Con i piedi nel fango. Conversazioni su politica e verità
di Gianrico Carofiglio, Jacopo Rosatelli
Editore: EGA-Edizioni Gruppo Abele
Collana: Palafitte
Anno edizione: 2018
In commercio dal: 7 marzo 2018
Pagine: 112 p., 11 euro
in questo link trovate l’indice del libro e l’introduzione
https://www.amazon.it/piedi-fango-Conversazioni-politica-verit%C3%A0/dp/8865791845
HUFFINGTONPOST.IT / BLOG DI PINO PISICCHIO- 15 MARZO 2018
https://www.huffingtonpost.it/pino-pisicchio/che-la-tua-parola-sia-impeccabile_a_23385387/
IL BLOG–
Che la tua parola sia impeccabile
Con la sua ultima uscita in libreria Gianrico Carofiglio non disdegna di attraversare la terra incognita che sta tra la narrativa e la politica, ma lo fa imponendo rigorose regole d’ingaggio. Che non possono che essere incentrate nella parola, nel suo uso e nel suo abuso, nel suo necessario riallineamento nella gerarchia delle cose che impastano l’essere umano.Il saggio in forma d’intervista fatta da Rosatelli, “Con i piedi nel fango. Conversazioni su politica e verità“(edizioni Gruppo Abele), sarà catalogabile tra gli scritti di impegno civile del narratore barese, una volta, però, che sia stato risolto il nodo semantico del lessema “politica”.Carofiglio, che opta, naturalmente, per i lombi più nobili della consumata parola, immergendo tutte e due le mani nel suo pantheon privato in cui convivono Gramsci con Drew Westen, Protagora con Harari, Amos Oz, Ulrich Beck con Goethe, Hannah Arendt con Bobbio e molti altri classici e moderni, crea un vuoto di rumore nell’assordante cacofonia delle parole urlate, per restituire senso,dignità e valore alla politica attraverso la cura del linguaggio.Perché linguaggio ed etica stanno insieme, in una endiadi che è essa stessa valore: valore di affidabilità. Le parole sono pietre, scriveva Carlo Levi anche lui alla ricerca di una verità nel suo viaggio in Sicilia, dunque bisogna usarle con molta attenzione perché possono fare molto male, soprattutto nell’agire pubblico, che comporta una responsabilità al cospetto del popolo.La conversazione si snoda in quattro paragrafi adoperati più per scandire il respiro dialogico che per dividere argomenti, data l’assoluta unità concettuale dell’intervista che prende le mosse da indifferenza e rancore (paragrafo I).Contro l’indifferenza Carofiglio offre come balsamo la scrittura di Gramsci in cui è leggibile il senso di una cocente passione politica. Attenzione ancora alle parole, diremo noi: “partecipare” e “parte” hanno una stessa radice e, dunque, non tollerano il “chiamarsi fuori”cinico dei finti saggi dalla critica a fior di bocca ornata da aristocratica sprezzatura.Ma “parteggiare”, prendere sulle spalle la responsabilità delle parole della politica, non può significare partecipare alla fiera del rancore che si celebra nel mare malmostoso della Rete, dove la “Menzogna e la Manipolazione” (è il titolo della seconda parte dell’intervista) regnano sovrane.C’è, per Carofiglio, un’immoralità nel rancore che il web sparge a mani basse mentre non riesce a trasmutare in indignazione civile il ringhio del risentimento e del disprezzo. Perché anche l’indignazione è un sentimento “sano”, poiché contrasta l’offesa alla dignità delle persone, si ribella nobilmente alle ingiustizie e ai torti.Quanto alla parola maltrattata dalla politica, la parola che si fa menzogna, il ricorso è ad Hannah Arendt e al suo invito alla buona fede, mettendo in guardia il politico dall’uso della falsa promessa per prendere il consenso. L’intervista rende conto di alcune motivate idiosincrasie sul lessico prêt-à-porter in voga nel dibattito pubblico.È il caso dell’espressione “post-thrut”, post verità: Carofiglio sostiene che semplicemente non vuol dire niente, mentre denuncia il sistematico maltrattamento da parte della politica italiana del latino nella sua tramutazione sartoriana di latinorum urticante (denuncia condivisa!), usata dal grande politologo per bocciare la crassa ignoranza istituzionale dei legislatori ma assunta da questi come riferimento lessicale nobile per le leggi elettorali.L’ironia, diceva Eco, suppone che il loquente e l’ascoltatore siano sullo stesso livello. Se c’è una differenza culturale troppo forte è fiato sprecato. È come, diremmo noi, il sarcasmo al vetriolo di Cetto Laqualunque, maschera cinematografica estrema della peggiore personificazione della politica, preso a modello e superato dai politici in carne e ossa.E se la verità (III paragrafo dell’intervista: Verità, sostantivo plurale) è una parola anagrammabile in tre modi (relativa, rivelata, evitarla) che impongono tre diverse visioni teleologiche, non si potrà fare a meno della “gentilezza”o della “mitezza”, la stessa perseguita dal filosofo politico Bobbio, nel trattare gli altri come soggetti “non come oggetti da manipolare, percuotere o distruggere”.Quanto alle “narrazioni” e allo “storytelling”( e siamo al IV ed ultimo paragrafo,Le parole e le storie), Carofiglio mette in guardia dall’uso manipolativo della comunicazione persuasiva che riproduce in politica le forme della persuasione pubblicitaria nel commercio, perché “le scelte politiche non sono comparabili a quelle che ti portano ad acquistare un certo detersivo o una specifica marca di biscotti..”Chiude il libretto una meditata bibliografia. Che dire? È un dialogo protagorico (dal sofista dei Dissoi Logoi) che fa bene alla mente e mette nel lettore la voglia di leggere qualcosa di più. Persino una curiosità sul pensiero dei Toltechi, remota civiltà precolombiana che si affermò tra il X e il XII secolo.Nei principi della saggezza troveremo scolpito al primo posto: “la tua parola sia impeccabile”. Un precetto che vale quanto un’enciclopedia Treccani per una politica dedita all’incontinenza verbale per giunta antagonizzante con i congiuntivi e un tantinello menzognera.
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