— 20 marzo 2018
IL FUTURO DELLA SINISTRA/”E ORA QUALCOSA DI COMPLETAMENTE DIVERSO”
“Non conta la fede che un movimento offre, conta la speranza che propone”.
La sentenza di Umberto Eco che permette a Guglielmo da Baskerville di spiegare ad Adso da Melk la verità sulle eresie e sul loro successo va ben oltre i confini narrativi del Nome della rosa. E permette anche a noi di spiegare tutto intero l’esito delle elezioni del 4 marzo.
Il Partito Democratico, ma anche Liberi e Uguali e perfino Potere al Popolo non hanno saputo proporre alcuna speranza. Il Movimento 5 Stelle, invece, l’ha fatto. È riuscito a trasmettere una sola speranza: quella del cambiamento. Anzi, di un rovesciamento: la speranza che l’alto sarebbe diventato basso, e il basso alto. Il dentro fuori, e il fuori dentro. Questo il senso della parola ‘populismo’, che non è necessariamente una brutta parola: opporre il popolo all’establishment, considerando e presentando entrambi come due blocchi di interesse coesi (e qui cominciano, naturalmente, i problemi).
(Anche la Lega ha saputo proporre una speranza: una speranza nera, però. Una speranza che non riguardava l’avvicendamento al potere, ma l’eliminazione dei nemici: i migranti, l’Europa, papa Francesco…)
Il paradosso (annunciatissimo) del 4 marzo è che la sinistra non c’è più. Perché i voti rimasti al Pd appartengono nella gran parte a chi non spera in un cambiamento, ma punta invece sulla conservazione dello stato delle cose (il Pd tiene solo nei quartieri benestanti e benpensanti). E chi spera in un cambiamento da sinistra (e cioè vuole eguaglianza e giustizia sociale) o non ha votato, o ha votato in massa per il Movimento 5 Stelle: aggrappandosi, per disperazione, all’ultima speranza.
E allora? Qual è il destino della Sinistra, in Italia?
A giudicare dalle loro reazioni di questi giorni, le forze che non sono riuscite a proporre speranza non sembrano avere nemmeno la speranza di cambiare. E, in queste condizioni, le rovine della sinistra non possono essere restaurate: sono solo macerie, che le prossime tornate elettorali si incaricheranno di rimuovere.
Il Pd, dopo aver perso sei milioni di voti su dodici in dieci anni, non sta cercando di capire come una simile catastrofe sia potuta succedere, ma guarda solo al prossimo segretario. Non pensa e non discute la visione, la ragion d’essere, il progetto di società e di Paese: ma imbocca la scorciatoia della guida, della leadership, del volto. E che volti: quello di Nicola Zingaretti, colui che (per fare un solo esempio) ha preso il berlusconiano Piano Casa della Polverini e l’ha non solo prorogato, ma trasformato nella legge sulla ‘Rigenerazione urbana’ che consegna definitivamente ala speculazione, al cemento e alla diseguaglianza le periferie di Roma e le città del Lazio. O quello di Carlo Calenda: come se il Pd avesse perso perché non era abbastanza appiattito sullo stato delle cose. Abbastanza di destra, insomma.
In linea con questi propositi di definitivo suicidio va letto il violento rifiuto di comprendere la più elementare grammatica di un sistema parlamentare con legge proporzionale: di capire, cioè, che nessuno è stato messo al governo e nessuno all’opposizione, mentre tutti sono stati messi in Parlamento. Per parlare, confrontarsi trasparentemente e provare a costruire un qualche tipo di governo. E come fa dunque il Pd a sputare sui tre milioni di suoi elettori che questa volta hanno votato Cinque Stelle? Davvero vogliono regalarglieli per sempre? Peggio: è davvero disposto il Pd a punire il Paese (e soprattutto gli ultimi) fino al punto di cooperare attivamente al ‘tanto peggio tanto meglio’ di un governo della Lega?
Ancora più suicidiarie, se possibile, le reazioni a sinistra.
