Il reportage
A 39 anni dalla rivoluzione
Le incognite di Teheran al bivio del khomeinismo
VANNA VANNUCCINI,
TEHERAN
Nella capitale che celebra il 39esimo anniversario della rivoluzione, i murales con le immagini degli imam e dei martiri che da quarant’anni segnano il panorama urbano sono quasi scomparsi: al loro posto spiccano prati verdi, cascate, cieli azzurri e giovani sorridenti che sventolano il diploma. Gli abitanti dei palazzi cui spetta decidere sulle decorazioni delle loro case, optano per visioni più anodine (anòdino, insignificante, il blog) rispetto a quelle che per decenni erano state l’emblema di un popolo che credeva in quegli ideali di giustizia sociale che erano stati l’obbiettivo dei rivoluzionari.
La rivoluzione del ’79 era stata una delle poche rivoluzioni veramente popolari della storia. Nazionalisti, comunisti e religiosi, tutti erano insorti per rovesciare lo scià “americano”, come veniva chiamato perché era stato riportato sul trono del Pavone dal colpo di stato della Cia contro Mossadegh, il primo ministro che aveva nazionalizzato il petrolio. Ma oggi, se si tenesse un referendum, il 70 per cento degli iraniani direbbe no alla repubblica islamica, sostiene Sadegh Zibakalam, professore all’università Azad di Teheran. I giovani che hanno manifestato il mese scorso in quasi ottanta città chiedevano per la prima volta la fine della Repubblica islamica, non una liberalizzazione come aveva chiesto l’Onda Verde ancora nel 2009.
Zibakalam era stato un rivoluzionario della prima ora, poi sostenitore del presidente Khatami quando questi cercò di riformare la Repubblica islamica e liberare religione e politica da un matrimonio forzato. Il timore dei riformatori è che se ci saranno nuove sanzioni americane, e se Trump farà uscire l’America dal Trattato nucleare, l’Iran si troverà di nuovo isolato dal mondo e la risposta dei fondamentalisti potrebbe essere un colpo di mano che metta lo Stato sotto il controllo dei pasdaran facendo appello alla difesa della nazione. Stroncando così ancora una volta quel sogno di democrazia che il popolo iraniano insegue da quando fece la rivoluzione per la Costituzione nel 1906, e poi con Mossadegh nel ’53 e infine nel ’79. Sempre scontrandosi con l’America: Marg bar Amrika, morte all’America, era lo slogan dei rivoluzionari che sembrava finalmente esser stato superato con la presidenza Obama e la firma del Trattato nucleare.
Si racconta a Teheran che Khatami vada ogni settimana a visitare il Leader Supremo per cercare di convincerlo a prendere posizione, dall’alto della sua autorità, a sostegno del presidente Rouhani e delle riforme. I conservatori vedono nel fallimento del trattato nucleare l’occasione d’oro per dare il colpo di grazia alle riforme che considerano propedeutiche al disfacimento del regime. La posta in gioco è tanto più alta perché si profila il momento della successione all’ottantenne Khamenei e loro vogliono ad ogni costo impedire che la carica più alta dello Stato vada a un moderato come Rouhani. Perfino Medhi Karroubi, l’ex presidente del Parlamento che pur essendo da otto anni agli arresti domiciliari non ha smesso di credere in una ideale Repubblica islamica, ha rivolto un pubblico appello al Leader Supremo: «Prima che sia troppo tardi, apri la strada a una riforma strutturale. Il sistema sta precipitando a tale velocità da essere messo in pericolo da qualche migliaia di persone che protestano.
Invece di accusarli di legami con l’estero e reprimerli con la forza, ascoltali». «Il potere d’acquisto degli iraniani è diminuito del 35 per cento rispetto al 2005», spiega Said Leylaz, economista ed ex viceministro. Il 2005 è l’anno in cui andò al governo Ahmadinejad che con la sua politica populista vuotò le casse dello Stato (quando il petrolio era a 130 dollari al barile!) e portò l’inflazione al 40 per cento.
Rouhani è stato costretto a una politica di austerità che ha riportato l’inflazione sotto le due cifre, ma la disoccupazione è aumentata e se il Trattato nucleare non funziona nessuno riuscirà ad abbassarla, dice Leylaz. Ogni anno si dovrebbero poter creare 900mila posti di lavoro solo per non far aumentare il tasso di disoccupazione. La demografia iraniana sta cambiando rapidamente e il tasso di natalità è oggi quasi a livelli italiani, ma i 18 milioni di giovani nati negli anni 80 in obbedienza al regime che chiedeva figli per la patria sono stati come una slavina di cui si sentono ancora le conseguenze. La disoccupazione dei giovani tra i 20 e i 24 anni ha raggiunto picchi del 25 % nelle province, mentre da novembre anche l’inflazione ha ripreso a crescere. A tutto questo si aggiunge una siccità che devasta le campagne. Quasi trenta milioni di iraniani vivono sotto la soglia della povertà, 11 in povertà estrema, dice Leylaz. La popolazione delle borgate è aumentata di dieci milioni dal ‘79. Che succederebbe se a protestare non fossero poche migliaia ma queste masse che si sentono abbandonate, tradite dalle élite che vivono in appartamenti che costano al metro quadro tre anni di stipendio del muratore precario che lavora in nero, senza assicurazioni sulla salute o sugli infortuni, a costruire il prossimo grattacielo di lusso? Nella storia dell’Iran sono sempre state queste masse a travolgere i governi.
Dopo le proteste dei disoccupati sono venute quelle delle donne che si tolgono il velo. E quando la polizia ha arrestato 29 donne che avevano sventolato il loro foulard davanti ai passanti, Rohani ha risposto facendo pubblicare un rapporto fatto dall’Iranian Center for strategic studies, un istituto di ricerca che dipende dalla presidenza, da cui risulta che la metà degli iraniani sono favorevoli a considerale il velo una questione privata su cui le donne dovrebbero poter decidere. Non è detto però che il gesto abbia conseguenze positive per le arrestate perché il potere giudiziario è in mano ai conservatori che considerano il velo uno dei pilastri su cui poggia la Repubblica islamica.
il murale fuori dall’Ambasciata americana
Teheran
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L’artista iraniano Mehdi Ghadyanloo ha dipinto più di cento palazzi della capitale con scene colorate, surreali e tridimensionali (IL POST)
Mehdi Ghadyanloo
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la questione del velo: la mia amica Radhia (Tunisina) è stata ospite della consuocera iraniana a Teheran circa un mese fa. mi ha detto che in città le donne si vestono all’occidentale e usano per lo più un foulard che spesso e volentieri scivola sulle spalle lasciando la testa scoperta. Le donne iraniane sono piuttosto emancipate, sono la maggioranza all’università ed hanno ruoli importanti nel mondo del lavoro, della letteratura e della cinematografia, dirigono ospedali e giornali, lavorano come ingegneri dei cantieri di costruzione…Giusto quello che mi sembra dica l’articolo: l’accerchiamento dell’Iran da parte dell’occidente potrebbe farlo regredire a scopo difensivo. Per fortuna ha un forte alleato nella Russia.
grazie di supervisionarci…anche sugli animali! ciao, un besìn, chiara