MARCO MALVALDI, IL FATTO QUOTIDIANO DEL 4 SETTEMBRE 2018, UN ESTRATTO DEL LIBRO: ” PER RIDERE AGGIUNGERE ACQUA “, RIZZOLI 2018, pp. 151, rilegato:: 18 euro

 

Editore: Rizzoli
Collana: Saggi italiani
Anno edizione: 2018
In commercio dal: 4 settembre 2018
Pagine: 151 p., Rilegato EURO 18

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 4 SETTEMBRE 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/il-trammammuro-non-arriva-al-capolinea/

 

Il “trammammuro” non arriva al capolinea

Napoletani, veneziani o tedeschi uniscono le parole per crearne delle nuove. Ma per capirle servono frasi complete

Pubblichiamo un estratto del libro di Marco Malvaldi, “Per ridere aggiungere acqua”, da oggi in libreria.

Una delle cose che unisce l’Italia, dalla Val d’Aosta a Lampedusa, è la capacità di creare neologismi. Una capacità trasversale e verticale, che unisce da sud a nord, come dimostrato dal meraviglioso trammammuro, termine napoletano che indica l’ascensore spostando, appunto, il tram in verticale e inserendolo in una parete, e che si contende il premio di “miglior definizione di mezzo di trasporto” con il bergamasco spostapoveri, che invece si riferisce al pullman.

Questi meravigliosi esempi di italica inventiva si ottengono per analogia, per unione di termini appartenenti a campi semantici differenti, e non c’è una regola fissa per ottenere un bel neologismo: si può ottenere semplicemente sostituendo una lettera, come nel potentissimo automagicamente, il cui chiaro significato è “automaticamente e in modo a me incomprensibile”, oppure fondendo due termini solitamente successivi in un discorso per forgiare un nuovo termine, come nel salentino fattapposta, ovvero “oggetto che serve a una cosa e solo a quella”. Tipo l’apribottiglie, per intendersi.

Oppure, dei neologismi possono nascere dalla categorizzazione per associazione: un esempio fantastico è la parola carampane. In italiano corrente, indica vecchie signore parecchio vissute, dalle Alpi alle Egadi; ma l’origine della parola viene dalla Venezia dei Dogi, dove le prostitute erano talmente tante (una ogni dieci abitanti) che costituivano un problema. Non tanto quando erano giovani – evidentemente c’era tanto bisogno – quanto piuttosto quando invecchiavano e non erano più in grado di procacciarsi il pene quotidiano. Allora, occorreva trovar loro ricovero, e la maggior parte dei pensionati per passeggiatrici anziane erano case di proprietà del signor Rampani; siccome a Venezia la casa si abbrevia in ca’, andare a ca’ Rampani diventò sinonimo di “andare a Milf” e quindi, da lì, il lemma perse un apostrofo e diventò di genere femminile.

Non c’è regola fissa, in italiano, abbiamo visto. Ci sono lingue, invece, dove la composizione di parole sempre più lunghe è ammessa dalla grammatica; basta aggiungere un concetto in cima o in fondo alla parola e il gioco è fatto. In tedesco, la parola ufficialmente più lunga che compare in documenti ufficiali è la minacciosissima Rindfleischetikettierungsüberwachungsaufgabenübertragungsgesetz, lemma di 63 caratteri che significa “legge per la delega del monitoraggio dell’etichettatura della carne di manzo”, ma non sono rare parole di uso comune di lunghezza inquietante, come ad esempio Rechtsshutzversicherungsgesellschaften, compagnie assicurative che offrono protezione a livello legale (39 lettere). Mark Twain, in un suo saggio, rimarcava l’amore dei tedeschi per questi sterminati bruchi di lettere dicendo “in tedesco alcune parole sono così lunghe che hanno una prospettiva”. La ragione per cui si possono ottenere parole così lunghe è che il tedesco ammette i casi (genitivo, dativo, ecc., un po’ come il latino) per cui non è necessario inserire un articolo tra una parola e un’altra per ottenere una relazione tra i due concetti – la carne (fleisch) di manzo (Rund) è semplicemente Rundfleisch, non fleisch von Rund; inoltre, per costruzione, la lingua tedesca ordina le parole in maniera inversa rispetto all’italiano, per cui i concetti con cui estendere la parola si possono attaccare in cima o in fondo al trenino di lettere.

Per fare la stessa cosa, in italiano, occorrerebbe coniare parole come ospitedicenelegantiinvillappartenenteapresidentedelconsiglio (ho fatto un esempio a caso), che è rivoltante sia come suono che come significato, per cui questo montaggio infinito di concetti nel nostro paese non si può fare, per fortuna: vista l’età media alta e in costante aumento della popolazione italica, la maggior parte della gente arriverebbe in fondo alla parola col fiatone, per non contare quelli che non riuscirebbero a terminarla perché si sono scordati cosa stavano dicendo. A questo punto, uno potrebbe chiedersi perché, nella nostra evoluzione di un linguaggio, abbiamo avuto il bisogno di introdurre le combinazioni di parole, ovvero le frasi. Da quale bisogno, in pratica, nasce la pratica di esprimerci combinando le parole, invece che con un’unica parola molto molto lunga? In fondo, come abbiamo visto, le parole sono in grado di esprimere concetti e situazioni di complessità notevole, specialmente in tedesco. Eppure, anche i tedeschi non possono fare a meno delle frasi. Perché? Il motivo, ovviamente, c’è. Ma per scoprirlo, vi toccherà leggere il resto del libro.

 

 

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