In accessi pubblici di alcolica euforia, Potere al Popolo ha annunciato la volontà di andare avanti di corsa, come se avesse avuto un gran successo. E questo dopo un risultato che certifica anche nel numero l’invariante del risultato di Rifondazione Comunista. E dopo che nella zona di Napoli dove è radicata l’esperienza mutualistica dell’ex OPG, Potere al Popolo è arrivato intorno al 3%, mentre i Cinque Stelle oltre il 50%. Occorre altro per capire che questo non è un inizio, ma una fine?
Anche peggio guardando a Liberi e Uguali. L’analisi che ha prevalso, anche in pulpiti autorevoli, è una non-analisi fatalistica. Il cui succo è il seguente: lo tsunami antisistema era così forte che nessuna struttura avrebbe resistito. Dunque inutile chiedersi cosa si è sbagliato: tiriamo avanti, e assolviamoci tutte e tutti. Ma, a parte l’effetto ripugnante di una classe dirigente che si autoassolve e si gratifica con qualche stipendio parlamentare dopo aver condotto la barca a sfasciarsi sugli scogli, questa analisi si fonda su un presupposto esiziale. E cioè che la sinistra debba per forza far parte del sistema: e che, dunque, di fronte ad una ondata antisistema non possa in nessun caso reggere.
E io che pensavo che le ragioni della sinistra fossero molto, ma molto, ma molto più antisistema di quelle dei 5 Stelle!
Infatti, mentre la gran parte dell’intelligenza critica della sinistra (incluso il Manifesto) benediceva Liberi e Uguali, io la vedevo al contrario. Pensando che “il motivo per cui milioni di giovani preferiscono i 5 Stelle alla Sinistra è che quest’ultima non ha il coraggio di dire che bisogna rovesciare il sistema. Un sistema che lascia fuori della porta metà del Paese. Una Sinistra troppo preoccupata di ‘rassicurare’ gli spettatori dei talk show, apparendo moderata, affidabile, “di governo”. Una Sinistra che, raccontando a se stessa che è tattico scegliere un servitore dello Stato, finisce col raccontare a tutti gli altri che sta scegliendo di servire lo stato delle cose. Una Sinistra convinta di non vincere perché troppo alternativa: e che invece non convince, e non vince, perché è troppo timida, conformista, prevedibile. Una Sinistra che non può dire di voler rifare lo Stato dalle fondamenta candidando chi per cinque anni è stato il numero due dello Stato. Anche se si tratta di una eccellente persona, come nel caso di Grasso. Una Sinistra subalterna al Pd: perché si autocondanna a ruotare intorno all’elettorato, e al ceto politico, di quel partito, come un satellite ruota intorno a un sole malato. Una Sinistra che sembra non trovare altre parole, altre persone, altre biografie. Senza coraggio, senza fantasia, senza la capacità di liberarsi da complessi di inferiorità, conformismi, mimetismi, tatticismi e attese messianiche del leader questa Sinistra continuerà a parlarsi allo specchio, i Cinque Stelle continueranno a trionfare, e mezza Italia a non votare”. “Perché il succo della vicenda è che tre partiti (due piccoli, uno minuscolo) hanno fatto una lista comune. Hanno costruito un’assemblea dividendosi le quote di delegati. Che sono tutti loro iscritti tranne un piccolissimo numero (meno del 3%, cioè circa 40 sui 1500, cui però si aggiungono altri “interni” al sistema, e cioè quasi 200 membri “di diritto”: parlamentari, assessori, sindaci…). Niente di male: ma questa è la cucitura del vecchio, non c’è niente di nuovo. È un progetto fatto per chi è “dentro” la politica, non è un progetto capace di parlare a chi è fuori. … Un aneddoto, che serve a spiegare cosa intendo. Nella prima versione di un lungo testo che Guglielmo Epifani (incaricato da Mdp della trattativa per quel manifesto) propose anche a noi del Brancaccio, si leggeva questa imbarazzante frase: “Vanno eliminate le forme contrattuali più precarie, e i contratti a termine privi di casuale, il lavoro precario deve essere più costoso per l’impresa