LA PIAGA NELLA PERSONA / CHE NON SI SENTE AMATA
Se tu hai raccolto nella tua vita, o magari l’avevi alla nascita – dopo gravidanze di guerra—diciamo un bisogno 1000 di affetto, e te ne danno 500 —tu sei in perpetua carenza e non vivi bene. Sembra che la natura porti ad accoppiare la gente sempre nello stesso modo: uno solare e uno lunare.
Se fossero due solari –mi diceva, in Brasile, la Judith –finirebbero per bruciare insieme come una coppia capitombolata sul sole; se fossero due lunari, morirebbero dal freddo—come una coppia precipitata nel ghiacciai eterni che, forse, stanno svanendo.
Non sono un poeta e non posso tradurvi il modo in cui si è espressa mia nonna Chiara, ma vorrei tentare.
Mentre mio nonno, pur più anziano stava sempre benissimo, mia nonna- causa un incidente- era rimasta paralizzata. La ricordo in tanti anni diversi, ma in quell’epoca lì–vivevano tutti e due in una specie di tinello — –che aveva su due lati le vetrate. La casa l’aveva costruita mio nonno quando si era sposato, penso, al paese—di cui entrambi erano originari. La ricordo così bene questa casa, che io che non me ne capisco, potrei disegnarla perfettamente, mantenendo persino le proporzioni dei vani.
Vi volevo dire che lei era da tanti anni sofferente. Forse si sarà rivolta a lui per un aiuto, come aveva certamente fatto in tanti anni passati, E forse non aveva trovato sugo. Mia mamma dormiva in una cameretta vicino al bagno insieme alla sorella. Questa camera molto piccola dava su un corridoio e dopo un pezzo di questo, sulla camera degli sposi. Mio nonno se l’era fatta bella spaziosa.
In questa camera hanno messo mia nonna morta, era nella cassa. e ad un certo momento si trattava di chiuderla. Eravamo tutti lì. Mio nonno lancia un grido terribile, perché era carne viva che parlava e non teatro. Ha urlato forte, come lei dovesse faticare a sentirlo : ” ciaìn, prendimi con te”.
Ma così la storia finisce e noi eravamo nel tinello in attesa delle famose parole di mia nonna, del suo viso come era atteggiato, tra l’ironico e una furbizia allegra, che era acutezza di pensiero.
All’epoca stava sempre seduta in una poltrona, mio nonno anche in un’altra di fronte, ma da lati opposti.
Andavo spesso lì, con loro, perché con loro stavo bene. Non che stessi male, ma lì si era fatto il mio nido per tanti motivi, primo fra tutti che loro c’erano sempre, mentre la mia casa, fuori la ragazza che aveva il suo bel da fare, era sempre vuota.
Quel giorno mi ero messa accanto a mia nonna, come del resto sempre facevo. Non mi sarebbe mai venuto in mente di sedermi accanto a mio nonno: lui era sempre indaffarato per cose sue, anche quando stava seduto: era il giornale, la bottiglietta nel taschino con un po’ di liquore e acqua. Si alzava e girava cantando un pezzo d’opera: aveva una bella voce da baritono e soprattutto amava cantare. Poi magari usciva sul terrazzo.
Quel giorno era tutto fermo. Guardo mia nonna, rivolgo poi lo sguardo a mio nonno, seduto laggiù tranquillo, da parte opposta, e dico a mia nonna : ” Ti lamenti tanto ma lui ti ha voluto veramente bene. ”
Lei rimane ferma a pensare, lo guarda lungamente, e poi mi dice : “Quello che ha potuto”. Una frase breve come una sentenza ed era di condanna. Condanna parziale, con comprensione : ” non era cattivo –traduco io –né arido: di più non era capace.”
Mio nonno zitto, fa conto di non aver sentito, o forse non ha sentito proprio, perso nei suoi pensieri che andavano a formare uno spazio suo, dove c’era solo lui, voglio dire.
La “sapienza” del mondo della frase di mia nonna, bisogna saperla cogliere. Lei lo aveva misurato e soppesato durante tutta la loro storia che avevano passato insieme, oltre sessant’anni. Sei figli, tutti cresciuti da quel dì. Cresciuti ovviamente da mia nonna che stava in casa, mentre lui era sotto, nell’officina dove lavoravano il legno. Era falegname.
Mia nonna che da tempo non voleva più figli da accudire, lei voleva avere “un commercetto”. Si era anche messa una panetteria tuttofare quasi di fronte, ma, si sa, la gente veniva proprio a mezzogiorno, l’ora in cui mio nonno mangiava.
Lei lasciava tutto pronto, tutto sulla tavola come voleva lui, mangiava sempre da solo a mezzogiorno, e aveva la tavola a sua disposizione: il cibo non freddo, ma neanche caldo; il mangiare salato e pepato ma né troppo né poco: la misura giusta che era quella che aveva in testa solo lui. L’insalata condita anche il giorno prima, ma meglio due giorni prima, così era bella macerata dal sale e l’aceto.
