prof. marta verginella ::: L’INCENDIO DEL NARODNI DOM (1920) A TRIESTE // UN FATTO ALLE ORIGINE DELLE FOIBE…

 

 

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Narodni Dom (1904-1920)–centro di cultura e commerciale slovena

 

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l’incendio (1920)

 

Prof.ssa Marta Verginella

 

Un clima di contrapposizione tra le nazionalità si instaura a Trieste nella seconda metà dell’Ottocento: lo schieramento italiano ha il primato politico mentre quello sloveno sconta una condizione di subalternità ed esclusione dai centri di potere.

La fine della prima guerra mondiale, con la dissoluzione dell’Impero asburgico e l’inclusione di Trieste nel Regno d’Italia, muta radicalmente la natura del conflitto tra italiani e sloveni. Nel 1920 l’incendio del Narodni Dom pone fine all’ascesa economica e sociale della popolazione slovena e allontana ogni possibilità di sovvertire i rapporti di forza tra nazione dominata e nazione dominante.

Ma com’era strutturata la comunità slovena?

viadellecandeleanni202-viNel ‘700 ci sono le prime ondate migratorie da Carnia, Gorizia, Stiria Inferiore e Carinizia, e gli sloveni si assimilavano e confondevano con l’elemento maggioritario italiano; sono soprattutto inservienti ma c’è anche qualche commerciante. Non formano ancora un vero e proprio gruppo etnico, sono ancora frammentati e tendono a stare per conto proprio.
Figura importante della comunità fu Giovanni Kalister  (1806-1864), ricco commerciante e borsista figlio di contadini che costruì un patrimonio economico in 3 decenni, fu il primo finanziatore dei circoli culturali sloveni, mentre i figli fecero parte della nascente borghesia slovena (il figlio Francesco fece costruire Palazzo Kalister).
Nel 1848 dopo la “primavera dei popoli” gli sloveni acquisirono una moderna coscienza nazionale e rivendicarono un’autonomia politica, fondarono nella Galleria del Tergesteo, la prima società slava, lo Slavljansko drustvo, e l’anno dopo il primo giornale in lingua slovena, lo Slavljanski Rodoljub (Il Patriota slavo).
Le posizioni riguardanti la questiona nazionale erano profondamente diverse però, una parte sosteneva l’attività culturale del circolo, mentre l’altra accolse invece con gran favore il programma politico della Slovenia Unità (Zedinjena Slovenija), ovvero l’unione amministrativa di tutto il territorio su cui risiedeva la popolazione slovena (Carniola, Carinzia, Stiria inferiore, Litorale austriaco) e parificare lo sloveno come una delle lingue ufficiali. L’impulso però era flebile e si dissolse in un nulla di fatto.
Dopo il 1848 l’insegnamento della lingua slovena nelle scuole cittadine e l’uso negli uffici pubblici comunali diventa uno dei punti fondamentali del movimento nazionale sloveno, mentre la maggioranza italiana nega ogni riconoscimento dei diritti linguistici della minoranza, nonostante le leggi austriache lo imponessero.
Gli sloveni scontavano ancora una posizione di subalternità ed esclusione dai centri di potere locale, nonostante l’aumento della popolazione slovena nel centro urbano che ormai raggiungeva un quarto della popolazione totale.
Nel 1861 fu fondata in città la Slavjanska citalnica, la prima sala di letture slava, mentre nel 1866 fu fondata la Scuola della Società dei Santi Cirillo e Metodio, nel rione cittadino di San Giacomo, la prima scuola elementare privata con lingua d’insegnamento slovena. Le autorità locali continuano con il divieto e questo non fa altro che dare ulteriore spinta all’attività politica della comunità slovena.
Edinost1876Nel 1874 nasce a San Giovanni l’associazione patriottica Edinost, fondata da Ivan Dolinar, che nel 1876 si dota dell’omonimo periodico in lingua slovena che uscì poi a Trieste come quotidiano.
L’esclusione della minoranza dalla sfera pubblica contribuì alla costituzione di una comunità minoritaria, economicamente e culturalmente sempre più autonoma, organizzata in forma parallela e chiusa. Con una fitta rete di circoli, cooperative, scuole e asili privati, banche, società commerciali si costituì una comunità sempre più rigida ed inclusiva. Il mancato riconoscimento dei diritti linguistici alimentò nella popolazione slovena la convinzione di appartenere a una comunità ingiustamente vituperata.
La comunità slovena comincia ad essere anche autosufficiente grazie alla fondazione della Jadranska banka (Banca Adriatica), un istituto capace di sostenere le iniziative imprenditoriali della borghesia slovena (bancarie, postali, turistiche…) e fu il simbolo evidente dell’ascesa economica e sociale della comunità slovena.
Questa ascesa finanziaria porta nel 1902 a decidere la costruzione del Narodni Dom da parte di un gruppo di imprenditori finanziati della Cassa di Risparmio Slovena, un edificio considerato all’epoca la sede culturale e commerciale degli sloveni di Trieste.