rispetto a quello stabile, e vanno introdotti elementi di costo aggiuntivi per le imprese che non rinnovino o stabilizzino. i contratti a termine”. Quello stesso giorno, per puro caso, Papa Francesco aveva detto: “Anche il lavoro precario è una ferita aperta per molti lavoratori (…). Precarietà totale: questo è immorale! Questo uccide! Uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società. Lavoro in nero e lavoro precario uccidono”. E niente: è tutto qua. La distanza abissale tra il linguaggio del Papa e quello dell’ex segretario della Cgil è la distanza che una nuova Sinistra avrebbe dovuto esser capace di coprire. Se tutto si risolve nell’antirenzismo, se a essere profondamente rimessi in discussione sono solo gli ultimi tre anni, e non gli ultimi venticinque, nulla di nuovo potrà nascere. Il problema della presenza dei vari D’Alema e Bersani è tutta qua: nulla di personale, ovviamente. Ma se la loro presenza lì dentro impedisce di dire la verità su quello che proprio loro hanno fatto, se non si ha il coraggio di sconfessare una storia, allora il nuovo non può nascere. Durante una delle nostre discussioni, Epifani, con il suo garbo, mi disse: “Ma allora tu vuoi dire che nulla di quello che abbiamo fatto quando eravamo al governo andava bene?”. Sì, vorrei dire proprio questo. La pagina del centrosinistra alla Tony Blair è una pagina da cui liberarsi. Senza se e senza ma”.
Il lettore avveduto si sarà accorto che gli ultimi due periodi sono in corsivo, e tra virgolette. Sono testi che avevo pubblicati il 30 ottobre e il 4 dicembre dell’anno scorso: e oggi sono ancora più veri. Se li cito non è solo per il gusto di dire che avevo ragione (anche, sia chiaro), ma soprattutto per dire che bisognava davvero essere accecati, dall’ansia di rientrare in Parlamento e da una radicale incomprensione del momento storico, per non vedere queste ovvietà.
E questa cecità non è stata sanata dall’esplosione del 4 marzo. Anzi. Dopo la disastrosa sconfitta nella battaglia di Pavia (1525), Francesco I di Francia scrisse alla madre: «Tutto è perduto tranne l’onore, e la vita che è salva». Nel caso della Sinistra italiana, dopo il 4 marzo ad essere salva è solo la vita.
Sulle prime Pippo Civati ha dato la colpa alle liste: definendole tristi, grigie, tutte di ceto politico e piene di gente che cercava una poltrona. Sacrosanto. Ma non dice che fu proprio Possibile, con Paolo Cosseddu, a uscire per primo dal percorso del Brancaccio rivendicando l’autonomia dei partiti (!). E che fu sempre Possibile a imporre quote predeterminate per i delegati all’assemblea: così che nessun margine di reale partecipazione dal basso e da fuori fosse possibile. L’obiettivo era mettere in sicurezza il ceto politico nelle liste: e che poi Civati stesso abbia sbagliato i conti, rimanendo fuori dalla Camera, è un particolare dal sapore grottesco. Non posso non ricordare che quando, a novembre, denunciai tutto questo, l’avvocato di Possibile inviò una diffida al Fatto, che mi aveva intervistato. Ma ora Civati ha avuto almeno la decenza di lasciare la guida di Possibile.
Nicola Fratoianni, invece, si è dimesso e poi ha subito ritirato le dimissioni nella stessa, breve riunione della direzione di Sinistra Italiana. Un partito ucciso dalla sua stessa dirigenza: la quale, inconcepibilmente, resta al comando, e anzi annuncia che si va avanti tranquillamente, come il Titanic di De Gregori, a fare il partito di Liberi e Uguali. Una decisione che sancisce l’ingloriosa uscita di scena della generazione del G8 di Genova: ormai definitivamente integrata, normalizzata, assorbita.
Roberto Speranza, che è paradossalmente il più coerente di tutti, ammette ora pubblicamente ciò che era ovvio da subito, e cioè il ritorno collettivo nel Pd: da celebrarsi appena sarà finita la de-renzizzazione. Enrico Rossi e Laura Boldrini, perso ogni contatto con la realtà, plaudono.
