IL MANIFESTO DEL 27 AGOSTO 2017
https://ilmanifesto.it/pace-e-diritti-non-cambieremo/
«Pace e diritti, non cambieremo»
No tinc por. Mezzo milione di persone al corteo. Fischi al re e al premier Rajoy. La sindaca Colau: «Siamo una città unita, diversa, impegnata, senza paura. E guardiamo avanti»
Lo striscione contro il re, sonoramente fischiato; sotto la «cápsula de autoridades» – con: il premier Mariano Rajoy, il re di Spagna Felipe VI, il presidente della Catalogna Carles Puigdemont e la sindaca di Barcellona Ada Colau e un gruppo di ragazze musulmane
© LaPresse e Ap
No tinc por. Almeno mezzo milione di persone ieri hanno raccolto l’invito della sindaca Ada Colau a riempire le strade di Barcellona per gridare No alla paura, No al terrorismo, No all’islamofobia, e soprattutto Sì alla pace, la parola più ripetuta nei cartelli e nelle facce della gente.
Facendo vedere che «Barcellona è unita, diversa, impegnata, senza paura. E guarda in avanti», come ha detto la sindaca. «Non ci cambierete, ora più che mai puntiamo sulla convivenza, sulla pace e sui diritti umani», ha riassunto in serata.
E i barcellonesi hanno ricordato le vittime dell’attentato in una manifestazione storica che ha percorso tutto il centrale Passeig de Gràcia passando accanto a alcuni dei monumenti più emblematici della città: la Pedrera, la Casa Batllò, e soprattutto la simbolica Plaça Catalunya, dove si è chiusa la manifestazione, proprio a un passo da dove il furgone bianco dieci giorni fa ha ucciso 13 persone e ne ha ferite più di un centinaio (26 delle quali sono ancora ricoverate). A queste si aggiungono l’altra vittima e i feriti dell’attentato di Cambrils, e infine il proprietario della macchina rubata, ucciso dal conducente del furgone in fuga.
A PORTARE LO STRISCIONE che apriva la manifestazione non c’erano politici. Così hanno voluto la sindaca Colau e il governo della Generalitat. C’erano invece 75 fra agenti della Guàrdia Urbana, Mossos d’Esquadra, servizi di emergenza medica, medici degli ospedali dove sono stati portati i feriti, pompieri, commercianti e persone che vivono nella zona delle Ramblas, albergatori e tassisti che hanno accolto e aiutato le persone spaventate da quanto stava succedendo quel maledetto giovedì 17 agosto. Tutti molto applauditi, e che Colau ha ringraziato personalmente commossa prima di iniziare la manifestazione. C’erano persino minacciosi blindati della polizia ricoperti di fiori: certamente sono i Mossos ad aver vinto la guerra d’immagine di questi giorni.
UN PO’ PIÙ INDIETRO i politici. Il re Filippo VI, una novità assoluta: è la prima volta che un monarca spagnolo partecipa a una manifestazione. Lui era stato nel 2004 a quella contro il terrorismo dopo l’attacco di Atocha, ma allora a essere capo di stato era ancora suo padre Juan Carlos. Forse però se ne pentirà: i fischi che ha ricevuto sono stati sonori, forse più di quanti se ne aspettasse. Bastava che la sua immagine apparisse sui megaschermi perché fosse sommerso di boati. Accanto a lui, la sindaca e la sua giunta, il presidente catalano Puigdemont e molti membri del suo governo, il presidente spagnolo Rajoy (altro fischiatissimo) e molti ministri, i presidenti del Congresso, del Senato, del Parlament catalano. E poi i presidenti di tutte le comunità autonome, moltissimi esponenti politici, tutti i segretari dei principali partiti, molti sindaci, fra cui quella di Madrid Carmena, alcuni ex presidenti del governo, come José Luís Rodríguez Zapatero. Fra i leader di partito mancherà solo Alberto Garzón, perché ieri si sposava, ma non ha fatto mancare il suo appoggio alla manifestazione attraverso un tweet.
