ore 07:52 … un pezzetto di me…per chi, magari, ha bisogno di qualcuno che remi con lui /

 

 

….

 

 

Tante cose devono essere successe, allora, che non sono in grado di ricordare, cose che riguardano il rapporto con il ragazzo, i familiari, o il lavoro, tutta una serie di piccoli accadimenti casuali che si sono infilati una nell’altro come le perle di una collana, originando un preciso contesto emotivo nel quale si potevano sentire già delle note molto acute.

Ricordo, però, molto bene che ero totalmente impreparata al tipo di risposta del terapeuta (mi riferisco al fatto di aver chiamato gli infermieri per farmi internare) e che questa è stata la mia goccia finale, per rimanere nell’immagine usata.

Da quel momento sono entrata in una dimensione sconosciuta che, a tratti, mi faceva sentire molta paura: ero in un territorio mai visto e dall’aspetto un po’ sinistro, che però chiedeva di essere percorso, quasi fosse un dovere, un sottofondo di note stridule, che mi lasciavano con il fiato sospeso, in attesa di qualcosa, qualcosa che però non sapevo. Lo spavento, in questa fase, derivava proprio da questa tonalità di stati d’animo fatta di “ annuncio”, per così dire, un annuncio molto solenne, di qualcosa di sconosciuto che doveva anche ispirarci timore, o per lo meno, così ci era suggerito, anche se non era ancora il delirio.

Ma, in un altro caso, diverso dal mio, avrebbe potuto essere qualunque altra possibile risposta purché si fosse rivelata una casualità alla quale si fosse stati assolutamente impreparati.

Il delirio nasce infatti quando siamo chiamati a far fronte ad una situazione che ci spaventa fin all’inverosimile e per la quale non abbiamo più parole per descriverla, quando non abbiamo assolutamente modo di attribuirle un significato, simbolizzarla. Come se quell’evento ci prendesse alla sprovvista, come fosse un fuoco d’artificio di stimolazioni più rapido delle nostre possibilità di significazione: è questo, credo, che origina un trauma così grave ai nostri tessuti nervosi da suscitare il delirio che è sempre una spiegazione sostitutiva, anche se surreale.

 

Le gocce di cui parlavo sopra, quelle che a poco a poco riempiono il vaso e che caratterizzano il lungo periodo di gestazione del delirio, si possono descrivere, in altre parole, come tanti piccoli traumi continui, a cui si aggiunge uno specifico evento, un trauma specifico, che genera però una sintesi qualitativa e non semplicemente quantitativa, genera cioè una vera e propria trasformazione.

Infatti, dopo quest’ultimo evento, nella nostra mente si apre una voragine buia, paurosa, dentro la quale la nostra mente potrebbe precipitare per spegnersi definitivamente, ma a cui il delirio si offre per imbastire un racconto, una rete di senso che ha la funzione di difenderci da pericoli interni così tremendi. Il delirio ci salva così dalla morte mentale, ma – forse perché siamo tanto limitati – così facendo, nella maggioranza dei casi, ci lascia eccessivamente esposti ai pericoli del mondo esterno.

A questo punto, infatti, il nostro comportamento obbedisce prevalentemente, quando non solamente, alle leggi interiori: per questo noi matti sembriamo tanto strani alle persone normali. E’ perché siamo degli esseri che – con molto pericolo per sé e per gli altri – viviamo, nella realtà pratica, i nostri sogni, le nostre fantasie, la nostra realtà interiore, ma facciamo questo per non soccombere ad una morte peggiore della morte fisica che è la morte della propria mente. La ritengo peggiore soprattutto perché ci tocca osservarla lucidamente.

 

 

(XI, pag,6)

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