VIDEO DI UN MINUTO E POCO SUL CLONE PERFETTO DELL’OPERA RI-INSTALLATO NELL’ORATORIO NEL CENTRO DI PALERMO
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Michelangelo Merisi da Caravaggio – Nativity with St Francis and St Lawrence – WGA04193 – Web Gallery of Art: Image Info about artwork
IL FATTO QUOTIDIANO DELL’ 11-02-2018
Mafia, il caso del Caravaggio perduto riaperto dal pentito: “Venduto in Svizzera”. Bindi: “Indagare ancora”
di Giuseppe Pipitone
L’Antimafia: “Nuovi elementi, riaprire inchiesta” – A rivelare l’ultima verità sulla Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Michelangelo Merisi è Gaetano Grado, mafioso della famiglia di Santa Maria di Gesù, che da anni ormai ha deciso di collaborare con la magistratura. Storicamente vicino a don Tano Badalamenti, il boss di Cinisi che ordinò – tra le altre cose – l’omicidio di Peppino Impastato, Grado è un pentito importante: ha raccontato, per esempio, degli investimenti di Cosa nostra nelle aziende di Silvio Berlusconinegli anni ’70 e ’80. Nessuno, però, gli aveva mai chiesto di quel dipinto, del Caravaggio perduto su cui decine di collaboratori hanno dato la loro versione: storie sempre diverse, tutte imprecisee sempre de relato. Lui mai: nessuno gli aveva mai posto alcuna domanda su quello che per l’Fbi è uno dei furti d’arte più importanti di tutti i tempi, insieme a uno Stradivari rubato a New York e a un Picasso svanito a Rio de Janeiro. Lo hanno fatto, 49 anni dopo quel colpo milionario, i parlamentari della commissione Antimafia. E Grado ha risposto fornendo una versione nuova. “Con gli elementi che abbiamo acquisito offriamo l’impulso alla magistratura perché possa riaprire l’inchiesta“, dice Rosy Bindi, presidente di Palazzo San Macuto che ha ascoltato la testimonianza del pentito sul destino della Natività di San Lorenzo. Era stato dipinta dal Merisi nel 1609, probabilmente durante il suo soggiorno a Palermo, dove, però, secondo alcuni storici dell’arte, Caravaggio potrebbe anche non essere mai stato.
Un sabato d’autunno e un taglierino: il furto –Di sicuro c’è solo che quella tela è a Palermo che finisce, esposta all’interno dell’oratorio di San Lorenzo, nel cuore storico della città. Ci rimase a lungo, più di trecento anni, almeno fino al 18 ottobre del 1969. Quel giorno era un sabato d’autunno, ma in Sicilia sembrava ancora estate. In centro c’era poca gente e il custode dell’oratorio probabilmente non fece molto caso all’orologio. Erano da poco passate le 15 quando, dopo aver girato le chiavi per aprire i cancelli, l’uomo si accorse subito che qualcosa non andava. La pala con la Natività non c’era più: al suo posto, al centro della cornice, solo un enorme buco. L’avevano portata via senza troppo clamore: recisa forse con un taglierino, arrotolata, rubata. Da quel momento di quella tela non si saprà più nulla: sparita, scomparsa, evaporata. E da quel caldo pomeriggio d’autunno la Natività diventerà semplicemente il Caravaggio perduto, forse uno dei quadri più famosi del pittore lombardo. Di sicuro quello che ha totalizzato meno spettatori.
Leggende, romanzi e terremoti – In quasi 50 anni lo hanno cercato ovunque. Quasi fosse un latitante ne hanno stilato schede identificative diffuse in tutto il mondo: 2 metri e 68 per un metro e 97 e un valore di mercato che oggi si aggira sui trenta milioni di euro. Si pensò subito a un furto su commissione: solo una delle tante ipotesi mai suffragata da riscontri. Tra il 1971 e il 1994 un fascicolo aperto dai carabinieri del nucleo per la Tutela del patrimonio culturale è stato riempito con decine di “soffiate”, “informative”, addirittura “trattative” avviate con presunte “fonti confidenziali“: niente. Del Caravaggio perduto nessuna traccia. Nel 1980 lo storico britannico Peter Watson raccontò di aver ottenuto un appuntamento da un mercante d’arte che voleva vendergli il quadro scomparso. Doveva vederlo la sera del 23 novembre, in provincia di Salerno, ma il terremoto dell’Irpinia mandò a monte l’incontro. Nel 1989 Leonardo Sciascia, rimasto impressionato dal furto compiuto vent’anni prima, decise di dedicare a quel mistero il suo ultimo racconto, Una storia semplice. Tanto semplice, però, non era. Anzi era talmente complessa che la storia del Caravaggio perduto cominciò subito a ispirare una serie di leggende. Racconti che avevano sempre un’ombra nera sullo sfondo: quella di Cosa nostra. Si disse per esempio che il quadro venne rubato ed esposto durante le riunioni della Cupola, per mettere in mostra il potere e il prestigio dei padrini.
