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1. Il caso Oppenheimer fu, dunque, un momento importante nel discorso artistico del Piccolo Teatro. Al di là delle polemiche che accompagnarono il suo allestimento, questo spettacolo fu una tappa fondamentale del percorso
“teatro scienza potere”
che ancora oggi, a cinquant’anni di distanza, è una linea principale della programmazione e della riflessione artistica del Piccolo. Certamente fu Paolo Grassi in prima persona a volere e a sostenere Il caso Oppenheimer al quale dedicò, come si è visto, non poco del suo prezioso tempo e delle sue energie e al quale affidò, soprattutto, un compito strategico: quello di inaugurare il decentramento teatrale. Nei mesi successivi al debutto milanese, dal 27 dicembre 1964 al 26 febbraio 1965, questo spettacolo fu, infatti, replicato con crescente successo quarantatré volte in altrettante città del Nord, del Centro e del Sud Italia ed ebbe una recita anche a Lugano, “riuscendo davvero a raggiungere ampi e differenti strati di pubblico (non solo l’èlite cittadina), rivolgendosi ai giovani nelle scuole, ai lavoratori nelle fabbriche”
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“È la prima volta, in Italia, che la regia di un lavoro viene affidata ad un collettivo. La lezione, l’esempio, ci viene dal Berliner Ensemble, che da tempo ormai si avvale, per ciascuno dei suoi allestimenti, di un’équipe di registi. Si realizza così, anche nel campo della regia, la concezione del teatro come fatto collettivo, come fatto artigianale. Scompare cioè la figura del regista demiurgo, unico depositario dell’interpretazione del testo. Naturalmente, un lavoro comune presuppone un’eguale matrice ideologica, estetica, ma non necessariamente l’appartenenza ad una stessa scuola”. Così ci diceva Fulvio Tolusso, che, insieme a Giorgio Strehler, Virginio Puecher, Cioni Carpi, Enrico Job e Gigi Lunari, ha curato l’allestimento del Caso Oppenheimer. Ma una regia collettiva è possibile anche quando il testo ha un alto significato poetico? “Teoricamente sì, il regista, come gli attori, non è che un mediatore. Ma per noi la risposta è difficile, rimane ancora sospesa. Del resto, siamo ancora al primo tentativo. Il testo, nel nostro caso, ci ha favorito, trattandosi di un lavoro particolarissimo”. E come è stato concepito e realizzato il lavoro di Kipphardt, questa, chiamiamola, ricostruzione del processo intentato a suo tempo allo scienziato atomico? “Una lettura critica, scarna senza alcun compiacimento spettacolare. E nessuna forzatura interpretativa: spetterà allo spettatore il giudizio. L’allestimento scenico sarà quello del Galileo, per sottolineare la continuità del discorso che è stato iniziato con il lavoro di Brecht: il rapporto, cioè fra scienza e politica, la responsabilità dello scienziato nei confronti della comunità. Nessun dramma psicologico, quindi, come ha fatto Vilar, ma l’analisi di un problema che è di tutti, che è nell’aria, vivo e palpabile”
Brecht 1956-2016: Brecht al Piccolo Teatro
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