(Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957)
Questa foto, se sapete la sua storia, è impagabile.
Umberto Saba nacque a Trieste il 9 marzo 1883 da Ugo Edoardo Poli, veneziano, figlio della contessa Teresa Arrivabene, e da Felicita Rachele Coen, che apparteneva a una modesta famiglia di commercianti del ghetto. Il padre, quando si sposò, si convertì all’ebraismo e prese il nome di Abramo; ma, prima che il filglio nascesse, abbandonò la moglie e si diede a una vita avventurosa e vagabonda. Umberto conobbe il padre solo molto più tardi, a vent’anni circa.
Quello che segue è tratto da questo sito
http://www.internetculturale.it/opencms/opencms/it/pagine/mostre/pagina_341.html
La psicoanalisi e la poesia
Il carteggio che Saba intrattiene con Edoardo Weiss (ch. di cui è stato paziente, finché Weiss non si è trasferito a Roma per fondare “La Società di Psicoanlisi”, e poi negli Stati Uniti, a seguito delle leggi razziali), con il suo allievo Joachim Flescher e poi con Giovanni Bollea (altro psicoanalista) è di grande interesse per comprendere l’aspro cammino che trasforma in un potente farmaco la sua poesia. nota: Tutte le prose è un libro di Saba Umberto pubblicato da Mondadori nella collana I Meridiani : € 51,00 di IBS.it. |
UMBERTO SABA
(Da “Il piccolo Berto”)
Tre poesie alla mia balia
I
Mia figliami tiene il braccio intorno al collo, ignudo;ed io alla sua carezza m’addormento.
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chiara: nel copia -incolla alcuni versi o, meglio, parole, una parole, si sono spostate dal loro posto, non da una riga all’altra pero’. Purtroppo non ho il testo per correggere e verificare-né la stampante-su Internet, su alcuni piccoli dettagli, ci sono versioni diverse.
Una nota personale, da chiara.
Nel titolo dico: leggendo il poeta oggi, “mi sono riconfermata nel mio dolore di genitore”. Ma poco ho potuto leggere in un giorno. Vorrei comunque esprimere la mia desolazione, appiccicandola ” per il momento a Saba”: so che lui non me ne vorrà, comunque non me ne vorrà, ma deve sapere che, spinta ora a conoscerlo meglio, sicuramente sarò pronta…ad appiccicargli qualcosa di diverso…mentre lui se ne riderà di me–tranquillo sotto i baffi che non ha.
Questo mito della balia prima di tutto: la “mamma totalmente buona”, mentre il bambino ha bisogno di una mamma “sufficientemente” buona, direbbe lo psicoanalista-pediatra Winnicott; una madre che è così buona perché altri è totalmente cattivo (la madre) ; una scissione, indice tra l’altro della non sufficiente “integrazione” di un’ anima, in un certo momento del suo sviluppo–la ritroviamo nei bambini e nei ragazzi, quasi sempre anche negli adolescenti “che riprendono in mano la loro infanzia”, da ben altra posizione di energia e di strumenti /potere —non a caso possono amare i film di Walt Disney, in cui ci si ritrovano, perché “identica” è loro logica, tutto il bene da una parte e il male tutto dall’altra, entrambi estremati; una logica cioè un modo di legare causa ed effetto che è la stessa cosa di dire “un modo di osservare e organizzare il mondo”, molto specifico, che, da adulti, possiamo osservare solo nei sogni, se vogliamo; ma anche quando abbiamo la felicità di impadronirci di una logica piu’ legata alla ragionevolezza e al mondo della luce del giorno, questo mondo rimane dentro di noi e tante volte ci spinge proprio dove non vogliamo andare. Oppure scopriamo, viceversa, che “il cuore ha delle ragioni che la ragione non sa nemmeno spiegarsi” (frase famosissima di Blaise Pascal), per dire che -con tutta la nostra opposizione—scopriamo che era “là” che ci sentivamo finalmente a nostro agio.
Questa balia esce così luminosa dal confronto che fa il poeta con una madre, abbandonata prima che lui nascesse, “che portava tutti i pesi”// lei era fonte per lui del “mondo della tristezza/malinconia”, mentre la balia era “la fonte della gioia”.
Quando incontra il padre, in lui “si riconosce”,
“si riconosce nei suoi occhi azzurri”…
anche se in altre parti,
sarà lui colpevole del “destino” del poeta.
Autobiografia – Sonetto 3
Mio padre è stato per me “l’assassino”,
fino ai vent’anni che ho conosciuto.
Allora ho visto che egli era un bambino,
e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.
Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
un sorriso, in miseria, dolce e astuto.
Andò sempre pel mondo pellegrino;
più di una donna l’ha amato e pasciuto.
