Ballata n° 4
Roma caotica infernale
stravolta da americani
dai selvaggi cittadini
Roma maleodorante putrefatta
invasa da cani metropolitani
da preti politicanti e questurini
Ci siamo rivisti a Borgo Pio
senza un motivo apparente
o senza un motivo per niente
Recitava il Papa quel giorno
e fra una moltitudine di gente
c’ero anch’io
anche se non c’entravo per niente
Lui era lassù e assai lontano
in alto al suo balcone
io smadonnavo poco cristianamente
su lui sul traffico su ogni accidente
Ti ho vista perché
c’eri anche tu e sembravi uguale a me
e ti ho sbattuto addosso
del tutto casualmente le mani sulle tette
forse un gesto di protezione
o un insano senso di conservazione
per me salute mentale
Ma no
gesto condizionato e tu
me l’hai abbrancato al volo
quasi facesse parte delle masse
o un cero al santo padre
come se l’aspettassi
Un punto fermo
un pilastro per la tua salvezza
un appuntamento fissato e puntuale
Me l’hai strizzato con gioia
allegramente ed io riluttante
t’ho lasciato il seno destro
per grattarmi il naso
Distratto come non ero t’ho detto
“Ciao ci si rivede”
Già
come fosse stato ieri o un’ora prima
Tu che non ridi mai o così dici
o così ti vedo
hai storto un po’ la bocca
tanto che sembrava un sorriso
Mi guardi sempre che non capisco
se mi vedi
o cosa vuoi da me
ma tanto basta io ci sono
stolido e goffo nei gesti e nel linguaggio
sono sempre un giorno indietro o un anno
e non so mai
come mi vuoi
se mi vuoi
Allora ho trascinato le braccia
lungo i fianchi – i miei – e tu
come niente hai intrufolato la mano
accarezzandolo per bene
un vecchio amico
“Ti lavi sempre e non odori mai”
hai detto annusandoti le dita
scuotendole come per buttarmi via
insomma
a te ti va così e ti diverte
Ti ho stretto allora
e ho premuto il tuo ventre
sul mio cazzo incandescente
Pioveva acido su noi e il Papa
le braccia levate la bocca che parlava
era imponente al suo balcone
ed io lo so che ci guardava
La gente era tanta e stretta stretta
smarrita rapita si beava
scoreggiava tossiva e non capiva
pioveva acido
e l’acre odore del sudore
dei fedeli e dei gas dei diesel
si miscelava al mio
non volevo baciarti gesto ostentante
ma il Papa ha parlato tuonando
di donne fedeltà focolare e calzette
e tu per rabbia e con livore
– ora lo so perché eri lì –
m’hai preso il viso tra le mani
con le tue mani le dita lunghe
Con le tue labbra calde
m’hai baciato in bocca
come null’altro ci fosse che noi
Perché tu c’eri eccome
ben piantata ed anch’io c’ero
e caddero schiantati
focolari fedeltà e calzette
schiacciati sul selciato infangato
infiorato di cartacce cioccolatini sfatti
di panini per metà mangiati
di preservativi usati e dimenticati
dai pellegrini deliranti e ottusi
Roma papalina mistica e bugiarda
Roma infingarda
sbracata e sbrindellata
vecchia baldracca
Roma città inculata
da politici e tassinari
da impiegati delle poste e da poeti
da bambini da attori e questurini
da invalidi di guerra e del lavoro
da vecchi pensionati
da donne grasse e magre
dai giovanotti in cravatta e ben stirati
da gentiluomini un po’ stempiati
con sguardo accusatore che san tutto
da grassi prelati pretini e suore
e dalle dolci fanciulle in fiore
baldracca che tutto accetta
e tutto vale
Me l’hai succhiato lì
che sembravi inginocchiata per pregare
E poi
domenica mattina andremo a vedere
le vetrine sbarrate a via Frattina
tenendoci per mano – donna fedele –
sorridendo ai calzini col buco
al focolare
Il Papa elegante e fiero al suo balcone
bianco biondo e lindo come un fiordaliso
ci ha puntato il dito addosso
quando ce ne siamo andati
ed ha tuonato il cielo.
A proposito della ballata n° 4 di Roberto:
Sol per invidia e rabbia
tuonò dall’alto il Papa:
anche per se’ voleva
tale assatanata.
ah ah ah ah bellissima!
Bella la ballata di Roberto e bello il disegno di Mario: per quello che ricordo Roma in certi momenti della giornata ha quei colori preziosi, il rosso e l’oro, una regina orientale e maliziosa.
