ALFONSO CUARON, ROMA (2018)- TRAILER—EMILIANO MORREALE, REP. 31 AGOSTO 2018, pag. 38 ::: ” LOTTA DI CLASSE E RICORDI IN UN SONTUOSO BIANCO E NERO “

 

 

LOTTA DI CLASSE E RICORDI IN UN SONTUOSO BIANCO E NERO

Emiliano Morreale

Alfonso Cuarón nel 2013 ::: Oscar al miglior regista  2014 / Oscar al miglior montaggio 2014 ++  il Directors Guild of America Award.

ALFONSO CUARON ORCZO (Città del Messico,  1961) è un regista cinematograficosceneggiatoreproduttore cinematografico e montatore messicano– .Cuarón abita a Pietrasanta, in Toscana, dove risiedono anche l’ex-moglie, l’attrice e giornalista freelance italiana Annalisa Bugliani, ed i figli.

Il presupposto alla base di Roma è in fondo giusto: perché le storie degli umili e degli ultimi dovrebbero essere mostrate per forza con un realismo paradocumentario?

Alfonso Cuarón, regista di film diversissimi, da Y tu mamá también a un Harry Potter, per il suo dramma sociale in cui torna al natio Messico, sceglie un luccicante bianco e nero, inquadrature e movimenti di macchina costruitissimi.

Siamo a Città del Messico, nei primi anni 70 (la Roma del titolo è un quartiere residenziale della metropoli). Il Paese è in tumulto, è recente la strage di studenti di Tlatelolco, fortissime le tensioni sociali e le repressioni che sfociano nel massacro di Corpus Christi (120 morti), ad opera di gruppi paramilitari fascisti. Tutto questo, dapprima, entra poco nella vita di Cleo (interpretata dalla impressionante non professionista Yalitza Aparicio), mite domestica di una famiglia borghese, alle prese con i bambini e le faccende.

La padrona di casa la tratta bene, la fa sentire paternalisticamente una di casa. Quando Cleo resta incinta di un giovane delle favelas patito di kendo, lei la aiuta durante la gravidanza. Ma, dopo una serie di piccoli segnali d’apocalisse (un terremoto, un incendio), la storia arriverà con violenza. Le disparità di classe sono esposte in maniera diretta, con le differenze abissali tra servi (spesso indios) e padroni, ben oltre le differenze di genere. «Siamo tutte sole», dice la padrona: ma lei rimane padrona, e la serva una serva, e questo conta davvero. Dopo il successo di Gravity, Cuarón ha potuto realizzare un film che sentiva profondamente, in cui ha messo i propri ricordi d’infanzia. E, come si diceva, ha scelto uno stile sontuoso, con un grande senso dello spazio, esibendo la presenza di una regia “ricca”, di uno sguardo inevitabilmente diverso da ciò che si narra.

Questo lo candida da subito tra i premiabili. Anche se in certe scene-clou (il parto con inquadratura fissa in parte fuori fuoco, una scena al mare in complicatissimo pianosequenza di 5’ con controluci e dolby avvolgente) rischia di distrarre dall’intensità della vicenda. In una delle scene più forti, Cleo si distende sulla terrazza insieme a uno dei bambini e mormora «Sai che non è male, essere morti?» viene in mente la frase in un episodio di Pasolini, La terra vista dalla luna: “Essere vivi o essere morti (e anche lui intendeva: per i poveri, i dimenticati) è la stessa cosa”.

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