Paolo Di Stefano Il Meridiano Mondadori «Lettere 1940-1985» (pagine 1700, lire 85.000) esce il 10 ottobre, CREDIAMO, DEL 2000
ANTEPRIMA. ESCE UNA RACCOLTA DI LETTERE SCRITTE DALL’ AUTORE DI «PALOMAR» TRA IL 1940 E L’ 85. TRA I DESTINATARI IL FONDATORE DELLA «REPUBBLICA», COMPAGNO DI LICEO
Caro Eugenio, ti scrivo di Dio. Firmato Calvino
Ai genitori chiedeva soldi, con l’ amico Scalfari parlava di tutto: l’ epistolario di un giovane talento. Le sue interrogazioni sembravano teatro
ANTEPRIMA Esce una raccolta di lettere scritte dall’ autore di «Palomar» tra il 1940 e l’ 85. Tra i destinatari il fondatore della «Repubblica», compagno di liceo Caro Eugenio, ti scrivo di Dio. Firmato Calvino Ai genitori chiedeva soldi, con l’ amico Scalfari parlava di tutto: l’ epistolario di un giovane talento Le lettere, si sa, come il romanzo il racconto la poesia, sono un vero e proprio genere letterario, con regole retoriche e strutturali proprie. Italo Calvino ne è stato uno degli interpreti più originali. Ancor prima di esercitarsi in veste professionale come funzionario di Einaudi dal 1949. Chi volesse constatare l’ altissima qualità dell’ epistolografo poteva, finora, sfogliare I libri degli altri, una raccolta, appunto, di lettere editoriali uscita nel ‘ 91. Ora però non potrà perdersi una nuova, grandiosa, possibilità: un migliaio di lettere private scritte tra il 1940 e il 1985, con cui Mondadori conclude la serie di Meridiani dedicati all’ autore del Barone rampante. Dunque, un’ ampia scelta epistolare dagli anni liceali agli ultimi giorni. A Luca Baranelli, al quale già si devono la bibliografia calviniana dei romanzi e racconti e l’ Album uscito nei Meridiani cinque anni fa, è toccato il compito di andare sulle tracce dei documenti dispersi e di selezionare l’ enorme materiale disponibile. «La raccolta copre tutto l’ arco temporale: dall’ estate del 1940, quando Calvino scrive ai genitori dai luoghi di villeggiatura fino al giorno prima che venisse colpito dall’ ictus, testimoniato da un brevissimo biglietto a Maria Corti a proposito di un’ intervista che poi uscirà postuma». Con le lettere al compagno di banco Eugenio Scalfari siamo negli anni Quaranta: la prima è del 1941, l’ ultima del gennaio ‘ 47. I temi sono esistenzial-filosofici: «Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, perché ci andiamo, questo è un transito, ma allora a che serve, tanto Filippo non c’ è », come ricordò Scalfari nel doloroso necrologio dell’ amico. Compare spesso Filippo, l’ appellativo con cui il giovanissimo ateo Italo e il credente Eugenio chiamavano familiarmente Dio. Molti progetti, molte speranze, qualche amorazzo, molti amici comuni, molta allegria nonostante i tempi difficili. «Le lettere a Scalfari – dice Baranelli – trattano tutto l’ universo possibile, l’ esistenza, la vita di due ragazzi di 18-19 anni, la scuola. E poi ci sono molti giudizi letterari un po’ tranchant, poca politica, tanti suggerimenti di lettura, la passione di Calvino per il teatro. C’ è un fondo di freschezza giovanile e tanta disinvoltura. Italo si trovava allora a Torino (dove frequentava l’ università, prima Agronomia, poi Lettere), Scalfari era tornato a Roma». Diverse, anzi opposte, le lettere contemporanee ai genitori: nessuna ironia, niente scherzi o battute: «Sono un resoconto oggettivo dei disagi della vita quotidiana. Quel che affliggeva Calvino era la perenne mancanza di soldi, i problemi di riscaldamento, il freddo, la richiesta di pacchi con il cibo. Una precarietà esistenziale raccontata in modo normale, anche se in qualche lettera Italo tende a esagerare perché i genitori non lesinino gli aiuti. Nel ‘ 43 si trasferisce a Firenze perché i genitori temevano che Torino venisse bombardata: Italo finirà in un campo paramilitare e da lì, dopo il 25 luglio 1943, racconterà ai genitori le reazioni alle dimissioni di Mussolini». «Una sezione molto importante – prosegue Baranelli – è quella indirizzata ad Alfonso Gatto, con cui Italo lavorò nella redazione torinese dell’ Unità tra il ‘ 46 e il ‘ 47, e alla sua amica Graziana Pentich. Il loro rapporto durerà, nonostante un indiscutibile raffreddamento, anche dopo l’ uscita di Calvino dal partito, avvenuta nel ‘ 56. Ancora nell’ 85 Italo manderà a Graziana una bellissima lettera in cui rievoca l’ intensa amicizia con Alfonso: dice che ha in mente un racconto in cui trascriverà quasi parola per parola le loro discussioni durante le passeggiate per le vie di Torino: lo ricorda “in quella camera d’ affitto di via Garibaldi Noi tre che camminiamo in tristi ore Alfonso con il sopracciglio alzato”, eccetera». Poche lettere editoriali, nella raccolta, anche se l’ attività professionale non si poteva del tutto trascurare: «E’ interessante e poco nota la vicenda legata all’ antologia scolastica che Calvino curò con Salinari e con la collaborazione redazionale di Gianni Sofri per la Zanichelli, all’ oscuro di Einaudi. Sono lettere del ‘ 67-‘ 68, che mostrano le qualità dell’ impegno che Italo metteva nella scelta, nella revisione e nella presentazione dei testi ai giovani. Inoltre, ha parole feroci sul modo di annotare i libri di testo per la scuola». Ma da questo Calvino inedito emerge soprattutto l’ interesse costante per alcuni autori: Fenoglio su tutti, ma anche la passione per Palazzeschi e per alcuni «minori» come Raffaello Brignetti e Aldo Camerino. E non mancano le stroncature, come quella, più o meno dissimulata, alla Storia della Morante: «Con cautela e diplomazia, Calvino prende le distanze da quel libro. Dice che avrebbe voluto “uno sviluppo narrativo ancora più romanzesco, che l’ eroe continuasse a vivere e ad avere molte avventure.
