IL FATTO QUOTIDIANO DEL 28 AGOSTO 2017
Evasione, vietato indagare: dimezzati gli accertamenti
La Corte dei Conti denuncia la fine delle indagini finanziarie dell’Agenzia delle Entrate: nel 2015 la metà dei controlli rispetto al 2014. L’anno scorso il record negativo: 2.773 (nel 2012 erano 11.872)
Il numero di indagini finanziarie svolte in Italia ha registrato un calo anche nel 2016, a conferma di un crollo verticale che dura da tre anni. A certificarlo è una relazione della Corte dei Conti. Dal documento sembra che, più che a una semplice riduzione dei controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate, si stia assistendo a una resa dello Stato di fronte all’evasione. Un atteggiamento che, secondo autorevoli osservatori, è dannoso – in quanto riduce la capacità di recuperare somme – e anche ingiustificato.
Venendo ai numeri, nel corso dell’anno passato gli accertamenti compiuti con l’ausilio delle indagini finanziarie sono stati soltanto 2.773, mentre nel 2015 ne avevamo avuti 5.426. La flessione, in questo caso, è stata quindi del 43,9% e non ha fatto altro che confermare una tendenza che va avanti dal 2012. In quell’anno, infatti, si contavano 11.872 indagini finanziarie, salite a 12.069 l’anno successivo e ridiscese a 11.460 nel 2014. Per poi crollare in maniera sostanziale nei due anni successivi.
Il risultato di questo lassismo prende forma nei dati relativi alla maggiore imposta accertata. Nel 2012 la somma era di ben 1,2 miliardi di euro; nel 2016 invece ci si è fermati ad appena 178 milioni. In pratica, in pochi anni si è ridotta a un decimo di quello che era quando le indagini erano il quadruplo di quelle attuali. “Alla flessione del numero di controlli realizzato – si legge nella relazione – si accompagna una sensibile riduzione della maggiore imposta accertata e dei risultati finanziari conseguiti (-17,2% rispetto al 2015)”.
“Questo arretramento – così lo definisce, parlando con l’AdnKronos, Fabio Di Vizio, sostituto procuratore a Pistoia ed ex componente del Comitato esperti dell’Unità informazione finanziaria della Banca d’Italia – è incomprensibile e del tutto ingiustificato, tenuto conto dell’efficacia dello strumento e delle sue potenzialità. Trovo sorprendente questa scelta – ha aggiunto – e non si giustifica nemmeno con la nuova filosofia secondo cui il fisco deve assistere il contribuente più che controllarlo. Quando si ha uno strumento e non lo si utilizza viene meno anche la sua efficacia dissuasiva. La filosofia della dichiarazione precompilata è proprio quella di dire al contribuente: ‘Io conosco questi elementi che ti riguardano. Tienine conto’. Invece in questo caso, dopo aver molto enfatizzato il ‘grande fratello’ dell’anagrafe dei conti, lo si abbandona. È evidente che si tratta di una perdita di efficacia del sistema di contrasto all’evasione”.
Le entrate da accertamento sono in diminuzione anche se considerate nella loro generalità: nel 2016 sono state pari a 64,5 miliardi di euro, cifra che segna un meno 2,5% rispetto al recupero avvenuto nell’anno 2015. “Un elemento di grave criticità – si legge nella relazione – è costituito dal progressivo consolidarsi del fenomeno delle imposte dichiarate e non versate (Iva, ritenute, imposte proprie), che soltanto in parte vengono poi recuperate attraverso il controllo automatizzato delle dichiarazioni e l’azione di riscossione coattiva affidata all’agente della riscossione”. Parliamo comunque di una cifra – i 64,5 miliardi – che non contiene la parte derivante da forme di condono. Grande aspettativa, nel corso dell’ultima legge di Stabilità, era stata posta dal governo verso la voluntary disclosure. Il governo si aspettava almeno 27 mila istanze entro il 31 luglio, con un gettito di 1,6 miliardi, ma pochi giorni prima della scadenza ne erano arrivate solo 7.500 (meno del 30%), tanto che si è resa necessaria una proroga per decreto che ha posticipato il termine ultimo di due mesi.