PIERO BEVILACQUA, C’E’ VITA A SINISTRA— A PROPOSITO DI CENTRO-SINISTRA…

IL MANIFESTO DI IERI, 12 LUGLIO 2017

https://ilmanifesto.it/a-proposito-di-centro-sinistra-prima-il-conflitto-poi-le-alleanze/

 

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A proposito di centro-sinistra, prima il conflitto poi le alleanze

C’è vita a sinistra. Breve storia del «centro» e dei suoi compromessi più o meno storici (dal Pci al Pd). Ma oggi, nel tempo di papa Francesco, esiste ancora nel paese una questione cattolica?

Vale a dire la questione se la nuova creatura deve subito incorporare nel proprio orizzonte l’alleanza strategica con un centro moderato, o se debba invece puntare a definire, sulla base di un programma concordato, una nuova e unitaria identità. Vorrei limitarmi a guardare alla questione con un supplemento di considerazioni storiche.

La prima è che in Italia ha a lungo dominato la vita pubblica una “questione cattolica”.Il cosiddetto centro si identificava con la Dc, con le organizzazioni sindacali e associative collaterali della Chiesa. Con la natura di questo “centro” il Pci, ha avuto un rapporto duplice: di antagonismo aperto nel Paese, di sintesi e mediazione riformatrice nel Parlamento. E’ stato questo il reale e vincente “compromesso storico” che ha consentito l’accesso dei bisogni popolari nello stato italiano e la modernizzazione del Paese. E per quasi tre decenni: dalla fine degli anni ’40 alla seconda metà degli anni ’70.

E’ stato invece il compromesso storico di Berlinguer ad avviare la confusione delle fisionomie delle forze politiche, a disinnescare il motore del conflitto, a togliere al sistema politico italiano quel dinamismo eterodosso, diverso dagli altri paesi sviluppati, che lo aveva contrassegnato fin lì.

Mi spingo a dire che il dilagare della corruzione nella vita italiana, denunciata da Berlinguer nei primi anni ’80, e periodicamente ripresa dalla stampa, trova un nuovo alimento proprio negli effetti che la politica del compromesso storico ha a livello locale. Il controllo antagonistico del Pci nella vita amministrativa viene meno e dilagano gli accordi…

La questione del centro ritorna imperiosamente con Veltroni e il Pd. Il disegno è ambizioso. Si vuole non solo immettere le forze politiche cattoliche entro un organismo unitario, ma modellare l’intero sistema politico sullo schema bipartitico delle vecchie democrazie anglo-americane. Quest’ultimo pare un progetto modernizzatore, ed è invece un tentativo velleitario e tardivo.

Il sistema bipartitico è ormai in una crisi conclamata tanto nel Regno Unito che negli Usa. I due partiti, progressisti e conservatori, conducono entrambi, nella sostanza, la stessa politica e generano una diserzione sempre più larga degli elettori dal voto. L’intrusione dell’economia e della finanza nella vita dei partiti tende a unificarne le strategie e la condotta, anche perché le campagne elettorali sono sempre più costose.

Nel paese di Gianbattista Vico l’idea di fondare una nuova storia delle culture politiche italiane, eliminandone alcune, e puntando su una loro semplificazione per via giuridico- istituzionale non ha avuto successo. Le culture politiche sono pezzi di storia della società a cui non si possono imporre schemi organizzativi pensati a tavolino. Ma il Pd non ha successo perché ripete ed anzi fa radicalmente suo lo schema del compromesso storico: immette nel suo seno l’avversario-potenziale-alleato. E questo ha due conseguenze su cui devono riflettere coloro che oggi pensano al centro sinistra avant tout.

La prima è che diventa sempre più difficile e macchinosa la mediazione politica interna. Qualcuno si ricorda che cosa accadeva nel Pd quando si trattava di decidere sui diritti civili, sui temi di bioetica? Scontri e conflitti interni si tacevano solo grazie alla paralisi generale.

