MARC BLOCH (wiki), per chi mai non sapesse…
” Quando i tedeschi invasero la zona libera, sino ad allora controllata dal Governo di Vichy, Bloch dovette tornare con la famiglia a Fougères; alla fine del 1942 o all’inizio del 1943 entrò nella Resistenza; scelse il nome fittizio di Narbonne.[2]
Si trasferì quindi a Lione, dove sotto lo pseudonimo di Blanchard contribuì in prima persona all’attività dei Franc-Tireur. Fu arrestato l’8 marzo 1944 dalla Gestapo, torturato per tre mesi, e fucilato il 16 giugno successivo con 29 altri partigiani; morì gridando «Vive la France!» al plotone di esecuzione[8].”
Marc Léopold Benjamin Bloch ( Lione 1886, Lione 1944 )
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Lo showroom della lingua italiana, firmato Marchionne
Tomaso Montanari
Festa della neolingua. A Firenze, Petrarca e Boccaccio vanno sulla Maserati di Marchionne, campione dell’italianità con la residenza in Svizzera. La cultura messa al servizio del mercato
«Proporre la qualità Italia è la sfida di fronte a noi: proporre l’umanesimo che deriva dalla nostra cultura, dal modo di vivere, di lavorare». Così Sergio Mattarella, pochi giorni fa a Firenze. Ma il Capo dello Stato si rivolgeva ai cittadini o agli investitori; parlava di cultura, identità, comunità o di mercato, marchio, prodotto?
L’esame del contesto moltiplica l’ambiguità: si trattava di un’occasione apparentemente culturale (la pretenziosa etichetta recitava: «Stati generali della lingua italiana»), ma ad organizzarla non era il ministero dell’Istruzione o quello dei Beni culturali, bensì la Direzione Generale Promozione Sistema Paese (a proposito di italiano!) del ministero degli Esteri.
Più chiaro, come sempre, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, quando aprendo i lavori aveva parlato della necessità «di una gigantesca scommessa culturale sul made in Italy, se vogliamo che l’italiano sia studiato»: una prospettiva davvero incoraggiante, non da ultimo per quell’uso tragicomico dell’inglese.
Ma a togliere ogni dubbio era l’apparato non verbale della manifestazione, in Palazzo Vecchio.
Nell’adiacente piazzale degli Uffizi erano infatti esposte due scintillanti auto di lusso: all’incredulità e all’indignazione dei passanti, esterrefatti dalla riduzione a show room dello spazio pubblico monumentale, l’ineffabile assessore (all’Istruzione!) Cristina Giachi replicava che «allo sponsor qualcosa si deve pur concedere». Già, perché un evento cui intervenivano il Capo dello Stato, il presidente del Consiglio e vari ministri aveva in effetti uno sponsor ufficiale: la Maserati.
Non so quanti precedenti abbia una simile scelta, che riduce i vertici della Repubblica a testimonial di un marchio commerciale.
Particolare grottesco, le due auto erano collocate in corrispondenza delle statue di due padri della lingua italiana (cito dal sito della casa automobilistica): «La Maserati Quattroporte esposta a Firenze da questa mattina è di colore bianco ed è situata esattamente sotto la statua di Francesco Petrarca, mentre Alfa Romeo Giulia Quadrifoglio con motore 2.9 litri V6 da 510 cavalli di colore rosso si trova sotto la statua di Giovanni Boccaccio. Questa iniziativa rappresenta uno dei numerosi modi trovati negli ultimi tempi dal gruppo italo americano del numero uno Sergio Marchionne per promuovere la propria gamma di prodotti».
Affidare la bandiera dell’italianità ad un gruppo il cui quartier generale e il cui domicilio fiscale hanno lasciato il Paese e il cui amministratore delegato risiede in Svizzera è esattamente come esporre la strategia di difesa della lingua italiana usando l’espressione inglese «made in Italy»: una ipocrisia grottesca che comunica esattamente il contrario di quanto afferma.
Decisamente più sincera la ministra Giannini. Ad un giornalista che le chiedeva (mesi fa) quale fosse il principale problema della scuola italiana, rispondeva candidamente che «l’Italia paga un’impostazione eccessivamente teorica del sistema d’istruzione, legata alle nostre radici classiche. Sapere non significa necessariamente saper fare. Per formare persone altamente qualificate come il mercato richiede è necessario imprimere un’impronta più pratica all’istruzione italiana». Sono parole perfettamente assonanti a quelle dell’introduzione alla riforma su cui voteremo il 4 dicembre: si cambia la Costituzione «per affrontare su solide basi le nuove sfide della competizione globale».
La lingua italiana serve al mercato, la scuola serve al mercato, la Costituzione serve al mercato, i vertici della Repubblica servono al mercato: le berline di lusso sotto le statue di Petrarca e Boccaccio agli Uffizi sono il simbolo più eloquente di questa incondiziata servitù.
Abituarsi a leggere, a decostruire, a interpretare questo codice simbolico di potere e supremazia significa – per usare le parole di Marc Bloch – preparare «un antidoto alle tossine della propaganda e della menzogna».
Un simile antidoto può giovarci quotidianamente, come può chiarire un esempio preso dall’attualità più stretta. La trasmissione della serie su “The Young Pope” di Paolo Sorrentino aprirà, inevitabilmente, dibattiti e riflessioni sulle reazioni vaticane: ma l’unica reazione incontrovertibile del Vaticano è da qualche giorno sotto gli occhi di tutti, nel centro di Roma.
Qua il bramantesco Palazzo della Cancelleria è coperto da giganteschi cartelloni pubblicitari della serie, con un Jude Law in abiti papali alto venti metri: ebbene, quel palazzo non è solo un apice del Rinascimento, ma è anche una proprietà extraterritoriale del Vaticano. Così il pensiero unico del marketing impone la sua pace in nome dell’unico dio, il Mercato.
Chi dissente non è nemmeno sentito come un nemico, ma come un eccentrico, quasi un demente: un’ondata di gelida incomprensione ha investito la vedova di Lucio Battisti che si oppone al fatto che le canzoni del marito possano essere usate in spot commerciali. Chi l’avrebbe mai detto che “Il mio canto libero” sarebbe diventato l’inno dell’ultima resistenza al dominio del marketing?
SINISTRA IN RETE
L’Italia sembra diventata una grande “Minitalia”, quel tipo di parco dove si portano i bambini che si divertono (speriamo) a vedere l’Italia in miniatura, saltando da una Venezia con le gondole ad una Roma con il Colosseo. Lo spiega molto bene Tomaso Montanari nel libro ” Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane”, Minimum Fax 2013.
Cito un pezzo di Tabucchi su Firenze, inserito nel libro di Montanari a pag.75. ” Credo che Firenze, più che ogni altro luogo italiano, abbia saputo coagulare quasi magicamente in se’ la volgarità che aleggia sull’Italia contemporanea ( come forse su certi altri paesi europei) fino a farne una sorta di Weltanschaung, una specie di cappotto che l’avvolge, una speventosa anima collettiva a cui nessuno sfugge e che significa spocchia, intolleranza, grossolanità” ( da ” Gli Zingari e il Rinascimento. Vivere da Rom a Firenze, Feltrinelli 1999, pag.8-9).