LUIS CABASES
IL FATTO QUOTIDIANO DEL 24-11-2017
“Riconoscerete il nostro voto? Madrid e Ue dicano sì o no”
Carles Puigdemont – Il presidente catalano in esilio chiede alle istituzioni spagnole ed europee un impegno chiaro sulle elezioni del 21 dicembre
“Semmai diventassi presidente della Generalitat, andrebbe tutto liscio come l’olio”. Era il 2008 e, eletto deputato da due anni al Parlament di Catalunya, il giornalista Carles Puigdemont, tra il serio e il faceto, si definiva in un tweet come una persona non abituata a provocare soprassalti strabilianti. Oggi è il presidente in esilio della Catalogna, da qualche settimana in Belgio per dirigere le strategie dell’indipendentismo con mezzo governo, con l’altra metà in prigione insieme ai due leader storici delle associazioni indipendentiste, con la sua terra gestita dal governo centrale di Madrid che, dopo le botte elargite a chi voleva votare il 1° ottobre al referendum per l’indipendenza, ha applicato l’articolo 155 della Costituzione sospendendo l’autonomia governativa catalana. Incontriamo il presidente nella capitale d’Europa. All’apparenza emerge la stanchezza di questi giorni, la lontananza da casa, l’amarezza per i colleghi di governo e amici chiusi nelle celle. Ma si nota negli occhi e dalla sua verve la determinazione di voler proseguire con la stessa intensità, se non maggiore.
Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha sostenuto in un’intervista aRepubblica di aver salvato la Spagna e che è giunto il momento di sanare le ferite.
È sarcastico che colui che dice di curare le ferite sia lo stesso che le ha provocate. La cosa che richiama di più l’attenzione è che Rajoy si iscriva nella tradizione dei salvatori della patria che c’è sempre stata in Spagna. È successo con Franco, con alcuni dirigenti del PP spagnolo che proviene dalla destra di origine franchista. Questo “salva-patrismo” negli effetti sta condannando la Spagna col pericolo che trascini anche l’Europa.
Rajoy sostiene di esser sempre stato disposto al dialogo, ma non disponibile a rompere l’unità nazionale.
È falso perché mi ha detto personalmente: “Non posso e non voglio parlare del problema di quanto sta succedendo in Catalogna”. Però, anche se non gli piace, c’è una maggioranza di catalani che vuol decidere tramite un referendum il vincolo con la Spagna e una parte significativa di tale maggioranza vuole sia una relazione tra Stato e Stato. La democrazia comanda: noi abbiamo una proposta per migliorare la relazione, che deve essere tra “uguali”. In risposta abbiamo avuto il silenzio o dei no.
Il premier spagnolo dice anche di non essersi mai opposto alla revisione della Costituzione del 1978.
Gli chiesi se aveva un progetto di riforma della Costituzione del ‘78 e mi rispose di no. Ciò che resta chiaro è che lui si è opposto alla riforma dello statuto di Catalogna, che venne fatta d’accordo con l’ordine costituzionale spagnolo, i cittadini e i Parlamenti catalani e di Madrid. Rajoy è un cinico bugiardo che tenta di ingannare l’Europa, facendo credere che con le sue misure metterà fine al problema. Di fatto lo ingrandisce.
La Catalogna che intendete voi, che definite europeista e inclusiva, può essere un’opportunità per l’Europa del XXI secolo?
È ciò che pensiamo e che sentiamo. L’evoluzione della democrazia nel secolo XXI passa attraverso la partecipazione delle persone alla politica senza dover essere politici di professione, ma cittadini che partecipano, si autorganizzano e si autoresponsabilizzano. Stiamo dimostrando in Catalogna che ciò può avvenire. In questo aspetto c’è l’opportunità del miglioramento dell’Europa. Però questa opportunità è anche una minaccia per gli Stati nazionali tradizionali, ma anche per i lobbisti di una certa politica degli Stati-nazione, come Tajani e Juncker.
In Italia il fenomeno dell’indipendentismo catalano viene spesso visto con occhi “padani”. Per esempio Massimo D’Alema sostiene che la vostra sia una disputa nell’ambito della destra locale e una questione di egoismo, di “leghisti catalani”. Insomma di ricchi e poveri.
Per qualcuno che non ha voglia di approfondire la questione e vedere l’abuso dei diritti umani che avviene in Spagna, questo modo di pensare può tranquillizzargli la coscienza. Affermazioni non solo false, ma che dimostrano ignoranza da parte di una certa classe politica europea. Le banche che hanno portato via la sede sociale, rappresentano la destra più dura, legata spesso all’Opus Dei. Credo la Catalogna meriti un minimo di sforzo intellettuale.
Le elezioni del 21 dicembre saranno una sfida. Dice che accetterà il risultato delle urne, ma vuole sapere se anche Madrid, l’Ue e gli unionisti faranno altrettanto.
Prima delle elezioni vogliamo sentire esplicitamente la Spagna e l’Ue per sapere se accetteranno o meno il risultato del voto. Non l’abbiamo ancora sentito in modo chiaro. Signor Rajoy, signor Juncker, signor Tajani accetterete la decisione dei catalani? Sì o no? Abbiamo qualche dubbio.
Rajoy sostiene di no e che la Spagna “non si spacca”…
Veramente è lui quello che l’ha spaccata. Lo ha fatto a colpi di manganello, col suo golpe, utilizzando il re contro una parte dei catalani, mettendo gente legittimamente eletta in carcere, eliminando diritti e libertà. Ci segniamo il suo diniego e, dicendolo anche ai suoi alleati europei, se la democrazia significa non accettare il voto, forse è il momento di ridefinire i canoni della democrazia. La seconda cosa che auspico è che le elezioni si svolgano in un clima di normalità. Ora questo clima non c’è. La nostra vittoria che è prevedibile, sarà un’autentica prodezza.
La Catalogna diventa una repubblica indipendente e l’Europa uno stato federale. Vi fondereste in questa esperienza?
Abbiamo sempre detto che i passaporti e le frontiere sono marginali. A noi interessano gli Stati Uniti d’Europa, ma vogliamo essere una unità sovrana tra questi Stati. Personalmente vorrei un passaporto con scritto sopra “Europa” e uno stato che mi desse gli strumenti per costruire tale società.
Secondo i sondaggi che il 90 per cento dei giovani catalani sia favorevole all’indipendenza vi fa ben sperare?
Diciamo che una delle chiavi per interpretare quello che succederà in Catalogna è il cambio generazionale. Sarà determinato da persone che non accetteranno mai più coalizioni per applicare il 155. Chi vorrà più stare con coloro che, per mantenere l’unità dello Stato, deciderà di applicare la violenza o ridurre libertà? Oggi siamo vicini al risultato e per questo c’è stata la durissima reazione spagnola, tornando indietro di alcuni decenni dal punto di vista democratico. Viviamo in secoli differenti: noi siamo nel XXI secolo, loro nel XIX. Ara es l’hora. Adesso è il momento.