Quando mia mamma si è rotta la gamba alla pensione a Bordighera dove era segretaria,” bilingue” – avrebbe subito aggiunto lei- è dovuta rimanere a casa tanto tempo. Allora —stufa anche lei di tante liti – si era messa a fare da mangiare, lei, per mio nonno: gli metteva davanti— per esempio il coniglio o il pollo, che mia nonna allevava nella minuscola fascia subito sotto la casa— un tipo al pomodoro e un tipo in bianco, uno sul salato e uno meno —così mi raccontava lei. E finiva ” non c’era la minima discussione: lo voleva salato, eccolo lì, in bianco eccolo… invece tra di loro erano sempre scontri sul mangiare”, quando mia nonna era una cuoca eccellente.
Mia mamma non poteva capire che lui era più felice servito da lei, sua figlia, la prima!, e una ragazza molto bella, di bei modi con lui, perché le aveva sempre fatto paura. E sapeva come poteva scattare. Una volta, erano otto a tavola, una tavola pesante fatta da lui- per la rabbia l’ha rovesciata di sotto sopra –o di sopra sotto, forse.
Mia nonna era una donna molto in gamba, una ligure tosta, ” niente mammola”, anche perché la vita non gliela aveva mai permesso. Al paese, dopo la terza elementare, i suoi genitori facevano il pane, avevano una panetteria, e lei si alzava alle tre del mattino come loro. Nessuna grazia per i piccoli in quell’epoca. Mia madre, imitando pur modestamente sua madre, all’estate- quando c’era vacanza dalla scuola – saliva alle sette del mattino dal magazzino : non apriva neanche la bocca, tirava giù le lenzuola da me e da mia sorella, e ci si alzava. Dopo mangiato, sotto quel sole che cadeva a – picco- a – picco —alle due meno un quarto, dovevamo partire, con i nostri cestini, per le suore della…Una grande salita ripida per arrivarci, e ci insegnavano a cucire.
Eppure, questa donna “così in gamba”, che aveva soppesato, squadrato al millesimo suo marito, non avrebbe potuto prevedere –né l’avrebbe mai saputo- che, quest’uomo ateo socialista per tutta la vita, lo erano di famiglia, quando è stata male male, ha chiesto di essere portato in chiesa.
E poi, quando è morta, l’ho già raccontato.
Lui, che stava così bene, dopo qualche mese dalla morte di lei, si è messo a letto, non parlava più, mi ricordo, ero quel giorno con mia cugina Giuseppina, a qualcosa che abbiamo chiesto, certamente come si sentiva, lui scuoteva un dito e faceva sempre “no, no, sempre no”. Tutte le volte.
Un giorno è rimasto addormentato; ricordo di aver fatto il conto: erano quasi sei mesi che se n’era andata mia nonna. Lui, dopo la sua morte, o forse anche da quando era stata molto male, dormiva in una stanzetta in fondo al corridoio, passata la camera delle sorelle. E il bagno.
Credo che adesso smetterò di raccontare, magari vado a letto, sono stanca.
Ma era importante cominciare a dire che:
” L’AFFETTO CHE RICEVIAMO NON E’ SOLO QUELLO CHE CI DANNO GLI ALTRI, ESSENDO GENTILI..
C’E’ UN AFFETTO CHE CI VIENE DA QUELLO CHE FACCIAMO E DAI RISULTATI CHE RIUSCIAMO A TRARNE.
MI VIENE IN MENTE QUANDO INSEGNAVO A SAO PAULO, PUR FREQUENTANDO LA FACOLTA’ DI PSICOLOGIA. NON STO A SPIEGARMI PERCOME E PERCHE’. FORSE ALLORA NON SAREI STATA CAPACE DI METTERLO IN PAROLE, MA IO ERO FELICE CON TUTTA QUELLA ENORME CLASSE, ANZI DUE + ALTRI PEZZI (tutto deve mantenersi misterioso e flessibile nella testa : è/non è, capito? ) ERO PIENA DI ENERGIA, IL RAPPORTO CON GLI ALUNNI ERA CHE ME LA DAVA. AVEVO ANCHE UNO STUDIO DI PSICOTERAPIA, DALLE 7 DEL MATTINO ALLE 14—
FINIAMO CON DUE ALLEGRE CANZONI, TUTTE DELLA REGINA DEL FADO E DEL REGIME:
prima : VIA DEL CAMPO…seconda: QUELLO CHE VUOLE YOUTUBE— BUONA NOTTE da chiara.
https://www.youtube.com/watch?v=z9WxsKcYv-U
Il racconto lo trovo bellissimo: sei riuscita a raccontare con estrema facilità e semplicità, insieme all’efficacia e alla dolcezza.