avanzò l’ipotesi che le radici del nuovo sguardo della democrazia sul paese reale affondasse le radici nel proto- realismo di un regime che non si affidò solo alla prosopopea dei miti imperiali, ma convocò le immagini della nazione proletaria per vantare le proprie radici popolari. È perfino banale ricordare che gli autori del neorealismo del dopoguerra si erano formati culturalmente in quella iconosfera, e ne avevano assorbito la novità più dirompente: la potenza dei nuovi media, cinema, fotografia, radio, grafica, combinati al servizio di una pedagogia politica visuale-emotiva adatta a un paese ancora analfabeta. Una biblia pauperum tecnologica. Chi sospetta revisionismi in questa retrodatazione si rassicuri: il neorealismo del dopoguerra, il neorealismo di sinistra, ribaltò il paradigma politico, sostituendo la retorica populista con la solidarietà di classe. Ma ne conservò la potenza mediatica: molto più che uno stile, o una scelta di soggetti popolari, il neorealismo fu dunque un esercizio della multimedialità applicato a una visione della società.
Una interpretazione non priva di problemi. Nonostante alcuni incroci (Alberto Lattuada), cinema e fotografia neorealisti non furono la stessa cosa: non foss’altro per il fatto che il primo era fiction e la seconda reportage. E se, per Cesare Zavattini, neorealista è semplicemente “chi non si apparta di fronte alla realtà”, il concetto resta scivoloso. Tra il lirismo di Fulvio Roiter, il ruralismo alla Millet di Enrico Pasquali, l’ironia narrativa di Enzo Sellerio, i disvelamenti alla Hine di Tino Petrelli, il simbolismo di Federico Patellani, l’umanesimo francesizzante di Gianni Berengo Gardin e la ricerca etnografica di Franco Pinna passano abissi linguistici, che indussero molti a sostenere come un neorealismo fotografico non sia mai davvero esistito. O che sia stato un rifugio consolatorio, autarchico, che impedì alla fotografia italiana di recuperare il ritardo sui linguaggi artistici della contemporaneità (forse solo Nino Migliori seppe frequentare entrambe le dimensioni: realismo e sperimentazione). Ancora oggi, per i collezionisti americani, la fotografia italiana è donne in nero e bimbi scalzi. Consapevole del rischio di confermare il cliché, lo sbarco neorealista a New York tenta almeno di rileggerlo. ?
Michele Smargiassi (Dovadola, pr. Forlì- Cesena in Emilia Romagna, 1957) è un giornalista italiano.
Laureato in storia contemporanea all’Università di Bologna con una tesi di storia della fotografia, entra nel 1982 a L’Unità, per passare nel 1989 a La Repubblica, dove cura anche il blog Fotocrazia. I suoi articoli e le sue inchieste giornalistiche sono citati in numerosi saggi di autori quali Giovanni Floris , Roberto Ippolito, Giorgio Simonelli, Silvio Ciappi.
Tra i numerosi scritti non giornalistici si ricorda il saggio su La famiglia foto-genica negli Annali della Storia d’Italia Einaudi (2004) e i libri Un’autentica bugia: la fotografia, il vero, il falso (Roma, Contrasto, 2009) e Ora che ci penso: la storia dimenticata delle cose quotidiane, Milano, Dalai, 2011.
Interessante questa scoperta del neorealismo italiano nella fotografia, a dimostrare che le novità non nascono come funghi ma, come del resto i funghi, hanno un humus che va in profondità nel tempo e nello spazio.