ROBINSON, 04-02-’18 ::: INTERVISTA A PAUL THOMAS ANDERSON, REGISTA DI ” MAGNOLIA ” E DE ” IL FILO NASCOSTO ” CHE USCIRA’ IL 22 FEBBRAIO…

 

 

ROBINSON

L ’ I N T E R V I S T A

“Il filo nascosto tra me e Guadagnino”

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IL REGISTA

Paul Thomas Anderson è il regista-cult di “Magnolia” che punta all’Oscar (anzi, a 6 Oscar) con la pellicola d’addio di Daniel Day-Lewis. Ma qui rivela, a sorpresa, il tifo per l’italiano che lo sfida con “Chiamami col tuo nome”.

E qual è il suo film più atteso: da paura

Testo di Arianna Finos, foto di Stefan Ruiz

Cosa significano per me sei candidature all’Oscar? Avere in sala Il filo nascosto per tre mesi, invece di vederlo smontato dopo due settimane » . Paul Thomas Anderson ha quarantasette anni e da venti è considerato uno degli autori più originali sulla scena mondiale. A spiegarlo basta il riepilogo dei suoi film: Sydney, Boogie Nights, Magnolia, Ubriaco d’amore, Il petroliere, The Master, Vizio di forma. Sguardo azzurro, carnagione dorata e l’abbigliamento sportivo di chi spende la vita sulle spiagge Californiane, Anderson è incastonato, non senza contrasto, nella camera silente con letto a baldacchino e tappezzeria a ghirigori di un albergo dietro Leicester Square, Londra. È gratificato dallo status di autore culto, ma gli interessa di più “arrivare al grande pubblico”. E sponsorizza perfino un concorrente nella corsa ai premi dell’Academy che risulta essere italiano. «Il miglior film dell’anno è Chiamami col tuo nome. Almeno per me. L’ho visto qui al cinema dall’altra parte della strada».

Curioso, perché Luca Guadagnino un paio di giorni fa ha detto la stessa cosa del suo “Il filo nascosto” (in sala da noi il 22 febbraio, ndr).

«È perché credo in lui e penso che lui creda in me. Quando sei un regista e genuinamente vedi qualcun altro che riesce a commuoverti in modo così profondo e a coinvolgerti in modo così completo, lo ammetti. Il suo film è buono in modo formidabile in ogni singola parte».

Vi ricordo che siete rivali nella corsa a miglior film.

«Ci siamo incontrati, non vedo l’ora di vedere il suo remake di Suspiria ».

Ha visto l’originale di Dario Argento?

«Sì, ma un milione di anni fa. Onestamente mi interessa la versione di Luca. E a fine promozione del mio film spero anche di andarlo a trovare in Italia».

A proposito di cinema italiano, il rapporto amoroso tra lo stilista Woodcock e l’ex cameriera musa Alma ha una sfumatura viscontiana.

« Mi affascina il fatto che gli italiani non si tirano indietro nel ritrarre relazioni amorose intense, borderline, horror. Mi ha colpito molto il documentario su Ingrid Bergman, In her own Words, la parte che racconta della sua relazione con Rossellini. Mio dio, combustibile allo stato puro. Il confronto tra due personalità fortissime».

Proprio come in “Il filo nascosto”.

«Assolutamente sì».

In Italia ci viene volentieri.

« Sì, soprattutto da turista. Sono stato ospite due anni fa nelle Marche, a casa del mio amico Jonny Greenwood (dei Radiohead, candidato all’Oscar per la colonna sonora, ndr). Lavorare con lui è come svegliarsi ogni mattina nel giorno di Natale».

Ha detto che il film ha una doppia ispirazione: una foto dello stilista Balenciaga vista all’aeroporto e lo sguardo di sua moglie, Maya Rudolph, quando l’accudiva nei giorni in cui è stato molto malato.

« Sì. Lo sguardo di Maya mi ha fatto sentire amato, ed essere costretto a letto è stato un bel modo per interrompere la corsa frenetica che caratterizza le nostre giornate, vista anche la fitta agenda dei nostri quattro figli».

Si è portato la famiglia a Londra per il set.

«Questa era la prima volta, da quando la nostra famiglia è al completo, che mi trasferivo a girare così lontano. Ho imparato quanto è importante avere la famiglia con te quando giri. È stata una decisione sofferta, non sapevo se era giusto farli venire, visto che ero pieno di lavoro e temevo di non trovare il tempo per loro. Invece ha funzionato, la famiglia si è pienamente integrata con il set e siamo stati bene».

Cosa le è mancato di più in questo anno a Londra?

«La luce del sole. Sono californiano, dipendo dalla luce. Gli inglesi amano la loro pioggia, io non resisto. Anche se visivamente trovo Londra stupenda».

Cosa ha imparato facendo questo film?

«La sfida è stata fare il direttore della fotografia. Esperienza che ha messo a dura prova i miei nervi, ma di cui alla fine sono orgoglioso e gratificato».

E della società inglese cosa ha scoperto?

«Ho capito qualcosa di più della struttura, una gerarchia delle classi non esiste da noi. Ora che la studio capisco che esiste qualcosa, ma non una divisione così rigida. Mi sono fatto spiegare di più da Daniel ( Day- Lewis, ndr), ma da ospite sono stato accolto da una grande gentilezza e ci lavorerei di nuovo. E poi amo gli attori inglesi».

A parte l’incognita del futuro, il rapporto con Day-Lewis è longevo.

«Ci incontrammo per Il petroliere. Iniziammo una conversazione nella sua cucina di New York, con una tazza di tè, e sento che questa chiacchierata dura ininterrotta fino a oggi. Appena conosciuti abbiamo trascorso i primi quattro giorni senza lasciarci mai, una di quelle cose che fai quando t’innamori: quando non sei con quella persona non fai che pensare “cosa starà facendo?”. Questo sentimento non si è mai affievolito ».

Mai sentito un po’ di soggezione rispetto al carisma di Lewis?

«All’inizio, lo ammetto, un po’ ero nervoso».

Figuriamoci la co-protagonista Vicky Krieps, che ha dovuto fronteggiarlo sul set.

«Ho testato subito la forza di Vicky, l’ho incoraggiata ad amplificare la schiettezza che è una sua caratteristica. È una donna potente, capace di prendersi il suo posto in scena, di tenere testa anche a Daniel. Ha presente la scena in cui lui le prova il vestito

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