IRENE E’ IL NOME DI QUESTA RAGAZZA CHE CI SCRIVE : IRENE NEL 2013 STAVA PER FARE LA MATURITA’, CI RIPORTA UN BEL LAVORO FATTO PER LA SCUOLA–EVVIVA QUESTA ALUNNA ED EVVIVA ALLA SCUOLA

http://cipriaemerletti.blogspot.it/2013_04_01_archive.html

 

 

Questa sera vi riporto una produzione che ho fatto per scuola sulla base della lettura di più poesie del poeta quasi-italiano Giuseppe Ungaretti. Fatemi sapere se troverete le riflessioni interessanti, come spero.

 
 
Veglia
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

Fratelli
Mariano il 15 luglio 1916
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli

San Martino del Carso
Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E’ il mio cuore
il paese più straziato

Mattina
Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917
M’illumino
d’immenso.
Soldati
Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie.

Eternità
Tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile nulla.

C’era una volta
Bosco Cappuccio
Ha un declivio verde
Come una dolce
Poltrona
Appisolarmi là
Solo
In un caffè remoto
Con una luce fievole
Come questa
Di questa luna

In tutte le poesie di Ungaretti che ho avuto modo di leggere, ho ritrovato sempre gli stessi sentimenti, quelli più profondi dell’essere umano, straordinariamente vicini, anche se vissuti con intensità particolare, a quelli che ognuno di noi prova nella propria vita.
Questa è una delle grandezze di Ungaretti: che pur avendo vissuto esperienze che molti dei suoi lettori non possono neppure immaginare, pur scrivendo per esigenza personale e non con fine divulgativo, parla di amore, senso di infinito e immenso, sofferenza, debolezza, fragilità, fraternità e voglia di comunione con i propri simili; si pone domande ed esprime emozioni in cui tutti noi possiamo riconoscerci e trovare comprensione.

Se ci pensiamo bene, è davvero una capacità grandiosa da parte di un uomo dal suo passato estremamente difficile e segnante.
Egli inizia infatti a comporre le proprie poesie sul fronte italiano del Primo Conflitto Mondiale, in cui si è avvicinato e immerso spinto da sentimenti fortemente interventisti. Nonostante questo iniziale modo di vedere le cose, il mutamento, anzi capovolgimento di idee è quasi immediato quando vede la realtà della guerra come ce la presenta nelle sue poesie: non un’occasione di eroismo o esaltazione patriottica ma come evento tragico, inevitabile, che semina dolore abbattendosi e distruggendo ogni individuo ne sia inerme vittima, disumanizzandolo e stravolgendolo completamente quando lo lascia in vita.
Il poeta ci presenta, con il suo esprimersi diretto e toccante, la vita straziante del soldato di trincea, l’alienazione subita da uomini costretti a vivere costantemente accanto alla morte e in pericolo di morte, che possono risentire il profumo della libertà e della vita solo nel sogno, nell’immaginazione, nel ricordo di tempi passati perché le speranze sarebbero vano se riposte su un futuro che è appeso ad un filo, incerto come una foglia attaccata ad un ramo d’autunno.
La morte e la devastazione passano attraverso gli occhi di un soldato e arrivano alla sua anima più profonda, straziando il suo spirito e la sua personalità, cambiandolo tanto indelebilmente da renderlo per sempre diverso dagli altri, incompreso e incapace di comprendere.

Mi chiedo perché troppo spesso dimentichiamo tutta questa verità, che purtroppo anche oggi milioni di persone sono costretti a vivere sulla propria pelle, e ci facciamo condizionare dall’informazione nel credere che in fondo la guerra è normale amministrazione, almeno per alcuni paesi, o che in fondo se in un attentato o in uno scontro muoiono poche persone è mal di poco. La morte è sempre un’esperienza devastante, chiunque siano le vittime e chiunque siano i superstiti, dovunque si abbatta e per qualunque motivo si abbatta. 

Eppure l’uomo cerca sempre di reagire, anche in trincea, anche nelle situazioni di disperazione più nera in cui la propria identità e la propria vita diventano immagini sfuocate perché la vista ed il cuore sono intrisi di dolore e distruzione. Lo esprime bene Ungaretti quando ci fa conoscere i legami che nascono tra soldati, divenuti fratelli per combattere l’isolamento e la solitudine, per avere spalle a cui appoggiarsi nel sopportare quella tremenda vita-non-vita, e per darsi a vicenda uno spiraglio di umanità, una fiammella di sentimento che non faccia pietrificare il cuore, la capacità di sentire affetto e riceverlo.

Quante volte noi che viviamo una più o meno serena quotidianità, che vediamo scorrere le nostre giornate con piccoli dispiaceri e qualche vittoria ma senza grossi sconvolgimenti interni o esterni, ci fermiamo a pensare alla fortuna di cui possiamo godere e della preziosità di quei legami affettivi che, pur se imperfetti ci fanno sentire coccolati, compresi, non soli?

Per Ungaretti le parole sono sacre e nelle sue poesie brevi, fulminee ma profonde va alla minuziosa ricerca dei termini esatti che riescano ad esprimere realmente quello che ha dentro, così da tirar fuori da se stesso quei pesi emozionali e gettarli sulla pagina scritta per sentirne sollievo. I versi liberi, essenziali, assoluti e scarnificati da ogni elemento inutile ci riconducono al nostro sentire più primitivo, alla meditazione sui valori più importanti che dovrebbero alimentare il nostro vivere ed il nostro essere.

” Stando tra i morti non c’era tempo: bisognava dire delle parole decise, assolute, ecco allora la necessità di […] ripulirsi della retorica, di non dire quello che non era necessario ” ( Giuseppe Ungaretti)

E noi che peso diamo alle parole?

Ognuno di noi ha l’occasione di gettare le proprie sofferenze nei vuoti che l’autore lascia a nostra disposizione, ma ha anche la responsabilità di dar voce interiore a quegli stessi silenzi, negli spazi muti che imbiancano il ritmo sincopato della lettura.
E’ una poesia che dev’essere interiorizzata, fatta propria ed elaborata lasciando che i nostri patimenti si accomunino a quelli dell’autore, così da gettarli insieme a lui sulla carta stampata e sentirne simile sollievo.

La lettura può essere una scorciatoia per riuscire a dar voce a ciò che sento dentro ma non riesco a spiegare, a razionalizzare ed esprimere all’esterno – o forse neppure a me stessa -. Questo è una delle ragioni più profonde ed importanti per cui la lettura è così fondamentale per me, nonché uno dei motivi per cui tutti dovrebbero avvicinarsi a questa attività che fa bene non solo alla mente ma anche allo spirito. 

Con affetto,
Irene

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