Perché fu costruito il Narodni Dom?

Perché noi sloveni avessimo finalmente un territorio tanto atteso, un rifugio solo per noi, dove incontrarci e dove non ci caccerà più nessuno e non supplicheremo la concessione di nostri spazi, tutto questo ormai appartiene al passato.

Ma cos’è il Narodni Dom?

(vedi Narodni Dom) Un microcosmo della realtà slovena, un edificio dove trovano), un piccolo teatro con galleria, una  sede di diverse associazioni della comunità slovena (Narodni Dom significa Casa della Cultura, una palestra, una stamperia, due caffè, due ristoranti, un albergo ed un gran numero di appartamenti.

 

Come si arriva all’incendio?

L’ascesa economica e la presa di coscienza linguistica e culturale della comunità slovena è vista con qualche malumore dai triestini.
Il 13 luglio del 1920 durante un comizio di Francesco Giunta (Segretario del Partito Fascista) fu accoltellato e morì Giovanni Nini e dal palco si annunciò che un italiano era stato ucciso da uno slavo.  Gruppi di manifestanti lasciarono la piazza, danneggiando negozi gestiti da sloveni, assaltando sedi di organizzazioni slave e socialiste, prendendo a sassaiole la sede del consolato jugoslavo di via Mazzini, e devastando gli studi di diversi professionisti.

La folla si riunì presso il Narodni dom e iniziarono ad assediare l’edificio da ogni lato, circondato da oltre 400 fra soldati, carabinieri e guardie per mantenere l’ordine. Dal terzo piano dell’edificio fu lanciata una bomba a mano, cui seguì una scarica di colpi di fucile contro la folla, ferendo otto persone e uccidendo Luigi Casciana, tenente dei carabinieri, a quel punto anche i militari risposero al fuoco verso l’edificio. Da qui la ricostruzione della dinamica dei fatti è controversa, i fascisti forzarono le porte dell’edificio, vi gettarono all’interno alcune taniche di benzina e diedero fuoco, dopodiché impedirono ai pompieri di spegnere l’incendio.
Tutti gli ospiti del Narodni Dom riuscirono a salvarsi, ad esclusione del farmacista Hugo Roblek.

Dopo l’incendio:

L’edificio, devastato dal fuoco e completamente distrutto all’interno,  fu espropriato alle organizzazioni slovene.
Questo fu solo l’inizio di una lunga catena di atti intimidatori verso la comunità slovena, l’ascesa del fascismo portò varie conseguenze come il cambio dei cognomi, lo scioglimento delle associazioni slovene nel 1927, il divieto di comunicare in sloveno e la chiusura di Edinost nel 1938. Per gli sloveni a Trieste si aprì la strada dell’esilio, perché chi restava era ridotto al silenzio o finiva al confino.

 

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