PIERFRANCESCO CURZI (1968), IL FATTO QUOTIDIANO DEL 7 AGOSTO 2018:::: ASSAD E I SUOI PADRINI::: LA SIRIA DOPO LA GUERRA HA UN PADRONE SOLO

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 7 AGOSTO 2018

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Assad e i suoi padrini: la Siria dopo la guerra ha un padrone solo

Sette anni – Chiusi in una sacca i ribelli a Nord, quasi debellata l’Isis, l’intesa coi curdi restituisce al dittatore di Damasco il pieno controllo

Assad e i suoi padrini: la Siria dopo la guerra ha un padrone solo

Nessuna operazione militare a tappeto su Idlib. Quella che, fino a pochi mesi fa, sembrava una soluzione obbligata da parte della coalizione in appoggio al presidente siriano Bashar al-Assad, potrebbe essere accantonata o modificata. Almeno per ora. Mosca e Teheran sembrano riuscite a calmare Assad, desideroso di spazzare via qualsiasi resistenza interna, imponendo un piano per limitare gli effetti collaterali. Duro con i gruppi terroristici sunniti, Daesh ma non solo, dialogante coi curdi, Assad è costretto a negoziare con la parte ribelle protetta da Erdogan.

Osservando la mappa attuale ci si accorge di come le ‘macchie’ che un tempo rappresentavano il controllo delle fazioni islamiste radicali e quelle occupate dal Califfato siano, a parte Idlib, quasi scomparse. Piccole sacche di resistenza cancellate dal risiko siriano, dove Assad sembra ormai aver vinto la sua guerra interna, iniziata quasi 7 anni e mezzo fa. Vincente, ma con le mani legate dai suoi partner, senza cui oggi non sarebbe a questo punto. Proprio i creditori di Damasco stanno dettando la linea applicata durante gli accordi di Astana, pronti a essere rinegoziati a settembre.

La Russia ha il controllo totale della situazione, al punto da aver relegato Washington a un mero ruolo di comprimario. L’impegno confuso della Casa Bianca in Medio Oriente mostra pro e contro: impotente in Siria, protagonista assoluta in Iraq dove la situazione resta comunque complessa. A poco servono le dichiarazioni di facciata: “Siamo pronti a collaborare con gli Stati Uniti sulle misure da adottare per la stabilizzazione della Siria e della sua ricostruzione”, ha affermato il comandante dello Stato maggiore delle forze armate russe, Valery Gerasimov, rivolto al suo omologo americano, il generale Joseph Dunford. In realtà Putin e il suo ministro degli Esteri, Lavrov, non intendono spartire la torta col rivale storico.

La strategia per Idlib studiata a tavolino da Mosca e Teheran punta a neutralizzare i potenziali jihadisti ‘reclusi’ nella provincia a nord della Siria attraverso azioni mirate. Nessuna task-force militare, nessuna riedizione dei blitz su Aleppo ed Homs a esempio. In questo senso vanno viste le cosiddette ‘Postazioni di osservazione’, una quindicina di punti speciali realizzati attorno al perimetro dell’area di Idlib. Una morsa attorno alle milizie sunnite più oltranziste, tra cui gli ex al-Nusra, diventati oggi, attraverso modifiche nominative più che sostanziali, Hayat Tahrir al-Sham (Hts).

Il ruolo è doppiamente strategico, una tattica allo specchio nei confronti delle 12 postazioni già erette dalla Turchia. La doppia linea di controllo servirà per sradicare i gruppi islamisti su due fronti. Da una parte Damasco e i suoi alleati, dall’altra Ankara, pronta ad armare i suoi ‘ribelli’, in particolare l’Esercito siriano libero (Fsa) per assumere il controllo della provincia più a ridosso del suo confine nazionale, tra le regioni di Hatay e Gaziantep. Tra gli irriducibili, non solo a Idlib, ci sono ancora sparute cellule dell’Isis. La più ostica è a sud, nel deserto di Suweida, al confine con Giordania e Israele. Negli ultimi giorni il regime di Damasco ha bombardato duramente l’area sotto controllo Daesh, provocando almeno 250 vittime. Un’azione resa necessaria dal fallimento della trattativa posta in essere da Mosca per liberare una trentina di ostaggi.

Ieri intanto, lo Stato Islamico ha diffuso un video con la decapitazione di un 19enne di origini druse. Per risolvere la questione degli ostaggi, i curdi dell’Sdf (Forze siriane democratiche) hanno detto di essere pronti a scambiare prigionieri dell’Isis. A proposito dei curdi, l’unico fronte aperto al dialogo da Assad è proprio con loro. Il 28 luglio, a Damasco, c’è stata la prima riunione ufficiale delle delegazioni trattanti. I curdi, per chiudere la partita interna, chiedono di veder soddisfatti 4 punti: un ministero importante nel futuro governo, possibilmente quello del petrolio; l’insegnamento del curdo come seconda lingua oltre l’arabo nelle scuole; un documento d’identità dedicato alla popolazione e l’integrazione della milizia del Ypg nell’esercito siriano. Assad ci sta pensando.

 

 

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Pierfrancesco Curzi (1968) è nato e vive ad Ancona. Giornalista, collabora con Il Resto del Carlino di Ancona e per Il Fatto Quotidiano ha realizzato numerosi reportage da Iraq, Siria, Libano, Turchia, Egitto, Tunisia, Bosnia, Cecenia, India, Siberia, Armenia.

Grande viaggiatore, in particolare nel continente africano, ha pubblicato i libri: Stanno tutti bene (Italic, 2014), dedicato al genocidio ruandese, In Bosnia (Infinito Edizioni, 2015), sul conflitto dei Balcani, e Nel Caucaso da Grozny a Beslan. Reportage dalla provincia dell’impero russo (Infinito Edizioni, 2016).

Nell’afa (Vydia Editore, 2016) è il suo primo romanzo.

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