Mi è capitato per caso sotto il naso un commento di Donatella sulla “ballata n° 4” che improvvisamente m’ha ricordato, ahivoi! , che mancava la ballata n° 8. La considero sempre reietta, forse non voluta, un po’ come un bambino casuale nato da un atto sessuale incauto. Però , alla fin fine, è sempre lì, ed un po’ d’affetto se lo tira ,povera bastarda. E quindi; eccola:
Ballata n. 8
Via delle carrozze
Era un tramonto rosso
quasi orientale
In via delle Carrozze ci siamo sfiorati
noi banali passeggeri
svagati
di questo tempo
ci siamo sfiorati e neanche.
Neanche ci siamo riconosciuti
tu altera gli occhiali scuri
i capelli neri – sempre neri –
lunghi e sottili
le caviglie nervose le gambe snelle
Io per l’appunto svagato
in questo mai cambiato
perdevo ciocche bianche di capelli
non più riconosciuto
neppure da me stesso
Il sole rosso quasi orientale
dieci passi più in là
mi trasferì la tua immagine
come un’aurora boreale
e una nebbia vaga nel ricordo
mi riportò i tuoi occhi verdi senza sole
le tue labbra ladre come gazze
le tue mani vivaci come rondini
i tuoi pensieri come corvi
rapaci e scuri
Allora mi sono fermato
e mi sono anche girato
ho fatto per chiamarti
ma
il tuo nome strozzava la gola
(il tuo nome amato dimenticato)
Tu hai udito un grido silenzioso
tu hai sentito il mio sguardo
così anche tu ti sei fermata
e se questa fosse una fiaba direi
improvvisamente folgorata
Hai voltato solo il capo
e mi hai guardato
o così a me è sembrato
ma non hai sorriso alla mia bocca
– fauci spalancate in un viso ebete –
una bocca della verità sdentata
senza neanche la forza
per mordere le menzogne d’un bambino
così incredibile
così inutile da apparire un ghigno
Ma ti giuro che no
era un tentativo di sorriso
così lacerato
così inconsistente
così poco convincente
Non ho fatto un gesto perchè
un banale movimento del braccio
pesante e doloroso lungo il fianco
avrebbe spezzato il mio incerto equilibrio
non ho fatto un gesto
una sorpresa
un riconoscimento improvviso
un inusuale saluto quasi un grido
– ma sei tu?
Sei proprio tu!
se ricordo, dici?
Suvvia! Ci ricordiamo di noi? –
Come si grida tra amici
come si mormora tra amanti
come si sussurrano due sconosciuti
che spesso si sono incontrati
che a volte si sono amati
senza volerlo
soltanto perchè erano lì
e lì non c’era nessun altro
ma proprio nessuno
Non ho fatto un gesto
mentre Roma in un ritorno di fiamma
in un brivido rosso d’allegria
inondava di sole
un sole quasi orientale
le facciate fatiscenti delle case
il selciato martoriato
da miliardi di piedi nudi
calzati
ticchettanti come i tuoi
I nostri corpi
– Gli anni sono passati – pensai –
– nome sconosciuto dolce viso –
Dolce viso?
da quale intrico della memoria
affiora l’immagine
Eppure è lì e così m’appare
Gli anni sono passati e tu
mi guardi e mi scruti
Vagamente e senza impegno
t’interroghi su un volto forse noto
neppure del tutto girata
Non sei cambiata in questo
né nel tuo viso attento
senza ombra di sorriso
per te sono passati solo giorni
ma un giorno ti basta per dimenticare
perchè un giorno cambia sempre da un altro
Il sole ha un guizzo
un carminio violento
l’ultimo prima del buio
e ti colpisce sugli occhi verdi
sugli occhiali scuri
Hai un gesto infastidito
ti rivolti e vai
Roma Roma
traballiamo insieme sul selciato sconnesso
sulle tue buche storiche mi sorreggi
Vecchia signora in via d’estinzione
dimentica i tuoi improvvisi tramonti
macchiati da un sole quasi orientale
non giocare più
come io ho dimenticato il suo nome
come lei ha dimenticato il mio volto.
Dimenticavo: cosa me l’ha ricordata? Dice Donatella sulla ballata n° 4: “Roma in certi momenti della giornata ha quei colori preziosi, il rosso e l’oro, una regina orientale e maliziosa.”
Esatto, Donatella! Roma è quella ai tramonti.