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Storia e filosofie del Punk (parte prima)

by Edoardo Puglielli

1976-2006: quarant’anni di punk

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Nel corso degli anni Settanta prese corpo nei paesi occidentali una controffensiva liberista finalizzata a riportare in auge il potere delle élite economiche. Il periodo 1945-75, infatti, se dal punto di vista del lavoro e della democrazia aveva rappresentato una fase progressiva, dal punto di vista del capitale era stato un incubo, caratterizzato da una crescita dell’antagonismo e della conflittualità sociale, dall’imporsi di una significativa dinamica redistributiva e da una riduzione del saggio di profitto del capitale privato. Per l’establishment capitalistico occorreva frenare questi processi (si vedano, ad esempio, le contromisure indicate nel noto «memorandum» redatto da Lewis Powell del 1971 e reso pubblico solo vari anni dopo). La risposta che si affermò venne teorizzata nel famoso convegno che la Trilaterale dedicò nel 1975 alla «crisi della democrazia». In che cosa consisteva tale crisi? In presunti «eccessi» di democrazia, in particolare nel potere conquistato dalle classi lavoratrici di incidere sulla distribuzione del reddito, sul governo delle imprese e sull’organizzazione del lavoro, causa a sua volta di inflazione (così sosteneva la vulgata, sebbene l’inflazione derivasse dallo shock petrolifero del 1973) e di una conflittualità sociale che iniziò ad essere definita «non compatibile». La reazione da opporre avrebbe dovuto perciò ribaltare questa dinamica democratica ed innescare il grande drenaggio di ricchezze, risorse, poteri e funzioni direttive dal lavoro al capitale e dal pubblico al privato.

Alla crisi di redditività del capitale industriale si ripose così con politiche liberiste antipopolari e di austerità. Le imprese, a cominciare dagli USA, avviarono profonde ristrutturazioni: le produzioni a ridotta composizione organica iniziarono ad essere trasferite nei paesi cosiddetti «emergenti» (dove, tra l’altro, era possibile sfruttare forza lavoro flessibile, sottomessa e sottopagata) con l’obiettivo di restringere la base occupata e ridurre così il potere vertenziale conquistato dalle classi lavoratrici. Le imprese pubbliche iniziarono ad essere smantellate (Billy Bragg dedicherà l’ep Between the Wars al grande sciopero portato avanti dal National Union of Mineworkers contro lo smantellamento dell’industria carbonifera del paese).

Crebbe rapidamente la disoccupazione e crebbe tra i lavoratori la disponibilità ad accettare salari sempre più bassi e contratti sempre meno sicuri. I diritti al lavoro e del lavoro iniziarono ad essere sistematicamente depotenziati e aggrediti (favorendo i licenziamenti, comprimendo i salari, precarizzando, smantellando garanzie e tutele precedentemente conquistate, etc.). Le tasse sui profitti e sulla ricchezza furono ridotte, il che significò meno risorse pubbliche per il welfare, per la tutela dei diritti di cittadinanza e per il soddisfacimento dei bisogni universali, per i servizi e i sistemi di protezione sociale precedentemente conquistati dalla classe operaia e dalle classi medie. Contestualmente si estese una martellante propaganda volta ad imporre a tutti gli strati sociali una cultura del «trionfo del privato» e dell’affermazione individuale da perseguire con irrisione delle regole democratiche e dei valori collettivi.

Questo pacchetto di politiche liberiste – dispiegatesi pienamente negli USA di Ronald Reagan e nella Gran Bretagna di Margaret Thatcher – determinò un drammatico aumento della disoccupazione (buona parte della quale destinata a rimanere strutturale, permanente, non transitoria), delle disuguaglianze, della povertà e di nuove forme di marginalità sociale (contro questa situazione gli Specials incisero Ghost Town), della repressione (The Guns of Brixton dei Clash tratta appunto della violenza delle forze dell’ordine), della popolazione carceraria, del razzismo (gli Sham69 dedicarono alla lotta contro il razzismo l’inno If the Kids Are United); e determinò, inevitabilmente, anche una forte ripresa della spesa militare e delle missioni belliche (contro il militarismo della Thatcher gli Exploited incisero Let’s Start a War… Said Maggie One Day, e i Crass, tra le altre cose, How Does it Feel to Be the Mother of a Thousand Death?).

Lo slogan spesso usato dalla Thatcher era «T.I.N.A.», There Is No Alternative, non c’è nessuna alternativa al sistema liberista. Il movimento punk reagì in modi diversi: tra il nichilismo socio-esistenziale dei Sex Pistols, la militanza culturale dei Crass e l’impegno politico dei Clash vi fu una vasta gamma di risposte.

Nel «No Future» dei Sex Pistols si identificarono migliaia di giovani esclusi, senza lavoro e senza reddito, rassegnati di fronte alla prospettiva di un futuro nero e senza speranze, destinati alla marginalità e all’indigenza in una società sempre più individualista e classista. Coloro che accolsero il messaggio dei Sex Pistols ritennero perciò che non valeva la pena vivere secondo le regole e la disciplina imposte da quelle stesse classi dirigenti che avevano voluto e determinato quella situazione. Essendo trattati come «scarti» e come soggetti «non indispensabili» alla società, come «avanzi» e come «rifiuti» della società, la risposta immediata fu quella di personificare lo «scarto» e il «rifiuto» assumendo atteggiamenti e stili di vita che quella stessa società ripugnava: a maggior ragione perché la società li ripugnava.