Almeno il povero Pietro Grasso, che Nichi Vendola volle con irresponsabile cinismo “programma politico vivente” della Sinistra, ora dignitosamente tace.
Diciamolo una volta per tutte: bisogna voltare pagina.
Senza se e senza ma. Per me, e non credo solo per me, in questo Parlamento la Sinistra di fatto non c’è. Sarebbe anzi dignitoso che i responsabili di questa disfatta per nulla innocente lasciassero quei seggi a candidati più innocenti di loro, lasciando la politica professionistica.
Ma cambierebbe solo la forma: sarebbe solo un poco più decente. Decenza o no, questa storia è finita. Non si costruisce con le macerie, né con chi le ha pervicacemente prodotte. Resto convinto che con il linguaggio, il programma e le possibili candidature che il Brancaccio aveva prospettato, saremmo riusciti a proporre una speranza: e i risultati sarebbero stati completamente diversi. Ma non posso provarlo: e in ogni caso qualunque cosa verrà ora, non potrà essere in continuità con il Brancaccio. Anche solo perché il mondo che il Brancaccio si proponeva di unire, oggi non esiste più.
E ora? “E ora qualcosa di completamente diverso”: è così che ho risposto ai tanti che in questi giorni mi hanno chiesto in che cosa mi sarei impegnato d’ora in poi. È il titolo di un film dei Monty Phyton: un film geniale, ma anche slegato, frammentario e irrisolto. Inevitabilmente lo sarà anche la strada della ‘sinistra che ancora non c’è’. E che, in forma organizzata, non ci sarà ancora per un bel po’ di tempo.
Nessuna scorciatoia elettorale, nessuna cucina degli avanzi, nessuna somma di pezzetti è più possibile. Almeno non per me. Voglio invece ricominciare a studiare, pensare, ascoltare. Partendo dalle cose, e non dalle formule, dalle geometrie o dalle storie passate.
C’è bisogno di sinistra perché c’è bisogno, ora come non mai, di uguaglianza, inclusione, giustizia sociale, democrazia. Ed esiste ancora un vasto popolo di sinistra: perduto, demoralizzato, silenzioso, elettoralmente disperso o astenuto. Per riunirlo, prima ancora che una struttura, o peggio un format, ci vuole un discorso.
Un discorso chiaro, solido, giusto. E forte. Un discorso che si ritesse riprendendo la parola per dire quello che nessun’altro dice. Pensando e parlando da sinistra, prima di voler ‘fare’ una Sinistra.
Facciamo un esempio concreto: si parla già solo di tattiche parlamentari, alleanze, formule di governo, nomi. Ma non si parla dei pochi punti su cui un embrione di intesa potrebbe essere costruito. Il reddito di cittadinanza sta sia nel programma del Pd, sia in quello dei Cinque Stelle: ma non c’è nessuno che, guardando da sinistra, ne spieghi non solo le differenze, ma soprattutto le reticenze e le insufficienze. Nessuno prende con forza la parola per dire che quello proposto del Pd è una presa in giro che scatenerebbe una guerra tra poveri, e che quello proposto dal Movimento ha tratti polizieschi che rischiano di portare ad un aumento dello schiavismo di fatto. Ebbene, bisogna che qualcuno abbia l’intelligenza di dirlo e la forza per farsi ascoltare, spiegando e argomentando. Non è difficile farlo, perché c’è una intera letteratura su questo. Ci sono think tank e movimenti. E c’è una proposta forte, in campo: quella avanzata dalla Rete dei Numeri Pari di Libera. Una proposta di sinistra. Dell’unica Sinistra oggi viva in Italia: quella sociale, non quella politica.
È da un tema come questo, da un mondo come questo che bisogna ricominciare. Con calma, e con pazienza. Con storie, volti, parole nuovi. Fino a che non riusciremo ad essere abbastanza forti, credibili e carichi di futuro da saper costruire e trasmettere speranza. Perché “non conta la fede che un movimento offre, conta la speranza che propone”.
Huffington Post, 19 marzo 2018