Ad aspettare il corteo su uno scenario adornato da fiori regalati dai fioristi delle Ramblas c’erano due donne, «nate a Barcellona, che vivono a Barcellona e amano Barcellona», come ha spiegato Colau: l’attrice Rosa Maria Sardà (interpretava la madre della suora rimasta incinta in Tutto su mia madre di Almodovar, per capirsi) e Míriam Hatibi, figlia di genitori marocchini, portavoce dell’associazione Ibn Battutta, che dà appoggio sociale, culturale, educativo e lavorativo alle persone in difficoltà. In una recente intervista a Elnacional.cat aveva sottolineato che «a un adolescente genera molta insicurezza pensare che la gente non gli crederà se dice che è catalano perché questo concetto non va d’accordo con il colore della sua pelle o la sua religione, e preferirà dire ‘sono marocchino’».
SARDÀ E HATIBI hanno letto un manifesto un po’ in catalano e un po’ in spagnolo. «Se la loro ideologia è quella della morte, noi puntiamo sulla vita. Ci troveranno più uniti che mai nella difesa della libertà e della democrazia, dentro la diversità di culture e credenze. Vogliamo una società senza xenofobia e razzismo. Siamo molti milioni di persone quelli che respingono la violenza», hanno detto fra gli applausi, «l’amore trionferà sull’odio».
Subito dopo, tre brani dedicati alle Ramblas del poeta andaluso Federico García Lorca, e dei catalani Josep Maria de Sagarra e Pau Casals. Infine due violoncellisti hanno interpretato Il canto degli uccelli dello stesso Casals, un musicista che definiva questa «la melodia dei rifugiati spagnoli della guerra civile pieni di nostalgia».
DURANTE IL PERCORSO della manifestazione, centinaia di volontari distribuivano fiori bianchi, rossi e gialli, i colori dello scudo barcellonese. Ma a questi tre colori faceva da contrasto il blu delle magliette di moltissime persone che le associazioni indipendentiste e la Cup avevano incoraggiato a indossare per marcare la distanza dal Pp e dal re. «Felipe, chi vuole la pace, non traffica con le armi», dicevano molti cartelli che ricordavano gli stretti vincoli della casa reale spagnola con la monarchia saudita. «Vogliamo la pace, non vendere armi», «la migliore risposta è la pace», dicevano altri fra i moltissimi.
Alcune centinaia di questi manifestanti critici si erano riuniti anche un paio d’ore prima in un raduno alternativo. Secondo le Ong organizzatrici di questa contromanifestazione, il governo spagnolo e il re «promuovono le guerra, la non accoglienza dei rifugiati, la mancanza di diritti umani e la chiusura delle frontiere».
NONOSTANTE COLAU avesse ricordato che questa era una manifestazione «della gente, e non delle bandiere» c’erano, naturalmente, anche un mare di bandiere indipendentiste catalane (le estelades) con un simbolo di lutto, e qualche sporadica bandiera spagnola.
Già, perché nonostante l’immagine di unità istituzionale, e persino di cortesia fra amministrazioni che finora si sono fatte la guerra – il governo catalano e quello spagnolo, per il referendum indipendentista, ma anche il comune di Barcellona e il governo catalano, governate da coalizioni politiche molto diverse – la polemica non è mancata neppure ieri.
Il presidente catalano Puigdemont in un’intervista al Financial Times ha accusato Rajoy di fare politica con la sicurezza, riferendosi al veto del governo ad assumere 500 nuovi Mossos e a permettere loro di accedere ai dati di Europol. Una questione su cui invece Rajoy aveva detto che non è il momento di discutere. Puigdemont ha sottolineato che «mostreremo ogni giorno di essere preparati per agire come uno stato indipendente, non solo in momenti eccezionali», ricordando che il governo catalano ha già pronte 6000 urne per votare l’1 ottobre.
INTANTO PROPRIO A RIPOLL aveva luogo un’altra manifestazione. Hazira Oukabir, sorella dei terroristi Driss (in carcere) e Moussa (morto a Cambrils) ha letto fra le lacrime un manifesto dove chiedeva di «lavorare assieme perché questo non succeda di nuovo» e ha chiesto alle autorità di collaborare perché i giovani figli di immigranti «sentano che la Catalogna è la loro terra e possano respingere qualsiasi messaggio radicale o estremista».