10 DICEMBRE 2015—IL CIRCOLO DEL MANIFESTO DI BOLOGNA
http://www.ilmanifestobologna.it/wp/2015/12/se-il-carcere-cancella-la-nostra-costituzione/
Se il carcere cancella la nostra Costituzione
di Adriano Prosperi
«Voi qui non applicate la Costituzione». Così ha detto un detenuto delle carceri italiane. Si chiama Rachid Assarag. Non importa perché si trovi in carcere. Basti solo sapere che ha registrato, con molte altre cose, questo breve dialogo.
Un dialogo con un graduato (un brigadiere) delle forze della polizia carceraria. Gli ha chiesto: «Brigadiere, perché non hai fermato il tuo collega che mi stava picchiando?». Gli è stato risposto: «In questo carcere la Costituzione non c’entra niente». E anche: «Se la Costituzione fosse applicata alla lettera questo carcere sarebbe chiuso da vent’anni».
La cosa stupefacente non è che un detenuto sia stato picchiato. Né che ci siano state quella domanda e quella risposta. La cosa fra tutte più singolare è proprio il nostro stupore. Davvero riusciamo a stupirci? Davvero non sapevamo che ci sono dei luoghi dove la Costituzione non vale? E non sapevamo forse che fra quei luoghi ci sono proprio quelli che si richiamano alla Giustizia? Gli uomini che picchiano ne recano il nome sulla loro divisa. Il loro ministero di riferimento è quello che si chiamava di Grazia e Giustizia. La Grazia se n’è uscita alla chetichella. Ma la parola Giustizia è ancora lì.
Non solo: quei luoghi sono governati in nome della Costituzione. La Costituzione è come un cielo che ci copre tutti. Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me, diceva Kant. La Costituzione nasce dalla volontà di sostituire all’illusoria volta di un cielo che, come diceva una canzone di Jacques Brel, “n’existe pas”, la protezione effettiva di un orizzonte comune, quella di princìpi e regole validi dovunque si estendano i confini dello Stato sovrano. È la coscienza di essere coperti da questo cielo che ci fa muovere negli spazi della vita quotidiana.
Ma ora, questo scambio di parole affiora in superficie dal fondo di un carcere e ci sbatte in faccia una verità che abbiamo finto ostinatamente di non conoscere: nelle nostre carceri la Costituzione non esiste. Ma davvero si può dare uno spazio pubblico, addirittura un luogo della giustizia dove la Costituzione non vale? Quando questo accade, è come se sulle mura della casa comune si aprisse una crepa. La crepa, trascurata, si allarga. Come in un celebre racconto di E.A.Poe, minaccia la rovina finale dell’edificio. Sottrarre una parte dello Stato alle regole costituzionali è un reato. La legge deve punirlo. Ma quando nella comune coscienza si installa la certezza che esiste uno spazio – quello carcerario – dove la Costituzione non vale, quando lo si sa e lo si dice apertamente in difesa di una pratica di vessazioni e torture nelle nostre piccole Guantanamo, allora vuol dire che la crepa sta intaccando le fondamenta.
Quel brigadiere ha detto che se la Costituzione valesse in quei luoghi, le carceri sarebbero state chiuse da tempo. Con quel brigadiere siamo in disaccordo totale per le cose che non ha fatto: doveva impedire che il detenuto venisse picchiato e non lo ha fatto. Ma siamo d’accordo con lui su quello che ha detto. Se la Costituzione è in vigore, quelle carceri debbono essere chiuse. Dovevano esserlo da decenni.
È un ritardo da colmare. Rachid Assarag, quali che siano le sue colpe, resterà nella storia italiana per aver smascherato una lunga, non più tollerabile ipocrisia collettiva.
Questo articolo è stato pubblicato su Micromega online il 5 dicembre 2015 riprendendolo da Repubblica dello stesso giorno
Quando si sente la parola ” carcere” un buco nero si presenta alla nostra mente: un pozzo senza fondo dove tutto può accadere, dove non c’è giustizia, figuriamoci la possibilità di “redimersi”, che pure è scritta nella Costituzione come uno dei fini principali della carcerazione. Nel carcere gli uomini sono messi in una condizione primitiva: alcuni hanno tutti i poteri, altri nessuno. Non è raro sentire in alcuni film e serie tv che la minaccia peggiore per chi delinque è essere gettato in carcere e dato ” in pasto” ad altri detenuti. Dopo millenni che il carcere ha questa connotazione ( altro che redenzione!), non sono stati fatti molti passi in avanti per renderlo non un luogo di disperazione ( a chi giova?) ma di recupero. La base di Guantanamo, manifesto di una società ingiustamente vendicativa, non è stata chiusa, come aveva promesso Obama. Sta ancora dove era, forse con la speranza di far paura ai terroristi, che più si esaltano nell’idea di sacrificio e di vendetta.