La risposta alla crisi dei Crass fu diametralmente opposta, e sul loro impegno la letteratura è sterminata. I Crass, infatti, non furono solo un gruppo punk di dichiarata ispirazione anarchica, furono anche un collettivo impegnato sulle questioni dell’antiautoritarismo, del pacifismo e del vegetarismo, sulla lotta contro la mercificazione del corpo della donna, contro lo sfruttamento del lavoro e contro l’imperialismo. Dopo la morte di Bobby Sands i Crass parteciparono attivamente alla vasta campagna antimilitarista contro la guerra delle Falklands. Diedero vita anche ad una sorta di comune anarchica appena fuori Londra, che negli anni bui della Thatcher produsse testi culturali e performance teatrali e visive.

La risposta militante dei Clash è certamente quella più conosciuta. Il «No Alternative» della Thatcher altro non era che l’ideologia funzionale ad una situazione che doveva essere combattuta. Niente nichilismo, dunque, e niente autodistruzione, ma antagonismo e solidarietà di classe. Di qui la scelta dell’impegno nella lotta anticapitalista, antimperialista, antifascista e antirazzista, nella convinzione che «The Future Is Unwritten», che il futuro cioè non potrà che essere l’esito del conflitto e della lotta ingaggiata contro le classi dirigenti. Per cambiare lo stato di cose presente e per imprimere al futuro una diversa direzione occorreva dunque impegnarsi. Con le parole di Joe Strummer: «la politica [della Thatcher] ha ucciso le speranze, ampliato il divario tra chi può tutto e chi non ha quasi niente. Smantellare il welfare e spingere nella direzione del liberismo ha messo in ginocchio una parte consistente dell’Inghilterra. Certo, per chi faceva musica e arte Margaret Thatcher è stata un avversario e al tempo stesso una fonte di ispirazione fenomenale. Contro la sua politica la musica ci ha messo il cuore, ma non è stato sufficiente. Noi Clash ci abbiamo messo anche la faccia, abbiamo inciso un disco come Sandinista (l’ex primo ministro inglese voleva bandire il termine perché i sandinisti erano i guerriglieri comunisti del Nicaragua che avevano deposto il Presidente Somoza). Le abbiamo detto no. Non so se sia servito, ma io rifarei tutto».

Assai importante, in questo contesto, fu l’esperienza del Rock Against Racism, che vide la partecipazione attiva di ClashSham69 e Uk Subs. Il Rock Against Racism nacque nel 1977 nell’ambito del movimento della Anti Nazi League in una fase in cui la crisi economica aveva favorito una violenta ondata razzista ed una crescita dei consensi nei confronti dei gruppi neofascisti del National Front (dal 1976 al 1981 vennero assassinate in Inghilterra 31 persone di colore). La scintilla da cui scaturì la decisione di allestire questo movimento – messo in piedi da militanti comunisti, socialisti e anarchici – fu un episodio che coinvolse Eric Clapton, che nel 1976, durante un suo concerto, aveva avuto parole di apprezzamento per un deputato tory noto per le sue posizioni razziste. In risposta venne stilato il primo manifesto di Rock Against Racism, che recitava: «noi vogliamo musica ribelle che fa crollare la paura della gente. Musica della crisi. Musica attuale. Musica che sa chi è il vero nemico. Rock contro Razzismo. Ama la musica – Odia il Razzismo». Non solo antirazzismo, dunque. Gli attivisti e i punx più impegnati nel movimento avevano ben compreso che tutti stavano diventando vittime di una svolta autoritaria, classista e antipopolare di cui la criminalizzazione degli emarginati e il razzismo nei confronti degli immigrati erano solo i sintomi più evidenti. Il movimento accelerò l’organizzazione di eventi all’insegna della solidarietà e della lotta dopo i fatti di Lewisham, un quartiere a sud di Londra densamente popolato da immigrati caraibici e lavoratori di colore. Il 13 agosto 1977 il National Front marciò verso il quartiere di Lewisham con l’intenzione di intimidire i residenti e di far presa sulle masse inglesi esasperate dagli effetti sociali della crisi. Circa 10.000 antifascisti (bianchi, caraibici, studenti, lavoratori) si opposero al passaggio del National Front e dopo diverse ore di battaglia con fascisti e polizia riuscirono a bloccare la marcia. La grande stampa, naturalmente, nel commentare i fatti prese le difese di neofascisti e polizia, definendo «fascisti rossi» i difensori di Lewisham. Il primo grande evento di Rock Against Racism fu quello del 30 aprile 1978 a Victoria Park con Clash, Steel Pulse ed altre band. Intervennero circa 80.000 persone. Gli organizzatori, che certo non si aspettavano una partecipazione di pubblico così imponente, decisero di ripetere l’evento in altre località (Manchester, Cardiff, Southampton, etc). Un altro evento antirazzista molto importante si tenne a Londra in Brockwell Park il 24 settembre 1978 con gli Sham 69 come headliner. Nello stesso anno, in risposta all’assassinio di un loro connazionale, 8.000 bengalesi organizzarono a Brick Lane la più grande manifestazione asiatica registratasi in Inghilterra. Nel 1979, dopo l’uccisione a Southall di un attivista dell’Anti Nazi League, venne organizzata una manifestazione di 15.000 persone che impressionò fortemente l’opinione pubblica e i mass-media. Tutto ciò fece crescere il movimento; la conseguenza fu l’arretramento dei neofascisti del National Front, che nelle elezioni del 1979 ricevette una pesante sconfitta elettorale. Raggiunto l’obiettivo immediato, il Rock Against Racism iniziò a lavorare anche su altre questioni quali il diritto al lavoro, la difesa dei diritti sociali e l’opposizione all’aggressione liberista portata avanti dai conservatori thatcheriani contro i giovani e la working class. L’ultimo concerto promosso dal Rock Against Racism si tenne a Leeds, nel 1981, davanti a 30.000 persone.

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