donatella
” Non c’entra nientissimo, ma ci piace troppissimo”: in un libro uscito di recente,” Il corrotto, un’inchiesta di Marco Tullio Cicerone” di Luca Fezzi, editore Laterza, viene illustrata l’inchiesta condotta da Cicerone contro Verre, pezzo grosso del potere romano in Sicilia. Il famoso oratore esporrà nei suoi discorsi al Senato, le cosiddette Verrine, tutti i misfatti perpetrati dal politico ladro per eccellenza, che rubava opere d’arte e arrivava all’argenteria delle famiglie benestanti. Verre, dopo il processo, scelse l’esilio e venne a sapere dell’uccisione di Cicerone per opera di Marco Antonio, vendetta perpetrata per le Filippiche pronunciate contro di lui dal famoso oratore. Verre fuggì da Messina e approdò a Marsiglia, ma poco dopo venne raggiunto dai sicari di Marco Antonio, che lo fece uccidere perché si era rifiutato di consegnargli dei vasi corinzi, rubati anche quelli. Tra ladri e malfattori… La notizia è presa da “Il Fatto” di martedì 1 marzo 2016, pag 18 a cura di Daniela Ranieri.
I sicari di Antonio lo uccidono a Gaeta Marco Cicerone allarrivo dei tribuni si era allontanato dalla città, sapendo per certo, cosa che in effetti era vera, che non si poteva sottrarre alla vendetta di Antonio più di quanto Cassio e Bruto si potessero sottrarre a quella di Ottaviano. In un primo tempo era fuggito nella villa di Tusculo; di là, per vie traverse, parte per la villa di Formia, con lintenzione di imbarcarsi da Gaeta. E dopo che, preso il largo di là parecchie volte, ora i venti contrari lo avevano riportato indietro, ora non poteva egli stesso sopportare il rollìo della nave in balia del mare agitato, lo prese infine il tedio della fuga e della vita, e ritornato alla villa precedente, che dista dal mare poco più di mille passi, disse: “Morirò nella patria spesso salvata da me”. È noto che i suoi servi erano pronti a combattere coraggiosamente e fedelmente; ma egli ordinò di deporre la lettiga e di sopportare tranquilli ciò a cui liniqua sorte lo costringeva. A lui che si sporgeva dalla lettiga e che offriva il collo immobile fu tagliata la testa. Né questo fu abbastanza per la stolta crudeltà dei soldati; gli tagliarono anche le mani, rimproverandole di aver scritto contro Antonio. Così il capo fu portato ad Antonio e per suo ordine fu posto sui rostri fra le due mani. Livio, in Seneca, Suasoriae, VI, 17
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Gaius Licinius Verres; 120 a.C. circa – 43 a.C.
Il processo contro Verre. La denuncia della corruzione senatoria nelle Verrine, originale con testo a fronte
22 feb. 2008
Luca Fezzi – Il corrottoMartedì 02 Febbraio 2016 IL CORROTTO
Roma, I secolo a. C. Corruzione, concussione, peculato, frode, violenza, malaffare sono al centro di un processo epocale, passato alla storia grazie al più importante documento giudiziario dell’età antica: le Verrine di Cicerone. In Il corrotto. Un’inchiesta di Marco Tullio Cicerone, Luca Fezzi ricostruisce passo dopo passo l’inchiesta di Marco Tullio Cicerone, formidabile accusatore e intrattenitore, contro Gaio Verre, ex-governatore della Sicilia. Così facendo mette anche in luce, per la prima volta, le motivazioni personali e politiche di Cicerone. Eccone un estratto:
Cicerone in Sicilia a caccia di prove Cicerone partì per l’isola verso metà febbraio; ad accompagnarlo era il cugino Lucio, che con lui aveva condiviso infanzia e studi e che allora potrebbe averlo affiancato nell’accusa. Trattandosi del viaggio di un senatore, vi era anche, con ogni probabilità, un seguito di servi e, forse, una piccola scorta armata. Scarse sono le informazioni su questo momento. Tra le ipotesi di tempi e percorsi avanzate dalla critica, seguiamo quella che pare la più plausibile e completa. L’inverno, veniamo a sapere da rari cenni, era particolarmente rigido. In 15-20 giorni i viaggiatori raggiunsero lo Stretto, quasi certamente via terra, percorrendo più di 600 chilometri su strade non sempre in buono stato e in parte ripide. La navigazione era infatti pericolosa, sia per la stagione sia per la presenza dei pirati, i cui ranghi erano stati accresciuti dai superstiti di Spartaco. Sulla terraferma, invece, l’azione di Crasso, rafforzata dal monito dei crocifissi sulla via Appia, doveva avere ridimensionato ogni velleità di rivolta. Sbarcarono a Messina agli inizi del mese intercalare. Da là compirono, sempre via terra, il giro dell’isola in soli 50- 55 giorni, circa mille chilometri su vie di terra non sempre agevoli. Si diressero dapprima, lungo la costa settentrionale, nell’estremo ovest. Toccarono certamente Alesa, dove furono ricevuti e ringraziati dal senato, e giunsero a Lilibeo, dove forse furono ospiti di Panfilo. Continuarono l’itinerario lungo la costa meridionale, passando all’interno per Entella (oggi Rocca di Entella), dove furono ricevuti dal senato, e tornando poi sulla costa presso Eraclea (alla foce del Platani, nei pressi dell’odierna Montallegro), dove gli abitanti del luogo vennero loro incontro. Alla fine del mese intercalare giunsero ad Agrigento, visitandone anche i dintorni, come poi ricordato anche nellaDifesa di Marco Emilio Scauro. A marzo entrarono a Siracusa, dove si fermarono qualche giorno, rendendosi anche protagonisti di vicende movimentate. Proseguirono poi per Lentini e, spingendosi attraverso la piana di Catania, risalirono le regioni più interne dell’isola, toccando forse Morgantina (nei pressi dell’odierna Aidone), sicuramente Enna, Assoro, Imacara (non precisamente localizzata), Erbita (non precisamente localizzata), Agira, Centuripe, Etna (nei pressi dell’odierna Paternò). Tornati sulla costa orientale, conclusero infine il viaggio a Messina, verso gli inizi di aprile. Questo ipotetico percorso tocca la maggior parte dei 48 centri siciliani menzionati nelle Verrine. Cicerone sostiene che in genere le città – informate in anticipo – gli riservarono un trattamento cortese se non entusiasta, permettendogli di trascrivere documenti e di raccogliere testimonianze. Sebbene la posizione di senatore imponesse inviti ufficiali da parte dei centri che gli si erano rivolti per chiedere aiuto, egli, per non creare sospetti di collusione – e forse, anche se non lo dice, per ragioni di sicurezza –, preferì alloggiare presso amici e ospiti personali. La principale complicazione giunse tuttavia, com’era da aspettarsi, da Roma. Luca Fezzi, Il corrotto |
Ogni tanto qualche potente o qualche suo sicario paga per le efferatezze compiute anche molti anni prima. Così è successo a Citta del Guatemala, dove due militari in servizio durante la guerra civile degli anni 1960-1996 (esercito/ grandi proprietari contro guerriglia di sinistra) sono stati condannati all’ergastolo per violenza e schiavitù sessuale e domestica nei confronti di quindici donne indigene di etnia maya. Secondo le Nazioni Unite il conflitto interno guatemalteco ha causato circa 200.000 vittime tra morti e desaparecidos. Il periodo più duro fu tra il 1982 2 1983, quando il generale golpista Efraìn Rìos Montt inaugurò la cosiddetta politica della terra bruciata contro gli abitanti di origine maya che si opponevano all’espropriazione delle loro terre, contro i grandi proprietari terrieri difesi dall’esercito. Da ” Il Fatto” di martedì 1 marzo 2016 pag.16 a cura di Orsetta Bellani da Città del Guatemala.