nota del blog: lascio tutto come è arrivato perché è tardi per aprire tutto e far pulizia; l’articolo si trova—
TRIPOLI
I file dell’Isis e i sequestrati italiani
«Riscatto alla moglie del jihadista»
I libici parlano di 500.000 euro (su 13 milioni) recuperati dalla donna arrestata «Ma Roma non collabora con i nostri 007». «Abbiamo le prove che l’Italia sta diventando un campo d’azione militare»
TRIPOLI «Vorremmo che i nostri corrispettivi a Roma si rendessero conto che la cooperazione con noi è necessaria per battere assieme il nemico comune», ci dice il capo dei servizi segreti a Tripoli, Mustafa Nuah. È interessante ascoltare le ragioni (e le versioni) degli agenti di questa parte del Mediterraneo, specie alla luce del materiale di intelligence che giunge dalle roccaforti dell’Isis appena espugnate a Sirte.
I quaderni dell’Isis a Sirte e la scritta: «Da qui prenderemo Roma»
In primo luogo, va sottolineato il loro malcontento nei confronti degli 007 italiani, cresciuto a marzo con il caso della liberazione dei quattro tecnici della Bonatti rapiti un anno fa presso il terminale Eni di Mellitah. Due di loro, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, arrivarono poi sani e salvi alle loro case, ma gli altri due, Salvatore Failla e Fausto Piano, persero la vita durante l’operazione. Roma ha poi sempre smentito di aver pagato un riscatto. «Il fatto è che gli italiani trattano con noi, ma senza darci fiducia. Per liberare i quattro hanno negoziato direttamente con le milizie e tribù locali di Sabratha, dove erano stati portati i tecnici della Bonatti. È addirittura stato pagato un riscatto di 13 milioni di euro. Noi lo abbiamo scoperto grazie alle nostre fonti sul posto. Ed è allora che siamo andati su tutte le furie. Quei soldi sono finiti in parte in tasca alle bande di criminali legate agli scafisti locali, ma in parte anche ai jihadisti dell’Isis, che ben sappiamo sono presenti in forze a Sabratha. Talmente presenti, che gli americani hanno bombardato un loro campo d’addestramento nella zona il 19 febbraio scorso, uccidendone una cinquantina. Se invece avessimo lavorato assieme agli agenti italiani, compresi gli investigatori dell’Eni, probabilmente saremmo arrivati a recuperare vivi tutti i tecnici senza pagare il riscatto, evitando così di finire per finanziare il terrorismo dell’Isis», sostengono a Tripoli.
Libia, «Uccisi due dei quattro italiani rapiti a luglio»: chi sono Fausto Piano, Salvatore Failla, Filippo Calcagno e Gino Pollicardo
Una delle prove che quella somma è giunta anche allo Stato Islamico sarebbe fornita dai 500 mila euro in contanti trovati poche settimane fa nelle tasche della moglie di Al Muaz Ben Abdelkader al Fezzani (meglio noto come Abu Nassim), da anni ricercato anche dalla polizia italiana per le sue attività eversive nel Milanese e in Europa. Ovviamente l’intelligence libica enfatizza il proprio ruolo e lo puntella grazie alle informazioni che giungono ora dai covi dell’Isis a Sirte. Comunque «merce di scambio» interessante per chiunque combatta il terrorismo jihadista. A loro dire, Abdallah Daba-shi (noto come Abu Maria), uno dei capi estremisti a Sabratha, avrebbe stretti contatti con la centrale di Sirte. «La Libia è terra di passaggio tra l’Isis mediorientale, Boko Haram in Africa e le cellule in Europa, oggi tutti mirano a controllare gli scafisti e i guadagni derivati dal traffico di migranti verso le vostre coste. Noi individuiamo spesso i terroristi, ma poi non sappiamo come seguirli, abbiamo bisogno di fondi, ci servono per esempio le attrezzature molto costose per monitorare le conversazioni telefoniche e tracciare i loro autori anche a cellulari spenti», spiega un alto funzionario nella Centrale.
Tra i traffici lucrosi per il Califfato c’è anche quello di manufatti archeologici rubati dai siti più importanti e ricchi, dove dalla rivoluzione del 2011 la sorveglianza è latitante, primo tra tutti quello di Leptis Magna, ma anche Cirene e la stessa Sabratha. Un saccheggio lento e metodico che ricorda da vicino quello dei siti iracheni dopo la guerra del 2003. A Sabratha, anche dopo il bombardamento Usa, l’Isis avrebbe ancora posizionati 400 militanti che costituiscono un punto di raccordo con quelli che oggi scappano da Sirte, molti diretti nel deserto verso il Sudan e altri ancora alle centrali jihadiste nella vicina Tunisia. «L’Isis minaccia noi, vorrebbe assassinare i nostri leader politici, non ultimo lo stesso premier Fayez Serraj. Ma abbiamo le prove evidenti che sta sempre più considerando l’Italia da terreno di passaggio verso l’Europa a campo d’azione militare. Siamo sulla stessa barca noi e voi. Il nostro fallimento nel combattere l’Isis sarebbe la vostra sconfitta», sostiene a chiare lettere lo stesso Nuah. Per rafforzare questa tesi i suoi aiutanti ricordano una serie di progetti di attentati che sarebbero stati sventati in Europa grazie alle informazioni fornite da loro: in aprile avrebbero aiutato a impedire alcune operazioni dell’Isis in Italia, una contro il Vaticano, oltre ad un attacco a Parigi presso la Torre Eiffel.
Ultimamente stanno ottenendo nuove informazioni preziose dal tunisino 34enne Atef al Duwadi. A Biserta ha una moglie e tre figli: Mosab di 4 anni, Kadja di 3 e Rochaia di 8 mesi. Un amico stretto di Abu Nassim, Al Duwadi è stato arrestato dalla polizia tunisina prima della rivoluzione del 2011, ma poi è riuscito a fuggire. Pare abbia a sua volta rapporti con l’Italia. Le sue note sono su Facebook, dove parla tra l’altro della necessità che la sharia, la legge coranica, si sostituisca a quella dello Stato. In un lungo colloquio con noi in cella a Tripoli alcune settimane fa Al Duwadi ha solo ammesso di avere «convinto due italiani di Milano a convertirsi all’Islam». «Non conosco i loro nomi. Ma quando vennero a Tunisi nel 2013 abbiamo fatto una grande festa in loro onore», ha detto al Corriere. «Uno di loro ha voluto essere chiamato Yehia».