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VENTIMIGLIA: AL BAR HOBBIT SI SERVE UMANITÀ

 

STAZIONE DI VENTIMIGLIA

 

 

Ventimiglia. Temporeggiavamo fuori dalla stazione in attesa di pigliarci un caffè al bar Hobbit: la prima volta che sentivo parlare di questo locale e della signora Delia.

Proprietaria del locale dal 2015, gestisce quello che è diventato un punto d’appoggio ed esempio di degna ospitalità per i migranti che arrivano in città. Continua Delia: «Il bar, essendo situato nelle vicinanze della stazione, è sulla strada che porta alla periferia, per andare a stare sotto i ponti. Si deve comunque passare davanti al bar. A un certo punto qualcuno ha iniziato a fermarsi e a entrare: li ho serviti senza problemi. Complice il fatto che mastico un po’ di inglese e parlo francese (perché siamo in una città di frontiera) si è iniziato ad avere più gente nera e non li ho mai sbattuti fuori. Poi hanno iniziato a chiedermi da mangiare e per un periodo, dopo aver chiuso il bar la sera, portavo il vassoio delle pizze e delle focacce avanzate a chi aspettava fuori o chi stava in stazione. Da lì in poi il passaparola è stato rapidissimo e mi sono trovata ad avere il bar pieno di migranti ogni giorno. Da quel momento è iniziato il rapporto con tutte queste persone».

Delia ascolta e risponde alle domande, lascia usare il bagno ai suoi ragazzi, permette loro di ricaricare la batteria del cellulare, distribuisce indumenti che le vengono donati e prepara un pesto delizioso! «Da me bimbi e donne incinta non pagano». Al bar si impara l’italiano con delle lezioni tenute da una maestra in pensione sua amica: dopo la lezione viene offerto il pranzo agli alunni. «Molti mangiavano solo quando venivano al corso e molti vengono al corso solo per mangiare. Se per qualche inghippo il corso salta una lezione, qualcuno rimane a digiuno fino alla lezione successiva. Il cibo e il materiale per la scuola di italiano che voi mi avete donato è stato un gradissimo aiuto». Si riferisce alle raccolte e donazioni di Progetto 20k con il quale si è creato un forte legame e un sentimento di aiuto reciproco.

Ma al bar Hobbit non si sgarra! “Mamma Delia”, come la chiamano gli chabeb, ha posto delle rigide regole per far funzionare al meglio l’attività: frequenti controlli obbligano a mantenere tutto perfettamente pulito e a norma. Delia è alta un metro e 40 centimetri, ma quando si arrabbia e inizia a urlare il silenzio cala improvvisamente in tutto il locale.

Mi spiega: «Perché sbatterli fuori? Io sbatto fuori la persona maleducata che infastidisce gli altri e crea disordine, a prescindere del colore della sua pelle. Io sono la responsabile del locale. Io non ho mai avuto una rissa. Io urlo perché voglio educazione e bagni puliti, in quanto sono soggetta a controlli praticamente tutti i gironi! Se entrano e trovano qualcosa che non va mi fanno chiudere: io perdo il posto di lavoro e loro il posto in cui stare. Alla domenica, quando io sono chiusa, loro sono in mezzo alla strada: devono capire queste regole per il loro bene ed è giusto spiegargliele. In questo mi aiutano i ragazzi che sono in città da più tempo. Fino ad ora sono riuscita a mantenere l’ordine e soprattutto a lasciare aperto questo punto d’incontro».

L’attività del bar, però, è a rischio ormai da un anno: «Sono stata catapultata in un mondo che non è più il mio. Ho dovuto rivoluzionare tutto e ora il bar è sputtanato, così come la mia faccia. Dicono che “Da Delia si fanno solo i negroni”. Parole che feriscono, ma si va avanti. Non ci si può fermare davanti alla cattiveria della gente». Oltre alle voci maligne, Delia deve anche fronteggiare dei problemi economici: i conti a fine mese non tornano mai!

Ultimamente però, forse la situazione sta cambiando: la gentilezza e l’umanità di Delia han fatto si che altre realtà varcassero la soglia del bar Hobbit. Sabato 4 febbraio ha avuto luogo un aperitivo di beneficenza a cui hanno partecipato alcuni medici di Medici Senza Frontiere, qualche rappresentante francese di Amnesty International, i ragazzi di associazioni  a sostegno dei migranti come La talpa e l’orologioArticolo2Presidio Permanente No Bordese Progetto 20k .

La proiezione del video “Per un uso proporzionato della forza”, che unisce testimonianze di alcuni migranti e filmati degli attivisti, e il ricco aperitivo preparato da Delia hanno attirato un buon numero di persone. Un’atmosfera di positività creatasi insieme a persone “nuove” all’ambiente del bar Hobbit: «[è stato] un bel momento di confronto tra di noi, che la pensiamo alla stessa maniera. Sono rimasti tutti contenti per quello che avevo preparato e la serata è riuscita perfettamente. Ci siamo accordati per rivederci in futuro, ci siamo scambiati varie opinioni e, per essere stata la prima volta, credo sia riuscita molto bene. Pensa che hanno partecipato alcune volontarie della Caritas che non erano mai passate dal bar: ora hanno iniziato a collaborare insieme per distribuire coperte e proprio Caritas ha da poco aperto la mensa ai ragazzi dalle 11 a mezzogiorno».

La frontiera con la Francia a Ventimiglia, IM (Guy Lebègue, Wipedia) / Licenza CC-BY-SA-3.0

Piccoli passi verso una maggior collaborazione delle varie realtà che operano sul territorio. Realtà che si sono conosciute da poco, ma tutte accomunate dal rifiuto del razzismo, che invece cresce in questa strana città di frontiera. Una psicologa è rimasta colpita dai racconti di Delia su alcune donne frequentanti il suo bar che hanno avuto delle crisi e si è messa a sua disposizione per dare aiuto e supporto. Delia ripensa ai primi mesi di accoglienza: «Incontrare queste persone in viaggio, ascoltarle… sono tutte esperienze che poi devi vivere giorno per giorno. Di fronte al pianto di un bambino, all’isteria di donne che invece i bambini li avevano persi in mare, alle urla di una ragazzina sotto shock non si può rimanere indifferenti. Anzi, me ne facevo carico talmente tanto che di notte piangevo. Sono figlia di migranti e so per certo che un bambino, se ha un bel ricordo del Paese che lo accoglie poi diventa un bravo cittadino, ma se gli lasci brutti ricordi… poi non ci lamentiamo degli attentati! Della mia infanzia da immigrata ricordo sì il dito puntato, ma anche gente che ci faceva giocare, ci voleva bene. Trasporto la mia vita da immigrata, la mia sofferenza e la mia gioia. Il dito puntato non lo farò a nessuno».

Dopo aver pranzato al bar, prima di rincasare, usciamo a fumare una sigaretta insieme a Delia: dal fondo della via si vede arrivare un nonnino zoppicante dall’andatura lenta che cammina verso di noi. In una mano il bastone e sotto il braccio una zucca gigante. È nonno Giovanni che la regalerà a mamma Delia per preparare una buona zuppa ai suoi ragazzi.

 

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