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La conseguenza del bene. E il male.
Qualche giorno fa, durante una bella conversazione, un caro amico (e poeta), Fabrizio Centofanti mi ha detto che un sacerdote – come è lui – “trascorre la metà del tempo della sua giornata a rispondere a domande (dei fedeli) come queste: perché esiste il male nel mondo; perché c’è tanta gente che è dedita al male; e a cosa serve il male, e chi lo manda, se è Dio o cosa.”
Mi ha fatto pensare.
Il nodo del male è quello intorno al quale ci interroghiamo sempre, senza venir mai a capo: mette a nudo ogni dubbio, ogni certezza.
Quel che penso è che c’è una ragione abbastanza semplice per la quale per gli uomini sembra molto più semplice inclinar-si verso il male (nelle sue più diverse gradazioni, dai mali più veniali a quelli più violenti) anziché verso il bene.
La ragione è nella conseguenza dei comportamenti.
Dal male – da chi compie il male – non ci si aspetta infatti di essere conseguente: chi commette il male, anzi, sa già in partenza che quel che ci si aspetta da lui sarà che egli smetta di compierlo.
Il male ha come conseguenza che ci si attende un atteggiamento contrario: un ravvedimento, un pentimento, una riparazione. E’ un elemento archetipico delle comunità umane. Che oggi raggiunge forme paradossali e tragico-surreali quando per esempio a qualcuno che ha appena compiuto un omicidio, o una malefatta qualsiasi arriva puntuale l’insulsa domanda di qualche interlocutore: “è pentito?” “Si è pentito”.
E alla vittima: “lo perdonerà ?” “Perdonerà?”
Quasi il pentimento e il perdono fossero procedimenti automatici come il gorgogliare delle fiches nella vaschetta di una slot machine dopo che si è azionata la leva.
Chi fa il male dunque, sa che non deve promettere niente.
Anzi, se smentirà quel che ha fatto, se contraddirà il male compiuto, riceverà probabilmente un coro di plauso e ognuno gli dirà bravo (ammesso che si sia capaci di perdonare veramente).
Al bene invece, al contrario, si chiede, anzi si pretende, di essere conseguente.
Avete mai provato ad osservare cosa accade quando ponete in essere nei confronti di qualcuno un atto realmente gratuito, buono, non dovuto ?
La persona che riceve il vostro gesto da quel momento si attende qualcosa da voi: più esattamente si aspetta che i vostri comportamenti siano conseguenti (coerenti) con quel gesto.
E sarà, come è ovvio, anche molto lesta a giudicare nel caso che l’annunciato bene non sia conseguente con i vostri comportamenti futuri.
Al bene si chiede sempre di essere conseguente perché il bene comporta responsabilità – al contrario del male che non ne comporta alcuna perché “c’è sempre un alibi, c’è sempre una scusa, c’è sempre un motivo per cui si è fatto il male.”
Il bene invece, il bene vero, non ha motivo. E’ – appunto – gratuito, è pura gratuità.
Per questo è così difficile compiere il bene. Per questo gli uomini, se possono scegliere, inclinano se stessi verso il semplice (arendtianamente banale) male. Perché il male è facile, e non comporta impegno, non comporta nessuna responsabilità – se non quella della legge penale degli uomini – nessuna irrevocabilità.
C’è sempre un tempo per redimersi, un tempo per pentirsi, un tempo per perdonare.
Il bene invece, non ha tempo. Il bene è una linea diretta e il cuore degli uomini ha paura di attraversarla, come un highliner sospeso ad alta quota sulla sua linea di nylon: sempre con la paura di cadere, e di non essere all’altezza.
Fabrizio Falconi
Pubblicato da Fabrizio Falconi a 24.4.12 4 commenti:
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