La seconda ragione è strategicamente più rilevante. La fusione tra forze diverse ha annacquato le reciproche alterità e ha tolto alla sinistra la forza motrice del conflitto. Se fai sbiadire la tua storia, mortifichi i principi su cui si sono formati generazioni di militanti ed elettori, non hai poi la forza di imporre all’avversario-alleato il compromesso più avanzato. Il riformismo che ne deriva è inefficace, mortifica gli interessi popolari, crea delusione, allontana militanti e cittadini dalla vita politica.

Ma oggi, come si configura il centro? Esiste ancora una questione cattolica? Anche con il pontificato di papa Francesco? Inutile chiederlo ai partiti che passano da una competizione elettorale all’altra e vivono alla giornata.

In realtà sappiamo pochissimo, oggi, sia sul piano sociale che culturale, di questo fantomatico centro.

Forse sappiamo qualcosa di più su che cosa dovrebbe essere la sinistra. E non ci sono dubbi che ad essa il suo popolo disperso e deluso, ma anche un paio di generazioni di giovani disperati, chiedono una politica radicale, di redistribuzione della ricchezza del Paese, di investimenti pubblici, di difesa del territorio, di potenziamento degli istituti della formazione e della ricerca.

Ce lo confermano i relativi successi di Sanders e Corbyn, della sinistra in Portogallo, quello di Podemos e perfino quello di Syriza nella sinistra greca, schiacciato poi dall’arroganza delle potenze finanziarie europee.

Una politica radicale (spunti concreti in questo senso si sono sentiti anche in bocca a Bersani a Santi Apostoli) è quella che può ambire a un successo elettorale a due cifre. Privilegiare le alleanze rispetto al programma probabilmente non scongiurerà la sconfitta elettorale – assillo troppo esclusivo di tanti attori in campo – e farà fallire il progetto di più lunga lena dell’unità della sinistra.

 

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1 risposta a PIERO BEVILACQUA, C’E’ VITA A SINISTRA— A PROPOSITO DI CENTRO-SINISTRA…

  1. Carine scrive:

    Cerco di tradurre in parole cosa penso della sinistra e del PCI,PDS,PD che l’hanno incarnata, almeno per chi, come me, l’hanno votata fino alle ultime elezioni politiche comprese. Mi ricordo la simpatia per Prodi, per Veltroni , per Bersani e parecchio prima per Berlinguer.Con Veltroni ho avuto la sensazione di ” liberi tutti”, ma una cosa del genere deve avere un’organizzazione molto forte alle spalle per resistere all’annullamento. Questo non c’è stato. Le strutture del Partito, già molto indebolite e da rinnovare da capo a fondo, si sono sciolte in un allegro sentimento di ” ognuno faccia quel che vuole”. Non è mancata l’ideologia che tutto ciò che era stato fatto dalla sinistra fosse sbagliato, l’avvicinamento e la confusione strumentale con i cattolici, l’accettazione acritica che non ci dovesse essere più una sinistra perché sorpassata e vecchia: si è così giunti alla “rottamazione” di un tizio che ha sputato sui valori della sinistra, dandosi l’etichetta di modernità e di dinamismo. Sotto le apparenze di una politica futurista, fatta più di parole e di affermazioni sensazionali che di realtà studiata per migliorarla, si è arrivati ai nostri giorni, in cerca, da parte di chi vuole votare a sinistra, di una direzione e di un programma realistico che sappia venire incontro alle esigenze della parte maggioritaria e più debole, in tutti i sensi, del Paese. Bisognerebbe essere partiti immediatamente da quel blocco che votò no al referendum sulla Costituzione. In quel caso si è verificata una concordanza eccezionale degli italiani che volevano davvero salvare la Costituzione nata dalla Resistenza. Si intuiva la tensione politica e morale che c’era dietro e che ha fatto tramontare, almeno in quella occasione, l’assenteismo divenuto ormai costante nelle altre elezioni. Penso che bisognerebbe rinnovare quella tensione, con tutti i motivi razionali che ci stavano dietro, e fare capire che al prossimo appuntamento elettorale ci giochiamo il nostro fragile destino di stato democratico.

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