il manifesto del 7 novembre 2017
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Oggi le coalizioni, i due alleati indipendentisti ai ferri corti
Crisi catalana. Nel PdCat avanza l’ala moderata, Esquerra apre alla Cup e ai dissidenti di Podemos. Venerdì 17 Puigdemont dovrà comparire davanti alla giustizia belga
Le giornate che ci separano da giovedì 21 dicembre, il giorno feriale inusualmente scelto dal governo di Madrid per convocare le elezioni catalane, si prospettano intense. La legge elettorale fissa per oggi la scadenza per la presentazione dei simboli di coalizione. Data la situazione, non precisamente una formalità.
Da un lato rimane aperta la possibilità della riedizione dell’alleanza Junts pel Sí (o analoga), che in questa legislatura aveva unificato sotto lo stesso ombrello elettorale due partiti come i repubblicani di Esquerra Republicana e i moderati eredi di Convergència del PdCat. Dopo il fallimento dell’impossibile progetto indipendentista (che era stato sufficiente per farli correre assieme) dell’azzerato governo Puigdemont, i due partiti si guardano in cagnesco.
NEL PDCAT sono sempre più forti le voci di chi vorrebbe tornare al catalanismo, abbandonando la linea del predecessore di Puigdemont, Artur Mas, di abbracciare l’indipendentismo. La posizione è incarnata da Santi Vila, il ministro che si è dimesso all’ultimo minuto contro la scelta di dichiarare l’indipendenza (anche se poi in realtà, è bene ricordarlo, il Parlament non ha davvero votato l’indipendenza, ma solo l’entrata in vigore della legge di transitorietà giuridica, sospesa dal Tribunale costituzionale). Per questo Vila è già potuto uscire dal carcere, anche se è visto dagli indipendentisti come un traditore. Ma al PdCat, in caduta libera di voti da anni, converrebbe il matrimonio con Erc, che però difende a spada tratta il cammino percorso finora. Erc accetterebbe il listone, ma solo a condizione che entri la Cup e pezzi dell’area di Podemos.
LA CUP non ha ancora deciso il da farsi (lo farà sabato), anche se sembra ormai chiaro che parteciperà alle elezioni (pur non essendo quelle della «repubblica catalana»), e Podemos è in fibrillazione. Tanto che il leader locale Albano Dante Fachin, che si era opposto alla confluenza con i Comuni di Ada Colau, si è dimesso ieri, in polemica con Pablo Iglesias e la direzione nazionale. Ora sembra scontato che Podem entrerà in lizza con Catalunya en comú (i simpatizzanti finiranno di votare oggi), che ha scelto il carismatico Xavi Domènech (uno dei portavoce a Madrid di Unidos Podemos) come candidato. Fachin, a cui Erc ha aperto le porte, ha promesso che oggi presenterà un simbolo «tecnico» per lasciare aperta la possibilità di formare una lista comune di sinistra e sovranista, si suppone con Erc e con la Cup, ma quindi senza PdCat. Per la presentazione delle liste c’è ancora qualche giorno di margine. La legge elettorale dà un leggero vantaggio nel reparto dei seggi ai partiti (o coalizioni) più grandi.
DAL PUNTO DI VISTA GIURIDICO, mai come in questa campagna intrecciato con la politica, dopo che Puigdemont e gli altri quattro ex ministri a Bruxelles sono stati lasciati domenica notte a piede libero (senza possibilità di lasciare il paese) dal magistrato belga che valutava l’ordine di cattura emesso dalla giudice spagnola, ieri si è saputo che il giudice li sentirà di nuovo venerdì 17. Intanto i ministri arrestati, fra cui il segretario di Erc Oriol Junqueras, hanno chiesto la scarcerazione obiettando ai motivi addotti dalla magistrata spagnola per mantenerli in carcere che non sussistono né possibilità di fuga (dato che si presentano alle elezioni), né possibilità di reiterare il reato o inquinare le prove (dato che sono stati sospesi dalle funzioni). Inoltre, con la campagna elettorale alle porte, lasciarli in carcere danneggerebbe, dicono, sia i candidati, sia gli elettori. Più di un osservatore ormai ritiene che l’Audiencia nacional abbia agito in maniera giuridicamente scorretta, sia nella formulazione delle accuse (sedizione e ribellione, che non sono competenza dell’Audiencia), sia nel definire il reato di ribellione (che implica l’uso della violenza), sia nell’aver calpestato i diritti della difesa (dando meno di 24 ore alle parti, un giorno festivo), sia nelle misure di privazione della libertà, sia per altre gravi irregolarità. Tanto che il Tribunal supremo, massimo organo giuridico spagnolo, che giudica invece i membri della Presidenza del Parlament, ha agito in maniera diametralmente opposta. Esiste in teoria la possibilità che il Supremo avochi a sé anche la causa oggi in mano alla giudice dell’Audiencia nacional: molti ci sperano, per calmare un po’ le acque e dare un po’ di sensatezza giuridica a questa follia politica.
Un bel caos, da cui emerge la miopia del governo spagnolo e, per fortuna, la pluralità ( non ci capisco molto) degli organi di giudizio.