Pentiti e racconti fasulli- Nossignore, sostenne Vincenzo La Piana, nipote del boss Gerlando Alberti e primo pentito a raccontare la presunta fine della Natività palermitana. Per La Piana il dipinto venne seppellito in una cassa di ferro insieme a cinque chili di cocaina a alcuni rotoli di banconote: i tesori di suo zio Gerlando. Nel luogo indicato agli investigatori, però, la cassa col dipinto non venne mai trovata. Nel frattempo arrivarono gli altri pentiti, quelli d’alto livello. Francesco Marino Mannoia raccontò al giudice Giovanni Falcone che il Caravaggio perduto non esisteva più: venne arrotolato in fretta la notte del furto. Talmente in fretta da finire rovinato per sempre. Nel 1996 Giovanni Brusca, il boia della strage di Capaci, ha sostenuto di aver utilizzato il dipinto per una sorta di trattativa con lo Stato: l’alleggerimento del 41 bis, in cambio del quadro. Lo Stato rifiutò. Per Gaspare Spatuzza, l’uomo della strage di via d’Amelio, la tela venne conservata in una stalla insieme agli animali in attesa di trovare un compratore. Che non arrivò mai. E topi e maiali banchettarono col prezioso Caravaggio.
“Venduto in Svizzera a pezzi da don Tano” – Ora, invece, ecco la versione di Grado, contenuta nella relazione finale della commissione Antimafia e anticipata su Repubblica dal giornalista Salvo Palazzolo. Un racconto in cui Cosa nostra recita il ruolo di procacciatrice d’opere d’arte per mercanti senza scrupoli: recupera il quadro rubato da alcuni piccoli malavitosi e lo vende all’estero, in Svizzera. “Il furto – ha detto il padrino di Santa Maria di Gesù– maturò nell’ambiente dei piccoli criminali, ma l’importanza del quadro e il suo enorme valore, subito evidenziato dalla stampa indussero i vertici di Cosa nostra ad interessarsi alla vicenda e a provvedere a rivendicare l’opera”. “Grado era una delle persone molto vicine a Badalamenti, ci ha detto che quando Badalamenti venne a conoscenza che certi ragazzi, dei balordi, si erano impossessati di quest’opera d’arte se la fece consegnare e riuscì a mettersi in contatto con un importante acquirente proveniente dalla Svizzera“, ha spiegato Bindi, chiedendo di riaprire le indagini sul Caravaggio perduto. “Già nel 1970 il capo della Cupola – rivela Grado – Gaetano Badalamenti, curò il trasferimento del quadro all’estero, verosimilmente in Svizzera, dietro il pagamento di una grossa somma in franchi. Badalamenti mi disse che verosimilmente il quadro era stato scomposto per essere venuto sul mercato clandestino”. Rubato dai balordi, recuperato dal boss dei boss, tagliato a fette per nasconderlo meglio e venduto grazie all’intercessione di un antiquario svizzero, arrivato a Palermo per l’occasione. Un uomo morto da tempo, ma che Grado ha riconosciuto in fotografia: un dettaglio prezioso per fare riaprire le indagini su quello che è uno dei furti più misteriosi di sempre. Una tessera di un puzzle mai ricomposto che adesso potrebbe anche essere completato. I reati commessi quasi mezzo secolo fa sarebbero tutti prescritti: ma c’è un Caravaggio da recuperare. Anzi: il Caravaggio. Quello perduto.
Twitter: @pipitone87