In che cosa è un libro d’ oggi e non di allora ? In che cosa può risolvere i problemi di rappresentazione e di conoscenza che possiamo porci oggi?”.
Domande che nascondono risposte piuttosto critiche, o almeno estraneità. In fondo, Calvino dice sempre quel che pensa, anche tra le righe». Come, forse, nella lettera inviata a Umberto Eco, dopo l’ uscita del Nome della rosa: «Una lettera a punti: uno la filosofia del riso, due l’ erudizione medievale e così via, la gnoseologia semiologica e linguistica, i colpi di scena alla Verne, le allegorie politico-ideologiche, la tenuta della costruzione. Un modo un po’ singolare ».
IL RICORDO Le sue interrogazioni sembravano teatro «Sono ligure, mia madre è sarda: ho la laconicità di molti liguri e il mutismo dei sardi, sono l’ incrocio di due razze taciturne». Così scrisse Italo Calvino.
La sua Liguria è soprattutto San Remo, dove è nato il padre Mario e dove la famiglia fa ritorno, da Cuba, nell’ autunno 1925. A soli dieci anni, nel ‘ 33, Italo viene ammesso al Regio Ginnasio-liceo G.D. Cassini. Vi stringerà amicizie molto importanti: con Duilio Cossu, con Jerry Ostero di Bergia, con Silvio Dian. Che diverranno, sotto più o meno mentite spoglie, personaggi di altrettanti racconti. Poi c’ è il suo compagno di banco, Eugenio Scalfari. Una «banda» di adolescenti i cui rapporti verranno cementati, oltre che dai divertimenti, dalle discussioni esistenziali. «In un giorno d’ estate, Scalfari ed io – scriverà Calvino – creammo un intero sistema filosofico: la filosofia dello slancio vitale. Il giorno dopo apprendemmo che l’ aveva già inventata Bergson». Il Meridiano delle lettere contiene una cospicua corrispondenza degli anni ‘ 40 con il futuro fondatore della Repubblica. A ricordare i compagni degli anni liceali rimane Maria Luigia Biga Bestagno, che dopo una lunga carriera di biologa e botanica abita ancora a San Remo:
«Calvino era un ottimo compagno di scuola, rispettoso e molto educato. La classe era divisa in gineceo e androceo, noi ragazze facevamo comunella e vedevamo i nostri compagni ridere e scherzare tra di loro, ma non avevamo contatti». Un aspetto di Calvino colpiva l’ intera classe: «Per italiano e latino avevamo un professore severissimo, un prete (Don Piggioli, il blog) che faceva lezioni di livello universitario e che conosceva benissimo la formazione atea di Italo. Era incontentabile, e quando aveva la luna storta se la prendeva con tutti tranne che con lui. Calvino era intelligente e i professori lo sapevano. Era chiuso e silenzioso e quando veniva interrogato aveva una certa difficoltà di parola: impiegava un po’ di tempo a parlare, faceva dei versi, poi si fermava e riprendeva lentamente. In quella vecchia aula ad emiciclo, di solito chi veniva interrogato dava spettacolo, era come se stesse nel loggione di un teatro. Quando Italo, che era in alto, si alzava per prendere la parola, sembrava sdoppiarsi: c’ era lui e dietro c’ era la sua ombra che sembrava ascoltarlo gesticolando. Lui metteva insieme un periodo e si fermava, non si sbrigava mai, la sua ombra stava ad ascoltarlo, allora lui riprendeva. Sembrava incerto ma non lo era per niente». P.D.S.
Di Stefano Paolo
Pagina 35
(5 ottobre 2000) – Corriere della Sera