Un film che ho visto di recente e che si trova in molte sale italiane è ” Gli sdraiati” di Francesca Archibugi, tratto dall’omonimo libro di Michele Serra, edito pochi anni fa da Feltrinelli.
La trama si svolge a Milano: il protagonista, bene interpretato da Claudio Bisio, è un uomo di successo che presenta programmi in RAI. Anni prima, dopo la separazione, ha ottenuto l’affido condiviso e si occupa del figlio adolescente Tito. Il figlio diciassettenne, studente liceale, è circondato da una banda di suoi amici, che passano la maggior parte del tempo libero sdraiati sui divani di casa a ” cazzeggiare”, a vedere la televisione o a giocare con i videogiochi. Il padre è in rotta col figlio , ma non riesce minimamente a rompere quel muro di silenzio e di incomprensibile ostilità da parte di Tito. Anzi, ai suoi rimproveri più che giustificati ma assillanti, il figlio risponde con l’indifferenza più assoluta. Nella vita del giovane entra una ragazza, altrettanto scostante come lui verso il mondo degli adulti. Si sviluppa forse un sentimento spontaneo, soprattutto da parte del ragazzo. Ci sarà un incidente ( il ragazzo cade dal tetto della scuola) che farà ( forse, e ce lo auguriamo) avvicinare padre e figlio. A far maturare l’adolescente ci sarà anche la morte del nonno materno che, distanziato per l’età e l’esperienza dal nipote, riusciva da lui a farsi ascoltare. Forse l’esperienza di realtà, non solo vissute come spettatori, farà maturare il rapporto tra padre e figlio.
Il film, non banale, riesce a fotografare una situazione di disagio della famiglia: il capovolgimento del rapporto padre-figli, dominato da una specie di dittatura che permette tutto ai giovani e vede i padri senza strumenti per indirizzare i figli, di cui pure vedono i difetti. Forse il film può essere anche una riflessione sui rapporti che noi stessi, giovani generazioni degli anni Sessanta e Settanta, abbiamo avuto con la nostra famiglia, pur facendo le debite distinzioni storiche. I giovani borghesi di oggi non hanno in apparenza nulla con cui scontrarsi, sono appagati nei loro desideri materiali ma manca la molla per cui muoversi. Eppure, anche se i grandi ideali del Sessantotto sono stati cancellati da una realtà spietata e univoca, covano sotto la cenere per riapparire ( speriamo presto) nella realtà di tutti i giorni. Cos’è infatti quel senso di frustrazione che proviamo tutti davanti ad una serie televisiva ben confezionata o a un videogioco che ci fa sentire protagonisti anche se siamo coscienti che non lo saremo forse mai?
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