Giuseppe Cerbino (LINK FACEBOOK)
lorena turri
NON COLORE
Ed ecco un’altra sera che dispera,
dietro un umido vetro di squallore
asserragliata e dentro una bufera
di pensieri confusi. Non colore
di vita che non trova la maniera
di ricomporsi, immobile nelle ore
e negli spazi eterni di una sfera.
Non colore di un’anima che muore.
Non c’è consolazione, nessun senso,
né mai il significante, come il gesto.
Non colore in sostanza di condensa.
E dispera la sera sulla mensa
deserta di speranza. Buio pesto.
Anche oggi che è Natale, se ci penso.
***
QUESTA STANCHEZZA
Questa stanchezza, tristitia corrente,
che affonda nella carne e non demorde.
Scialle sfrangiato e liso sulle spalle
di vuote sensazioni, di passioni
per ciò che non esiste o è immaginato.
Stanchezza dilagante dentro l’anima
nell’infecondità dei desideri.
Vorresti un cielo terso e luminoso
e notti calme dopo giorni sorti
da aurore fervide e ditirosate;
vorresti l’armonia del tuttotondo
un canto d’usignolo, un sogno vivo.
Trascini invece l’ossa sonnolente
nei dirupi di un tempo senza mete
e non sei che lo sguardo scolorito
di un’ombra frantumata dalle nuvole.
***
CHIEDI DEL SUO MALE ATRO E FERINO
Se camminando in un bosco da sola,
troppo tempo ha perduto tra gli sterpi
e doloranti i piedi,
morsi da infide serpi,
di tutti i passi consunta ha la suola
e ora, questa che vedi,
è una donna distrutta, se non chiedi
pietoso, del suo male atro e ferino,
mai non potrai capire
il dolore nervino
che la relega – rea – sui marciapiedi
di una vita in languire.
Circostanze di eventi, come spire,
la condussero in vie tetre e insidiose
e lontana rimase
dai suoi fiori e le rose
nel petto cominciarono a sfiorire
dagli inverni pervase.
E fu un inerpicarsi su cimase
irte di spine e povere di senso
dove è perenne il vento
e acerbo lo scompenso.
Idee e parole le vennero rase
in un solo momento.
Compiutosi così l’annullamento
di un corpo e di una mente esuberante,
non un pensiero vola,
né il gesto si fa amante.
Non è lo sguardo limpido ed attento
e il pianto rompe in gola.
***
POCHE PAROLE SULLA MIA ANIMA
Di quest’anima mia
che posso dire?
Se ne fotte altamente
del mio patire.
A Lei non interessano
le brutte malattie,
le tasse da pagare,
le troppe umiliazioni, le ferite
e tutte le perse partite.
Se ne sta dove le pare:
nella goccia più piccola del sangue
oppure in un ventricolo del cuore;
nell’alluce sinistro,
nel colon o nel colore
dei miei capelli (il viola).
Mi lascia sola
persino nella vita (quella nera),
nell’antro oscuro dell’aspetta-e-spera.
Talvolta – senza chiedere il permesso –
altera m’aggredisce,
mi detta qualche verso assai imperfetto,
e poi sparisce.
***
NEL PECCATO NON COMMESSO
Sono albero e foglia
figlia fragile della mia maternità
colei che vive
nel peccato non commesso.
Dell’antica bugia so soltanto
che ha radici al centro della terra
dove il fuoco atavico riverbera sul mondo.
Delle stagioni vivo la neve e i temporali
e il frutteto in fiore dell’amore
in sintonia col vento.
Ardo nel frutto e nel succo mi spengo.
Dormo notti arcane
in controcanto onirico
abbracciata al mio mantra di pezza.
La chiarità del risveglio
non reca mai il tuo nome:
sei tu la sillaba mancante, il suono muto.
Quel vuoto astuto d’ogni mio big bang.
***
Tristezza è l’impresenza*
– simile alla tua assenza –
timpano di silenzio,
eco d’antico assenzio.
Tristezza è questa stanza,
svuotata di speranza,
dove parola muta
muta in parola vuota
***
CI SONO DONNE
Ci sono donne cosiddette vere.
La perfezione regna intorno a loro.
Almeno pare, o per sentito dire.
Coriacee. Pronte a tutte le intemperie
con i capelli a posto e così i conti.
Sempre belle da fare invidia al sole,
hanno un lavoro, figli, cani e gatti
e compagni di vita rispettosi
lungi dal dirsi appena un po’ noiosi.
Mostri della logistica applicata
stanno coi tacchi in una linda casa
e al parco vanno in tuta con l’amica.
E nel momento della dipartita
con dignità salutano i parenti
ed escono di scena trionfanti.
Sono diamanti pieni di splendore.
Ed io che sono un fondo di bottiglia?
La vita passerò dietro a un fondale
poi a sipario chiuso da una quinta
con un guizzo maldestro uscirò fuori
ed agli astanti increduli rimasti
dirò: – Signori miei, ero l’autore!-
***
PRECE SBOLENFIA E LEPOREAMBA
O Tu, che su e quaggiù compi miracoli,
fa’ che per tua bontà qua e là non specoli
colui per cui furono bui nei secoli
i tempi e sempre empi e scempi e ostacoli
addusse e poi distrusse e incusse a bacoli
terrori e orrori-e-orrori. Non trasecoli
l’Uno se l’importuno e aduno precoli
ma il mondo tondo è moribondo e ha macoli.
Aver dover è davver ammennicoli
divini e trini ai fini non da ciucoli,
ché, forti, i torti asporti e li sventricoli.
Io vivo e scrivo, privo, i miei versicoli
ma Tu, lassù, nel blu, odi i poetucoli
e fai che mai e mai il mal veicoli.
(Molte delle poesie di Lorena Turri sono edite nel suo libro “Leggi una donna” Kairòs editore)
NEL LINK ANCHE IL TESTO CRITICO: IL BLOG ” IL VOLO DI ESTERINA “
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Belle queste poesie e anche “divertenti “per la rima e il ritmo.
Bellissimo