Egli era gaio e leggero; mia madre
tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggì come un pallone.
“Non somigliare – ammoniva – a tuo padre”.
Ed io più tardi in me stesso lo intesi:
eran due razze in antica tenzone.
Allora, perché questo mio magone? : perché i figli che conosco, in primis i miei, vanno verso chi li gratifica, li coccola…cioè sono spinti dal loro estremo bisogno di piacere, di realizzazione di sé ed, in alcuni, da un bisogno di potere che li spinge a “prendere il posto” di un genitore., meglio ancora di due, se necessita.
Saba mi ha fatto tristezza perché non ho visto in lui nessuna voglia di “comprendere” la madre che, non essendoci il padre, si tratteneva dal mostrare la sua tenerezza per tema di danneggiare l’educazione del figlio, come si vede ne “La lettera o La confessione alla madre”, un brano bellissimo-
Oggi l’ho trovato, non so perché non pubblicarlo subito, ma purtroppo o meno male, quello che ricerco e decido di pubblicare, è sempre legato – o quasi–ad un bisogno del mio cuore, sempre obbligato a star dietro alla mia mente, che non so perché è così, ma deve passare il tempo a scoprire qualcosa –prima in sé—dell’umano.
Anche DIDI’ è umano, e quando lui sta con Nicolo’, oppure quando osservo la loro evoluzione parallela (soprattutto quando Nicolo’ era più più piccolo)—mi spiace solo di non aver preso annotazioni, non ne avevo “la forza”, ma che sarebbe valsa la pena, sarebbe valsa!–
PS. una parte di questo dolore è un’enorme rabbia, che posso solo esprimere in me stessa, quando la mente “non contiene questa energia”, allora passa per il mio corpo e mi sento male. Ci vorrà forse ancora domani per ristabilirmi. La rabbia mi viene dal constatare che il rapporto con i miei figli è stato determinato “quasi totalmente” dal padre- A partire da una certa data, non ho più avuto “liberto accesso”. Così mi sono sentita io. Questo non ha da dire niente di oggettivo su di lui.
Inoltre una rabbia ancora piu’ decisiva mi viene da questo: ho goduto da bambina di una libertà che nessuna delle mie compagne di scuola aveva. Fino ai 15 anni quando ho avuto il primo esaurimento nervoso serio–Ma 15 anni sono tanti-tantissimi nella vita di una persona perché sono i primi e determinano il suo approccio non solo alla vita ma al sentimento di sé.
Da allora, senza apparente gradualità, ho sempre avuto sopra di me vari caporali, come spiega in modo straordinario Totò al medico.
Ho l’impressione che questi caporali aumenteranno di numero. Cioè è certo.
Da un po’non sopporto più questa società, ma non voglio dire solo dell’Italia, sarebbe lo stesso-credo-se fossi in Germania o Danimarca perché quello che non “reggo” più, sono gli umani e il tipo di relazione che, questa forma di esistere del capitalismo e i suoi valori, così agli antipodi dei miei, determina o addirittura “obbliga” gli esseri. Vedo i miei figli passare il tempo libero negli ipermercati a guardare …In questo caso hanno proprio ragione i Dieci Comandamenti quando dicono “non desiderare la donna d’altri” perché a forza di guardare tante cose sempre piu’ tecnicamente sviluppate, più belle e più originali—-“non puoi far altro che comprare”. Non serve a niente spiegare che aiutano ecc ecc. perché l’ebrezza di un’identità diversa, quel nuovo potere che dà la compera azzeccata, quella felice ebbrezza che ti costa solo di tirar fuori il portafoglio ed è subito lì, pronta da essere goduta—uguale e se ti va bene, te la può solo un lungo e faticoso “lavoro” di costruzione con tutti gli imprevisti che sappiamo. Ma chi te lo fa fare? Allora succede che nella tua vita diventa un cosa primaria fare soldi–Ho ancora da vedere nella pratica i prezzi che si chiedono–in totale indifferenza del fatto che sono persone con u n’esistenza dei bisogni ecc.–agli altri.
Per questo me ne voglio andare. Come si diceva una volta sono “in un becco sem saida, senza uscita”, qui da noi forse sono finita in un “cul de sac”. In italiano non lo so: sento che i caporali mi stanno chiedendo “un farmi da parte” che già è stata la costante di una vita a due a tre, ma che questa volta è “troppo” e nello stesso tempo non ho come-io-da sola-ribellarmi–alleati non ne ho–forse tra un po’ neanche più Didi’—
Devo aspettare di avere più dati per riflettere e, soprattutto che le mie ferite si tranquillizzino, perché certamente lasciando come si dice? “decantare” le cose e le ferite, si riesce a fare quell’atto umano così difficile che è “pensare”—